Bugie, radici che ti costringono e un esterno che ti riflette e giudica; persone che si incastrano male – si amano male. Questo è quello che sviscera, in modo letale ma mai asettico, Elisa Casseri (classe 1984) nel suo La botanica delle bugie, pubblicato a maggio da Fandango Libri.
Seguiamo nel tempo e nello spazio Nicla, Caterina, Giorgio e Quirino e l’evolversi dei loro sentimenti, nello spaccato della provincia italiana dove il restare o sostare ti vincola a un continuo compromesso con te stesso e col mondo. I quattro protagonisti si stringono e allontanano al ritmo delle loro bugie e incomprensioni – noi ne scopriamo la vita a partire dal loro punto di vista sul mondo, che si scambia ed evolve all’interno di una struttura narrativa viva quanto un organismo vegetale.
Ho incontrato Casseri per parlare con lei di scrittura, creazione e aperture da cui far sbocciare le storie – qui quello che ci siamo dette a un tavolino preso in prestito dal self-service del Salone del Libro di Torino.
Il tuo libro si chiama La botanica delle bugie ed è proprio all’universo vegetale che si rifà in molte delle sue parti, dalle fasi della vita alle persone. Germinazione, fioritura, fotosintesi, impollinazione… Da cosa viene questa fascinazione per il mondo delle piante?
In realtà è una domanda interessante perché non viene esattamente dal mondo vegetale, ma da una cosa che mi è successa un po’ di tempo fa. Ho chiesto a una persona molto importante per me come stesse e lei mi ha risposto: “sto sempre nel tunnel, non vedo la fine, allora ho iniziato ad arredarlo”. Così ripensando e immaginando come si possa arredare un tunnel, ho pensato ai mobili, ai quadri, e poi mi sono detta “cosa si porta dopo?”. Dopo si portano le piante. E con le piante resti inevitabilmente legato al posto perché te ne devi prendere cura. Quindi da questa piccola cosa, insieme alla mia ossessione per le bugie, mi è venuto in mente che le bugie sono esattamente come le piante: te ne devi prendere cura. E se te ne devi prendere cura vuol dire che forse queste posso crescere, invecchiare, alla fine anche morire. Cosa succede a una bugia quando nel corso del tempo poi cambia? Il libro è scaturito da questo.
E da cosa nasce questa ossessione per le bugie?
Per quanto mi riguarda, proprio piccolissima, quando mia sorella mi ha insegnato a giocare poker e cosa volesse dire bluffare. E poi subito dopo il marito della mia maestra preferita aveva frodato un paese intero con una truffa sulle assicurazione; e poi ovviamente una serie di cose che credo siano nella vita di chiunque. In realtà la cosa che mi interessava indagare erano anche le bugie che uno dice a sé stesso. e la diversificazione delle bugie: d’amore, non d’amore ecc.
Quirino, Nicla, Caterina, Giorgio. “Siamo sempre di qualcun altro, stiamo sempre con qualcun altro”.
Per quanto a volte dolorosi e meschini, i rapporti umani restano il motore della tua storia.
No, infatti il motore del libro, oltre alle bugie che uno dice a sé stesso, sono quelle all’interno del rapporto con un’altra persona. Nel senso che io utilizzo anche queste forme narrative diversificate. Quella col “tu” è proprio questo: una persona migliore di te che ti guarda e ti giudica. Però il libro – che io ho iniziato a scrivere pensandolo come un libro su una storia d’amore – al termine della scrittura mi sono resa conte fosse diventato un libro sull’amicizia, perché in realtà, come dicevi tu, è un libro sui rapporti tra le persone.
Quanto l’ambiente in cui crescono i personaggi li influenza nella loro formazione e quanto è possibile sfuggire da questi condizionamenti, se è possibile?
