Non tutte le migrazioni sono uguali, ma spesso le ragioni di una partenza sono le stesse. L’illustratrice e autrice Bruna Martini lo racconta in Roots. Radici, il suo secondo graphic memoir pubblicato da BeccoGiallo. Dopo averla intervistata in occasione dell’uscita del suo primo libro Patria sono tornata a farle qualche domanda per comprendere le motivazioni che l’abbiano spinta questa volta a concentrarsi proprio sul tema dell’emigrazione italiana di ieri e di oggi.
Dopo due anni dall’uscita della tua prima graphic novel Patria. Crescere in tempo di guerra sei tornata in libreria con Roots – Radici. Quali sono le analogie e le differenze tra i due libri?
Sia in Patria che in Roots ho scelto di raccontare storie ordinarie, perché sono attratta dalla cosiddetta letteratura sommersa. Spesso le vicende delle persone comuni aiutano a capire meglio un certo periodo storico o un cambiamento all’interno della società. Eppure queste storie sono state quasi del tutto dimenticate. Da una parte c’è l’esperienza durante l’epoca fascista di mia zia bambina, dall’altra quella da migrante del protagonista di questo nuovo romanzo. In entrambi i casi il punto di vista è quello di chi non è stato assurto agli annali della storia. Anche per quanto riguarda lo stile ci sono diverse affinità tra i due libri: l’approccio è sempre quello di una storia grafica, in cui le illustrazioni e il testo sono mescolate agli oggetti di cui i personaggi si erano circondati in vita. Penso che proprio dagli oggetti si possa evincere molto sui principi delle persone.
Le differenze che si possono trovare riguardano, invece, il tipo di destinatario. Per Patria è stato naturale pensare a ragazzi e bambini, mentre Roots è un libro più da adulti, indirizzato a coloro che affrontano il tema dell’immigrazione o che hanno visioni politiche sull’argomento. Con questo libro mi piacerebbe avviare una conversazione sui migranti.
Il protagonista di questo graphic memoir è il tuo prozio Gracco Cornelio Rondalli, un uomo che all’inizio del ‘900 decise di emigrare in Argentina partendo da Calolziocorte, una cittadina in provincia di Lecco. Gracco era il primogenito di una famiglia benestante e non aveva apparente motivo per spingersi dall’altro capo del mondo. Cosa hai scoperto dalle tue ricerche? E com’è stato lavorare all’interno degli archivi?
All’inizio non avevo proprio nessuna informazione sul perché questo mio prozio avesse deciso di partire per un paese tanto distante. Ho trovato il testamento di suo padre dove ripartiva i beni e le proprietà tra i cinque figli e quella è stata la prima volta in cui ho scoperto che i figli non erano solo quattro. Ne esisteva infatti un quinto che era anche il primogenito, cioè la persona che all’epoca avrebbe dovuto ereditare la fortuna di famiglia. Questa storia ha acceso in me la curiosità, oltre al fatto che Gracco Cornelio è un nome talmente assurdo che è difficile da dimenticare.
È stato interessante notare che le ragioni della sua migrazione non erano esattamente quelle della maggior parte degli italiani del tempo, cioè la miseria, la mancanza di lavoro o di terra. Le sue motivazioni erano più vicine a quelle della generazione di cui faccio parte, cioè di chi desidera sotto certi aspetti una vita più soddisfacente sotto e magari non riesce a trovarla a casa.
Cercare i documenti durante il periodo del Covid-19 è stato un po’ difficile perché chiaramente c’erano pochi appuntamenti e molte limitazioni, quindi ho dovuto mandare moltissime email per ricevere le informazioni di cui avevo bisogno. Gli uffici a cui mi sono rivolta sono aperti a tutti, ma ho dovuto attendere parecchio tempo. Anche una volta dentro gli archivi non ci si può muovere liberamente perché è sempre necessaria la presenza di un addetto, una figura estremamente importante per la corretta interpretazione dei documenti scritti a mano. Una volta arrivata in Argentina, invece, la situazione è stata più semplice perché sono tantissimi gli argentini che hanno avi italiani e sono tutti interessati a ricostruire le proprie radici. Dimostrando di avere un antenato italiano possono richiedere il passaporto e di conseguenza ottenere la doppia cittadinanza.
Credo sia molto importante ricordare che le nostre scelte individuali non sono mai soltanto in mano a noi, ma vengono condizionate anche da una serie di eventi sociali. Quando ho saputo perché Gracco era emigrato ho studiato i flussi migratori e ho imparato che i conflitti interni, la Prima Guerra Mondiale, gli scioperi e la lotta di classe avevano influenzato all’epoca molti italiani a partire. Allo stesso modo le persone della mia generazione decidono di emigrare semplicemente per trovare lavoro oppure perché si fanno promotori di quei valori di autorealizzazione della felicità personale che si sono imposti negli ultimi vent’anni. Quindi le nostre scelte non sono mai solo dipendenti da noi, ma da tutto il contesto.
