“Essere o non essere”, si domandava il Bardo per tramite di Amleto. Eh, William, ma così la fai un po’ troppo facile. Perché, anche una volta stabilito che si è, bisogna porsi una domanda in più: chi si è? Cosa definisce un’identità? Un nome, un sesso, un carattere, un insieme di gusti culturali? Ma poi, identità, deve per forza coincidere con unità? Possiamo avere una nostra identità solo se rispondiamo anche al criterio dell’univocità oppure, e pluribus unum, essa può essere frutto di una sintesi di diversi elementi? Gian Luca Favetto, scrittore, giornalista, drammaturgo e critico torinese, subentra a Shakespeare per sviscerare l’arcana questione dell’identità e lo fa con il suo ultimo romanzo, Si chiama Andrea, edito da 66thand2nd.
Si chiama Andrea, il personaggio protagonista. E già qui nasce un primo dubbio: è maschio o femmina? Andreia, in greco antico, è la forza virile prettamente mascolina, propria dell’eroe guerriero; la parola però è di genere femminile. È uomo il martire eponimo, Sant’Andrea, elemento da non sottovalutare nella nostra società, volenti o nolenti, di derivazione cristiana. Già, ma quella “a” finale, così aperta, arrotondata, non suggerisce forse l’idea di un corpo femminile? E poi Giulia, Giovanna, Martina, Valentina: i nomi femminili finiscono in a, che diamine, almeno una certezza in questo mondo terribile e spaesante lasciatecela. Il primo capitolo del libro gioca meravigliosamente con questa ambiguità. Nove pagine in cui si evitano accuratamente pronomi, declinazioni, concordanze di genere. Occorre proseguire la lettura per sciogliere il dubbio: Andrea è femmina. Bambina, ragazza e donna, nel procedere del racconto. Ma le certezze finiscono qua.
Si chiama Andrea, e quindi è una persona. Ma neanche di questo possiamo essere tanto sicuri, perché Andrea è anche un condominio. Cerchiamo di spiegarci, incasellando alcuni elementi inconfutabili: Andrea è figlia di Attila e Anita, due genitori piuttosto assenti ed egocentrici, troppo impegnati a vivere appieno la vita per poter dar spazio e attenzione a qualcun altro. Andrea cresce così prevalentemente con i nonni, Cêtìn e Domenica, inizia a frequentare la scuola, a interagire con altri bambini. Ma Andrea non è solo Andrea. Crescendo, cominciano a ribollire dentro di lei altre voci, più che voci, vere e proprie persone in carne e ossa, che iniziano ad abitarla e a tentare di affacciarsi all’esterno: la Vecchia, Carmen, Elide, Mariobianchituttoattaccato, suo fratello, Mario Bianchi staccato, soprannominato lo Straniero, Danton Call, il Pischello. Una moltitudine di coinquilini che la popola in maniera tutt’altro che remissiva. I medici hanno un nome per la sua condizione: Disturbo Dissociativo dell’Identità. Ma i nomi sono etichette e le etichette si staccano e riattaccano a piacere.
Si chiama Andrea per tutti quelli che conoscono questa ragazza che cresce, ma lei fa sempre più fatica a capire chi è e come chiamarsi. L’adolescenza la sorprende in questo subbuglio di personalità, di generi, e questo non può non avere ripercussioni. Mariobianchituttoattaccato è etero, e vuole quindi frequentare donne. Anche Elide è etero, quindi le piacciono gli uomini. Non mettiamoci nemmeno a discutere di Carmen, che è trans e a cui piace sia uno sia l’altro. E Andrea? Lei matura con questa polifonia di desideri, costantemente scissa nella volontà e, conseguentemente, per lungo tempo acerba. Forse, potrà innamorarsi di Tibault, il suo migliore amico del liceo. E però anche Sami, la sua compagna dichiaratamente gay, ha un suo perché. Se l’adolescenza è per tutti un periodo difficile, per Andrea lo è ancor di più.
Si chiama Andrea e una certezza ce l’ha. L’unica della sua vita. Le piacciono le case. Forse perché lei stessa è una casa. Giovanissima, poco dopo aver terminato il liceo artistico, diventa allora agente immobiliare. Lei sa che le case non sono oggetti, che hanno un’anima e che quest’anima porta impressi volti, voci e umori dei proprietari precedenti. A lei le case parlano, lei le capisce, e sa quindi trovare gli inquilini giusti. Perché, proprio come accade per gli inquilini che ha dentro di sé, non sono loro a scegliere la casa, ma la casa a scegliere loro.
Si chiama Andrea è un romanzo complesso, ricco e sfaccettato. Come la protagonista, è a sua volta popolato da una polifonia di voci. Ogni personaggio, anche il più secondario, è delineato a tutto tondo, talvolta solo con poche righe, ma sufficienti a restituircelo in carne e ossa davanti agli occhi. È un romanzo di crescita, che ci racconta la vita di Andrea con il suo avanzare, ma non in maniera lineare. È un sentiero tortuoso, che fa zig-zag, e forse non ti conduce neanche dove aspettavi di arrivare, ma sempre offrendoti un panorama mozzafiato. È un romanzo velato da una tristezza struggente perché, oltre che con la presenza, si confronta spesso con l’assenza. È un libro scritto con maestria, dove la semplicità, la ricerca di una vicinanza al colloquiale, sono frutto di un lavoro accanito di scalpello, per far emergere la poesia dal blocco di marmo. Si chiama Andrea parla d’identità in una maniera assolutamente contemporanea: consapevole che essa non può essere definita.
Si chiama Andrea, e questo è interessantissimo, con la sua tematica trascende perfino il libro in sé, ponendo un quesito d’identità alla stessa casa editrice. La 66thand2nd è infatti specializzata in libri sullo sport, con la collana “Attese”, ma non disdegna la narrativa più generica. Al recente Salone del Libro di Torino abbiamo incontrato Marco, il responsabile ufficio stampa, e gli abbiamo quindi chiesto quale fosse il criterio che orienta queste incursioni extra-sportive. “Quando abbiamo tra le mani libri così belli, li pubblichiamo,” ha risposto con una semplicità disarmante. Eccola qui, più chiara che altrove, la vera risposta al quesito sull’identità, sulla sua ambigua, inqualificabile bellezza: la ridefiniamo giorno per giorno, in barba alle etichette e alle specializzazioni.