A sangue freddo di Capote: leggerlo cinquant’anni dopo

Con i libri funziona come con le persone: ci si studia, ci si gira intorno, ci si trova. Tra me e A sangue freddo di Truman Capote è andata così: un sabato pomeriggio sul finire dell’estate sono entrata in libreria e l’ho scelto. Erano anni che volevo leggerlo. Erano anni che volevo farmi un’idea di quello che è considerato un capolavoro della letteratura. Leggere a distanza di cinquant’anni dall’uscita A sangue freddo non vuol dire apprendere una storia o passare il tempo. Vuol dire dare spazio a una scuola di stile, a un nuovo tassello della propria formazione umanistica e letteraria. È una lettura impegnativa ma appagante, come lo è quella di un grande classico.

Come nasce A sangue freddo

Capote, avvezzo alla scrittura fin da bambino, sul finire degli anni Cinquanta si chiede se sia possibile trattare con uno stile narrativo e non cronachistico un avvenimento reale, che nulla ha a che vedere con l’invenzione. La scintilla si accende quando legge sul New York Times della strage della famiglia Clutter, a Holcomb, nel Kansas: Herbert Clutter, agricoltore, sua moglie ed i suoi figli vengono trucidati senza un apparente motivo nella loro casa da Perry Smith e Dick Hickock, due ragazzi dalla personalità fragile e compromessa. Un fatto che leverà il sonno alla polizia, ai vicini di casa e agli amici dei Clutter, alla comunità locale.

La crudeltà dell’omicidio turba l’immaginario collettivo. Capote parte per il Kansas deciso a raccontare i fatti in un modo mai visto. Chiede alla sua amica storica Harper Lee (vincitrice del premio Pulitzer con Il buio oltre la siepe) di seguirlo e di fargli da assistente. Conoscere i luoghi, chiacchierare con alcuni della comunità di Holcomb, consultare i documenti, intervistare Perry Smith e Dick Hickock richiede a Capote e alla Lee anni di lavoro. Il risultato è un resoconto agghiacciante e bellissimo che si snoda lungo i binari del giornalismo ma con i codici espressivi della narrativa (punto di vista dei personaggi, dialoghi, intrecci).

Capote costruisce con i due assassini dei Clutter una relazione di confidenza: entra nei loro animi, ne descrive le esistenze, le mancanze affettive, le alienazioni. Entra nella loro testa riportandone le bestialità nero su bianco. Con le loro giovinezze distrutte e la loro infanzia infelice Capote quasi si identifica. Questo sviluppo, di forte impatto emotivo, si rivela da un lato il successo del libro, dall’altro l’inizio del barcollamento della mente di Capote che si perde nell’alcolismo.

A sangue freddo appare per la prima volta a puntate sul New Yorker nel 1965 e solleva non poche polemiche. Mentre Capote definisce la sua opera un esempio di romanzo – verità (non fiction novel), coniando il termine che definirà, ad esempio, i reportage di Oriana Fallaci o di Ryszard Kapuściński , la critica lo accusa di voyeurismo e di cinismo. A chi gli chiede se la nascita della non fiction novel sia legata ad una mancanza di fantasia o di ispirazione, lui risponde che no, ad essere privi di fantasia sono quelli che vanno sostenendo queste sciocchezze.

Random House, da parte sua, nel 1966 pubblica A sangue freddo in volume ed è l’inizio di un successo mondiale. Capote viene travolto dalla fama, tra ammirazione e disapprovazione. A sangue freddo lo segna, e segna la sua vita. Noi, oltre il tempo, abbiamo ancora la fortuna di poter godere di un’opera unica nel suo genere. Buona lettura.

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