La guerra trivella la psiche delle persone. Pur rimanendo esternamente illesi, ciò che viene colpito e affondato è il magma interiore. Il vissuto segna, giorno dopo giorno, i tratti che incidono prepotentemente su tutte le personalità possibili ed esistenti. I comportamenti mutano all’insegna dei traumi che sei destinato a portati dietro per tutta la vita. La leggerezza, in casi come questi, è appannaggio di qualcosa di molto più profondo, e che a sua volta si cela nell’inconscio, trovando in esso il giusto rifugio in cui sguazzare in tutta tranquillità.
Uno dei maggiori personaggi letterari in cui è possibile rintracciare queste caratteristiche è Seymour Glass, protagonista del racconto forse più celebre di J.D. Salinger, ovvero Un giorno ideale per i pescibanana, contenuto nella raccolta Nove Racconti (Einaudi, traduzione di Carlo Fruttero). Lui è un reduce della Seconda Guerra Mondiale; trascina con sé il peso notevole dell’aver combattuto sul fronte europeo – lo stesso Salinger fu arruolato nell’esercito americano, prendendo successivamente parte allo sbarco in Normandia – un conflitto che non ha evitato di marchiarlo a vita.
L’altra protagonista del racconto è Muriel, moglie di Seymour. Insieme partono per una vacanza in Florida, dove alloggiano in un albergo tipico della middle class americana. Qui Salinger cavalca l’onda critica nei confronti di una società che cambia davanti ai suoi occhi, e che sceglie di lasciarsi avvolgere da un cinismo spietato. Dopo qualche giorno dal loro arrivo, Muriel riesce a telefonare a sua madre. Il dialogo tra le due è nevrotico, quasi insostenibile per la ragazza. Le parole rispecchiano lo stato perennemente ansioso che la suocera di Seymour prova verso di lui. Un patema d’animo che fa da manifesto per tutti coloro che hanno paura degli effetti collaterali di un qualsiasi trauma vissuto sulla pelle degli altri. A nulla servono le rassicurazioni di una figlia che in tutti i modi cerca di ricondurre il genitore sulla strada del va-tutto-bene. Nell’intento di riuscire a calmare sua madre, Muriel si espone ad una doppia attesa: da un lato ha aspettato a lungo il ritorno del marito dal fronte, dall’altro attende di raggiungere il suo obiettivo con sua madre – e le sue continue preoccupazioni per i comportamenti sospettosi di Seymour.
Nel seconda parte del racconto fa il suo ingresso Sybil, una ragazzina di sei anni che incontra un giovanotto dal fare strano. Mentre tutti sono in spiaggia a prendere il sole, il ragazzo indossa il suo accappatoio. Sotto di esso nasconde un costume azzurro e un corpo incredibilmente bianco. Parla con la piccola Sybil, esercitando su di lei un certo fascino. Ha con sé un materassino sgonfio, e riesce a tirare fuori alcuni segreti che la ragazzina conserva – lì dove falliscono gli intenti di Muriel vincono quelli di Seymour.
Guardando verso l’oceano, il giovanotto Seymour propone di catturare insieme un pescebanana. Inizia così tutta la descrizione di un pesce che per la sua ingordigia si condanna a morte. Si nutre delle banane che crescono all’interno della grotta bananifera, assumendone così tante da rimanere prigioniero nella stessa grotta. I loro corpi lievitano fino all’inverosimile, e la fessura d’uscita diviene una fessura sprangata. La porta per la via di fuga muta in quella per la prigione. Viene spontaneo chiedersi quale sia il ruolo impersonato dai pescibanana. Chi sono? Quali panni vestono?
Preservando la molteplicità dei sensi che vengono fuori dalla maggior parte degli scritti salingeriani, spingersi oltre e cercare il senso – uno dei tanti – racchiuso in questo pesce surreale, non farebbe poi strabuzzare gli occhi a nessuno. Il pescebanana è la rappresentazione dell’ingordigia scaturita dal circolo vizioso in cui ci si ritrova completamente immersi per via delle proprie posizioni. Si assume un’inflessibilità tale da non riuscire più a venirne fuori, condannando sé stessi ad una stupida fine. Puntare tutto sulla guerra, sulle atrocità, e gonfiare a dismisura il proprio ego, lo stesso che mantiene la mente schiava del trauma che ne scaturisce.
Il gesto di Seymour, che si sdraia sul letto gemello a quello di sua moglie Muriel, e che si punta la pistola alla tempia destra per poi spararsi, chiude il racconto con un grido sordo. Il suicido come fine al disagio provato per via dei grilli per la testa contratti sul campo di battaglia. Si sottolinea qualcosa che da sempre non smette di seminare terrore. Una guerra, qualsiasi essa sia, non si ferma al mietere vittime – civili e non – sul campo. Continua ad esercitare la sua forza devastatrice anche tra coloro che si ritengono i vincitori di uno scontro contaminato dall’assoluto patriottismo – che a tanti fa gola. Di persone come Seymour ne è pieno il mondo. Nella sua intera opera, Salinger non ha smesso di marcare più e più volte l’altra faccia della medaglia, quella che tutte le persone coinvolte vedono con i loro occhi e conservano al loro interno. Ne Il giovane Holden abbiamo la stessa impressione. Tutto è dannatamente intriso di retroscena bellici che non consumano soltanto vite, ma che sventrano l’aspetto psichico fino a renderlo inesistente. Un trauma che ci portiamo dietro fin dalla notte dei tempi.
Foto di copertina: J.D. Salinger. for PIFAL. Arturo Espinosa / Flickr