Di sentimenti e persone: cinque raccolte di racconti che dovreste leggere

I racconti sono una scelta rischiosa per un lettore: se non ne trovi di valore butti tempo e soldi. Non che nel leggere romanzi il rischio non esista, ma con i racconti padronanza del mezzo o goffaggine non si mimetizzano. Se stai leggendo qualcosa di bello lo capisci subito, o quasi. Le cinque raccolte di racconti citate in questo post sono preziose nella loro diversità. In comune hanno sfumature esistenzialiste: al centro l’essere umano e le relazioni. Scopriamole insieme.


Il silenzio del lottatore

Rossella Milone è una scrittrice che volevo approfondire da un po’, ce l’avevo nella lista delle voci da conoscere. Prima di incontrarla alla scuola di scrittura Un’Altra Galassia a Napoli, la seguivo su Cattedrale.eu, la rivista on live dove insieme al mitico Armando Festa, professione copywriter, racconta i racconti, con un occhio ai classici ma pure agli esordienti. Il passo fino a Il silenzio del lottatore (Minimum Fax), la sua ultima fatica narrativa, è stato breve. In questi anni tanti giornalisti e blogger hanno detto della lucentezza della scrittura, dei personaggi alle prese con i sentimenti e la vita, delle descrizioni che si inchiodano nella testa e ritornano pure dopo settimane e settimane. Il silenzio del lottatore è un libro senza soluzioni: le pagine sono disseminate di fossi emotivi dove ci si lascia l’anima. Ci sono le donne (madri, figlie, amiche, ex mogli, fidanzate) e ci sono gli uomini (padri, fratelli, compagni, ex mariti). Saltano tutti fuori dalle righe, con la loro individualità, le loro debolezze, le loro fissazioni, le loro paure, il loro modo di esistere. Corpi di carta che si fanno di carne, leggendo.

Lo sguardo dell’autrice è ovunque, attento e preciso. È anche sulle strade, sul cane di nome Gaetano, sul pescivendolo, sulla donna che serve il tè ad un concerto di musica irlandese. La voce narrante è di una lei, che potrebbe essere sempre la stessa persona. La seguiamo attraverso le esperienze, le situazioni. Ne rammentiamo i gesti, le notti insonni, le inquietudini.

Viene naturale pensare che la ragazzina coriacea e insolente delle prime pagine sia la donna curiosa, ostinata e impetuosa di quelle a venire, alle prese con relazioni malandate e consapevolezze da interiorizzare. Chi legge compie una parabola, insieme alla voce narrante. L’incontro e lo scontro con l’altro, il conflitto con se stessi hanno un peso determinante per la narrazione e diventano anche i temi guida dei racconti. Poi ci sono i luoghi: Napoli, le case vacanze, le stanze in affitto, le camere da letto, le cucine, le scale, la strada. Luoghi ordinari, dove cadenziamo le nostre giornate, dove esistiamo come persone. Dove le storie della Milone prendono forma e si espandono. Leggete Rossella Milone, sul serio.


Prima neve sul Fuji

Prima neve sul Fuji di Yasunari Kawabata (Einaudi, traduzione di Giorgio Amitrano) contiene racconti che il celebre scrittore giapponese ha composto negli anni Cinquanta e pubblicato su alcune riviste. La perla del libro è il racconto che gli dà il titolo e che da solo ne vale l’acquisto: due ex amanti, separatisi durante la Guerra, si ritrovano in metropolitana dopo otto anni. L’incontro riaccende una scintilla, ma risveglia pure incomprensioni e malinconie. I due si danno un altro appuntamento e nel giorno del solstizio d’autunno si dirigono in una località termale lontano da Tokyo. Nell’acqua bollente, col corpo e la mente a riposo, si ripristina una forma di comunicazione momentanea, tra la nostalgia del passato e l’illusione di un altro futuro, insieme. Il racconto si erge su una tensione emotiva latente ma vivissima, su un non detto che deve aver causato fatica e dedizione all’autore. Anche negli altri racconti i personaggi sono come parallele destinate a non incontrarsi. Nel libro si respira un’aria tipicamente giapponese: l’esistenza è fugace, tutto passa, e nel ciclo inarrestabile dei giorni e delle stagioni, le persone come le piante, si trasformano. Con lo stoicismo o una forma di saggezza irresistibile, il Premio Nobel cerca di agguantare un barlume di verità, ricoprendoci di bellezza e di grazia.