Loro ovviamente sono tutti influenzati moltissimo. Nicla soprattutto: Nicla è proprio la dimostrazione che lei è legata a qualcosa che le continuano a dire sarà tutta la sua vita per sempre. Lei dice di staccarsi, di dirsi che questa cosa può cambiare, invece non ci riesce. Non ci riesce e quindi resta legata a quella forma lì. Invece gli altri se ne vanno e trovano delle maniere di cambiare la loro vita. Una mia amica scrittrice, Ilaria Macchia, mi ha fatto notare una cosa a cui io non avevo pensato: per tutto il libro sono importantissime le case. E quindi oltre all’ambiente di cui parli tu, c’è anche un ambiente, come mi ha fatto notare lei, più piccolo che influenza moltissimo anch’esso. I luoghi ti formano, e in qualche modo definiscono chi siamo proprio in una forma spaziale.
I sentimenti nel tuo libro vengono ritratti come qualcosa che rallenta, siano essi positivi o negativi – come amore e odio, ai poli opposti. Sfuggire da essi però porta in qualcosa di geometrico, che cattura e blocca. Tra queste due alternative, siamo in grado di sperare di vivere i sentimenti in un modo che sia diverso o siamo condannati ad amarci “male”?
Quando le persone mi chiedono di cosa parli questo libro, io dico sempre che è un libro di gente che ama male. Io non lo so, non so rispondere a questa domanda. La scrittura è comunque una ricerca, magari la mia ricerca è questa: più sulla domanda che sulla risposta. Se ne avessi una, probabilmente avrei risolto tutti i problemi della mia vita!
Ho intervistato un’altra autrice in questi giorni di Salone del Libro: si chiama Nona Fernández e nei suoi libri lavora molto sulla memoria, sul ricordo. Durante la nostra chiacchierata ha detto che secondo lei il passato e il presente sono delle materie porose: si compenetrano facilmente. Il tuo libro invece si concentra molto nel racconto di attimi, anche piccoli, cristallizzati e sui quali non è possibile operare. C’è un modo per fare pace col passato?
Mentre dicevi questa cosa, mi hai fatto pensare a una cosa sulla quale ho riflettuto scrivendo questo libro. Io lavoro molto per immagini, le bugie per me sono organismi viventi; e credo che la verità sia funzione del tempo. La verità cambia nel tempo. Questo è anche molto legate alle cose matematiche. Questo libro parte da un racconto che si chiama “La divisione per zero è indefinita” e si chiama così per quando iniziamo a studiare ci dicono non si può dividere un numero per zero. Poi a un certo punto studi la teoria dei limiti e ti dicono che il limite di un numero diviso x, per x che tende a 0, ti dà infinito. Un po’ come quando ti dicono che viviamo in un mondo tridimensionale fino all’università, quando fai fisica o matematica e realizzi che non è così: viviamo in un mondo quadridimensionale. Non è che sia una bugia, ma è come se la verità fosse funzione del tempo: cambia a seconda dei periodi, e secondo me questo vale anche nella vita.
E’ un discorso che ho sentito fare anche quando si pensa ai viaggi nel tempo: se tu pensi alla te di quando avevi quindici anni, è un’altra persona. Ha un’altra verità, un altro modo di intendere tutto, quindi se tu la incontrassi non parleresti con te stessa, ma con un’altra persona. Questo secondo me è una cosa alla quale è bello non sfuggire: non sfuggire al fatto che cambiamo noi, cambia quello che pensiamo, e cambiano anche certi assolutismi delle verità.
Ti senti vicina a uno dei personaggi?
Io a livello letterario sono una specie di spugna: ci sono delle cose che mi colpiscono, mi restano dentro in maniera fisica. Poi succede che incontro qualcosa – per adesso sono spesso cose scientifiche – che crea una finestra che fa uscire queste storie. In questo libro c’è la mia osservazione del mondo. E’ un romanzo di fiction, ma ci sono tante cose che ho visto veramente, che partono da un seme che ho incontrato da qualche parte e che ha fatto risuonare qualcosa dentro a livello empatico.
Per i personaggi, sicuramente mi rivedo molto nei due personaggi femminili. Come ti dicevo, mi sono resa conto a un certo punto che questo libro fosse un libro sull’amicizia. Molti amici che incontri ti fanno cambiare, e quindi in qualche modo io assomiglio un po’ a Nicla e un po’ a Caterina, però a nessuna delle due veramente. Delle piccole cose anche in Giorgio, ma essendo donna so e conosco profondamente i rapporti tra le donne.
