Una delle peculiarità della musica ambient è la capacità di creare una relazione inscindibile tra il suono e lo spazio circostante: più di ogni altra forma musicale, essa è in grado di avvolgere l’ascoltatore con una ragnatela di impercettibili fili emozionali, rendendolo allo stesso tempo fruitore e strumento della medesima esperienza. Droni e melodie aritmiche non trovano difficoltà nel simulare sonorità che il nostro orecchio percepisce come naturali: versi di animali, fruscii della natura, persino il rumore bianco della pioggia -collegati tra loro spesso in un lungo processo di paziente creazione- si dipanano in una sorta di realtà aumentata costruita tramite il solo canale uditivo. In un certo senso il risultato è obbligatoriamente un ciclo di feedback già presenti nell’esperienza sensoriale di chi ascolta, piuttosto che una determinazione diretta orchestrata dal di fuori.
In direzione sorprendentemente contraria, Glass appare come un lavoro di totale innovazione, volto a creare un qualcosa di ancora irrealizzato: un concerto in cui l’ambiente è stato trasformato in performance. Ryuichi Sakamoto e Alva Noto hanno infatti registrato un’intima esibizione dal vivo all’interno della famosa Glass House di Philiph Johnson, celebre opera che per la sua semplicità e per le proporzioni perfette è considerata una delle meraviglie dell’architettura moderna. Ciò che il duo, invitato ad esibirsi come parte dell’installazione dell’artista visuale anticonformista Yayoi Kusama, ha fatto è stato tramutare quest’opera d’arte in uno strumento: microfoni di contatto sono stati posizionati attorno all’edificio e attaccati alla sua struttura di vetro e la scelta dell’attrezzatura musicale è caduta su coppe, tastiere, crotales e bacchette di gong con teste di gomma, da poter sfregare sulle superfici. Il risultato ottenuto è quello di un ambiente plasmato dalle onde sonore ma che allo stesso tempo restituisce al suono stesso un’originalità altrimenti inarrivabile, garantendo ed, anzi, enfatizzando gli scatti e le imperfezioni che si uniscono alle melodie. È naturale quindi che l’album consista in una singola traccia appena sotto i 40 minuti e che la registrazione risultante sia una documentazione di uno spazio sonico improvvisato, piuttosto che un pezzo musicale consapevole e pianificato. Spostamenti tonali continui e trame spettrali completano uno spaccato di maestria compositiva.
Non è un caso che siano proprio questi due artisti ad aver intrapreso una strada di rottura con la tradizione precedente in un tentativo estremo di sperimentazione, ridisegnando i confini dell’ambient -storicamente modellata su algoritmi di studio e pazienza- in un approccio del tutto innovativo, che mescola performance live e improvvisazione. Glass è già la settima collaborazione tra il maestro giapponese Sakamoto e l’artista elettronico tedesco Carsten Nicolai (più conosciuto appunto con il moniker Alva Noto). Dopo sedici anni dal debutto con Vrioon e la forse più famosa recente collaborazione per la colonna sonora del film del regista Alejandro Gonzales Inarittu, Revenant, questo lavoro è tutt’altro che un traguardo raggiunto, ma si pone, invece, come punto di partenza per uno sperimentalismo senza compromessi, già affinato e sviluppato, ma ansiosamente proteso verso ulteriori esplorazioni nei paesaggi e negli umori musicali.
Più che di uno sforzo di comprensione, il disco richiede un ascolto immersivo fin dall’inizio; se un album “normale” composto da una decina di tracce può essere paragonato ad un romanzo a capitoli, Glass allora è un singolo poema di versi ininterrotti. Ad un’ouverture composta da suoni in sottofondo e battiti lontani, vanno ad aggiungersi ben presto droni sintetici e trame granulari, che donano spessore all’intreccio: da un lato le melodie che enfatizzano la fragilità del vetro, dall’altro i synth che ne sottolineano la robustezza, conferiscono alla composizione una dualità destinata a combattersi per tutti la durata del brano. Anche il più brusco tra l’assortimento di suoni, come le urla aliene prodotte da Sakamoto che trascina un microfono a contatto sul vetro, non si avvertono come dissonanti: creando pieghe nella percezione di chi ascolta, si muovono con leggiadra naturalezza all’interno di questo pastiche di frammenti sonori che i due artisti dipingono in un inarrestabile alternarsi di evoluzione e dissolvenza.
Indossata una maschera di apparente semplicità in superficie, Glass si discosta dalle passate collaborazioni, tralasciando sia gli impulsi zapping di Alva Noto che l’eleganza del piano di Sakamoto. Si tratta, infatti, di un complesso lavoro di registrazione grazie al quale i due artisti hanno ricamato un arazzo sonoro di grande e oscura bellezza. Il proficuo legame tra il producer tedesco e il maestro giapponese, ha permesso ad entrambi di corredare di nuove tinte le già imponenti tavolozze di composizione. E il vetro ha fatto il resto: come elemento di unione in un atto di alchimia sonora, ha trasformato quella che sarebbe potuta essere una semplice esplorazione ambientale in un’esperienza onirica ed emotiva, in cui il confine tra conscio e inconscio è ridotto ormai a sottilissima membrana.