S’è fatta ora

Antonio Pascale mi aveva conquistata con La manutenzione degli affetti (Einaudi). L’ho letto quasi dieci anni fa. All’epoca passavo le giornata in un’Associazione di promozione culturale e una Giusi Marchetta alla prima pubblicazione (Dai un bacio a chi vuoi tu, Terre di Mezzo editore) me lo consigliò. Ma S’è fatta ora ha qualcosa di più, secondo me. Mescola esistenzialismo postmoderno e ironia, strappando sorrisi su sorrisi. Ha molto in comune con Il silenzio del lottatore questo libro. La voce narrante è quella del mitico Vincenzo Postiglione, che saltellando su e giù per i sentieri della memoria, ripercorre certi episodi della sua vita. C’è l’infanzia a Caserta tra teppisti in erba e genitori apprensivi e al contempo sarcastici, animati da una filosofia tipica del Sud, ci sono le prime esperienze sentimentali, la giovinezza a Roma, le persone, le situazioni: in una parola il quotidiano. Quello che rende speciale questo libro è lo sguardo, e la scrittura. Vi confesso che ho sottolineato un sacco di frasi e ho riletto Amori romani, uno dei racconti, tre volte.


L’amore e altre forme d’odio

L’amore e altre forme d’odio (Einaudi) non è l’ultima raccolta di racconti di Luca Ricci, ma poco importa. Sono scritti lampo, scarnificati, minimalisti, sarcastici, anche. Le situazioni hanno un che di cinematografico e sono tracce ideali per un format tipo Camera Cafè. Sono gag tra marito e moglie, vicini di casa, conviventi. Se esiste una forma d’amore è quella di concedersi spazio e individualità. La passione amorosa è a tempo e dopo un poco scade. Alcuni personaggi sono arguti, altri boriosi. A minare le relazioni, anche le più solide, la banalità e la vacuità, che, occhio, sono contagiose. Se un dio dell’amore esiste, forse si è preso una pausa. Il sapore della scrittura è amaro, ma sa di vero.


E dulcis in fundo…

Paura della matematica

Signori, la perfezione in narrativa esiste. È la combinazione di tanti fattori: una scrittura leggera e intensa, bella, voci e sguardi, sospensioni, equilibri. Scrivere racconti eccelsi si può, ma non è nelle corde di tutti. Peter Cameron lo ha fatto. Adelphi (traduzione di Luciana Bianciardi) ha pubblicato Paura della matematica, un libro che ho lasciato malvolentieri. Dentro ci troverete solitudini, ma anche forme d’amore, segreti, bugie. Se vivere fosse un’equazione basterebbe risolverla per vincere la partita. Ma vivere è un’aporia, non un grattacapo algebrico. Per vivere, secondo Cameron, occorre coraggio e una piccola dose di disillusione, anche se sarà sempre qualcosa di inaspettato a rapirci, a darci la spinta. Le forme d’amore che Cameron racconta sono diverse: il suo sguardo si posa su genitori e figli, su una coppia omosessuale, su due amici che si amano e ancora non lo sanno, su fratelli e sorelle, su nonne e nipoti. Una congerie di relazioni, quelle che conosciamo e fanno parte del nostro esistere. Cameron si muove in queste stanze dell’io con una delicatezza imbarazzante, tra cinismo e carezze. Molti finali sono aperti e non ti mollano più. Restituire a parole un’esperienza di lettura emozionante, seducente è difficile. Provate voi stessi a sfogliare il libro e a posare lo sguardo sulle frasi. Poi mi direte.

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