Rievocare la violenza sembra essere tornato di moda per aizzare gli animi e conquistarsi un po’ di credibilità nel quadro disperato della politica italiana post-elezioni. Battaglie con il sangue e con i denti, lo scontro di piazza e l’emergenza sociale sono parole che ultimamente si leggono troppo spesso, come a volerle richiamare con intenti intimidatori.
Beppe Grillo ha affermato in passato: «se noi falliamo l’Italia sarà guidata dalla violenza nelle strade». Come a dire che se dovesse vincere lui invece regnerebbe la serenità e gli scontri di piazza (quelli veri e generalizzati) continuerebbero ad essere un ricordo lontano nella mente di chi ha vissuto gli anni di piombo. Se non si lanciano abbastanza sassi contro la polizia il merito sarebbe quindi suo.
Berlusconi invece oggi se ne esce con una frase peggiore: «credo che la sinistra sceglierà anche il presidente della Repubblica e allora daremo battaglia nelle piazze e nel Parlamento». Altra minaccia completamente fuori luogo, come se l’elezione di un Presidente della Repubblica, con il governo eletto che ci ritroviamo, possa essere un atto di per sé illegittimo.
“Battaglie nelle piazze” e “violenza nelle strade” quindi.
Questi sono i fantasmi agitati da una parte della politica. Non è un bel segno anche perché il pericolo che si cada nella profezia che si autoadempie è reale: in sociologia, si tratta di un evento che accade per il semplice fatto di essere stato espresso o sbandierato in tutti i modi ed è un concetto che fa riferimento sia all’economia finanziaria che alla psicologia sociale.
Il primo a definirla fu Robert Merton che nel 1948 scrisse: «se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze». Le conseguenze di un’affermazione, seppur falsa e se fa leva su situazioni di vero tracollo sociale, possono scatenare conseguenze reali e quindi battaglie nelle strade e lotte nelle piazze. E non viviamo forse in uno dei periodi più bui della storia della nostra economia? Non dobbiamo fare i conti con un mercato del lavoro chiuso? Se non addirittura assente?
Spero di sbagliarmi ma se il grande precariato italiano prendesse seriamente coscienza di sè, e se vedesse in questa o quella parte politica che parla di “violenza nelle strade” la propria rappresentazione ideale, ci potremmo tranquillamente ritrovare di nuovo la gente con le pistole in mano e, sinceramente, quegli anni credo non manchino a nessuno. Anche perché si tratterebbe in ogni caso di una guerra tra poveri.