Hai iniziato a scrivere questo libro prima della tua pubblicazione del tuo precedente “Teoria idraulica delle famiglie” (2014). Quanto è durata la lavorazione?
Ci ho messo un po’ di tempo, quattro anni lordi. Nel frattempo nella mia vita sono successe tante cose. Nel 2015 ho partecipato e vinto il Premio Riccione per il Teatro, un premio molto importante che mi ha buttato nella drammaturgia. Di conseguenza mentre scrivevo il libro, scrivevo altre due pièce teatrali che insieme al testo che ha vinto il premio fanno parte di un trittico tutto su tematiche scientifiche.
Sono stata un anno senza scrivere questo libro, però – credo che questo valga per un po’ tutti gli scrittori – i miei libri si basano molto sui personaggi che diventano parte integrante della tua vita, quindi se tu stai anche per un bel po’ di tempo senza scrivere, loro restano con te. I quattro protagonisti del libro sono stati con me per un sacco di tempo. Ho concluso il libro a giugno dell’anno scorso e ho avuto la sensazione di essermene liberata; non si scrive per libersene però questo è.
Abbiamo nominato la scienza, tu per prima vieni da una formazione scientifica. Come ti sei avvicinata alla letteratura, anche allo scrivere quindi?
In realtà io non mi sono avvicinata alla letteratura, ma all’ingegneria. Io ho cominciato a scrivere i primi racconti quando avevo dodici anni, quindi molto presto.
Anche qui ho una storia personale: sono stata una bambina molto difficile, non sono andata all’asilo perché mi sono rifiutata. E quindi andavo da questo meccanico sotto casa mia e avevo con lui un rapporto proprio formativo; lui diceva sempre a mia madre: lei diventerà un ingegnere meccanico. Nel momento della scelta, amavo molto la matematica e mi sono detta “perché non fare questa scelta qui?”. Adesso devo ringraziare questa decisione, anche un po’ romantica, perché studiando ingegneria sono diventata un possibile ingegnere pessimo – pensavo sempre a come potessero risuonare le cose, le teorie a livello emotivo -, ma circondata da finestre che mi aiutano a fare uscire le storie.
La tua scrittura sa essere ricca e precisa nel linguaggio e riesce a dare vita a una narrazione limata e “studiata”. Hai delle influenze e qual è il tuo approccio alla costruzione dei tuoi testi?
Io sono sempre molto imbarazzata dal rispondere a questa domanda, per un motivo: una volta lessi in una racconta edita minumum fax di John Barth che “uno scrittore crea i suoi precursori”. Io credo di scrivere non perché sono una lettrice, io scrivo per le cose che ho visto.
Tutta la mia lingua è fatta di compenetrazioni di altre cose. Anche quando mi dicono che ho una scrittura che sembra quasi fredda, costruita, invece non c’è costruzione: io penso così.
Anche per i passaggi definiti cinici… per me è tutto caldissimo, super emotivo.
Non ho pensato neanche alla struttura. Inizialmente il romanzo aveva due voci; poi ho iniziato a scriverle e ho capito che Caterina era una terza voce e l’ho aggiunta. Poi ho letto un articolo sulle micorizze, mi è venuta l’idea di affrontare i rapporti umani come simbiosi e così è nato il “noi”. E’ proprio la maniera in cui io penso.
Il tuo libro mi era stato consigliato anche da Viola Lo Moro, una delle organizzatrici di InQuiete. Quanto pensi che la letteratura sia aperta alle donne e com’è vista la letteratura delle donne?
La letteratura è vista molto male, nel senso che ci sono un sacco di preconcetti. Io mi sono scontrata un sacco di volte con uomini che mi hanno detto “io le donne non le leggo”, perché c’è questa visione dell’esistenza di una scrittura femminile. La scrittura maschile non esiste e quella femminile sì? – è un paradosso. Per me i libri potrebbero anche non essere firmati, io leggo a prescindere dal genere.
Poi amo Tuba, InQuiete – ho partecipato a InQuiete Teatro – e apprezzo moltissimo il loro lavoro. Ho fatto la prima presentazione proprio da Tuba: è un posto dove c’è un’aria di ascolto importante, e anche lì non so se è legata al genere – probabilmente sì, ma è importante ci sia questa cassa di risonanza.