Dopo aver letto alcuni documenti sull’emigrazione italiana in Argentina ho scoperto che gli italiani vivevano nella miseria anche di più rispetto a come vivevano in patria. In più erano spesso sottoposti a discriminazioni e umiliazioni o nel migliore dei casi erano isolati. Vedendo le fotografie o ascoltando i racconti in cui li sbeffeggiavano, ho trovato un parallelismo tra come erano trattati i nostri antenati e come trattiamo i migranti che da paesi più poveri raggiungono oggi l’Italia.
Le motivazioni che portano i migranti di oggi ad andarsene da dove sono nati e cresciuti sono praticamente le stesse dei migranti di ieri: povertà, fame e guerre. Cercando di mantenere viva la memoria vorrei lanciare un messaggio: evitare di ricadere sempre negli stessi errori e influenzare parte della politica e della società che riserva, invece, atteggiamenti di superiorità razzista a chi arriva nel nostro paese. Roots è sia per chi si è scontrato con l’immigrazione in passato sia per chi non ha mai dovuto lasciare tutto e scappare, ma vive il problema dall’altra parte e non sa bene come gestirlo.
Roots è scritto in tre lingue: italiano, spagnolo e dialetto bergamasco. Perché questa scelta?
Si tratta di una scelta legata al concetto del graphic memoir e all’esigenza di raccontare le storie come si sono realmente verificate. Nella zona di Calolzio la maggior parte dei contadini e degli operai non parlava in italiano, ma si esprimeva esclusivamente in dialetto. La differenza di classe passava anche attraverso il linguaggio, quindi Gracco che aveva studiato ed era un po’ più abbiente parlava in italiano, mentre la persona di cui si era innamorato e gli altri contadini della zona parlavano solo in dialetto. Volevo mantenere questa differenza proprio per mostrare le diverse origini di questi personaggi. Ho letto molti saggi che raccontano come gli italiani in viaggio non si capivano tra di loro perché sulle navi c’erano persone provenienti da regioni diverse sia del Nord che del Sud. Tutti parlavano il proprio dialetto e nessuno si capiva. L’Italia era una nazione giovane, creata circa settant’anni prima, non c’erano modelli di vita e di valori in comune e in pratica non c’era un vero e proprio linguaggio che potesse avvicinare le persone. Scegliendo di utilizzare italiano e dialetto ho cercato di mantenere questa dicotomia e sono andata avanti a mantenerla. Di conseguenza, per mantenere l’autenticità e la freschezza del racconto orale ho inserito qualche frase in spagnolo e ho cercato di replicare la lingua parlata da Marta, la figlia di Gracco.
INTERVISTA – ANALFABETISMO from Bruna Martini Films on Vimeo.
Come è stato incontrare Marta per la prima volta?
Molto emozionante! Ci abbiamo messo una decina di mesi per organizzare il nostro incontro. È stato strano perché da subito, nonostante la differenza di età e lo stile di vita – Marta ha 75 anni e abita nella campagna rurale argentina -, ci siamo trovate sulla stessa lunghezza d’onda. Abbiamo cominciato a chiacchierare dal primo giorno e non abbiamo più smesso.
Quali sono le differenze dal punto di vista delle illustrazioni rispetto a Patria?
In primo luogo il tratto scelto per realizzare le illustrazioni sono cambiate perché il destinatario è più adulto, in secondo perché volevo segnalare le diverse fasi temporali in cui si svolge la storia attraverso due stili grafici differenti. Ogni volta che parlo di Gracco siamo nel passato quindi uso l’acquerello che mi sembrava più adatto a rappresentare questo tipo di scene. Quando parlo, invece, della mia storia, ricostruendo la vita di Gracco e facendo le mie riflessioni siamo nel presente e utilizzo il pastello.
In Patria c’era una tavolozza di colori molto limitata perché volevo dare l’idea di una bambina a scuola che ha pochi pastelli a disposizione per creare il suo diario, mentre in Roots mi sono sentita più libera nella mia scelta cromatica e di conseguenza la tavolozza è più ampia a seconda del capitolo. In sintesi credo che la vera differenza in quest’ultimo lavoro lo faccia l’introduzione dell’acquerello che aiuta a definire meglio le scene naturalistiche.
Mi è sembrato di vedere che tra i personaggi di queste tavole ci sei anche tu!
Proprio così! Ho deciso di disegnarmi come il personaggio di un cartone, mentre tutti gli altri personaggi sono basati su fotografie quindi sono più reali di me.
Sei una sorta di narratrice silenziosa, non troppo invadente.
Esatto! Il mio ruolo all’interno della graphic novel è quello di una mediatrice. Voglio dare più rilevanza al progetto di ricerca, facendo vedere come si raccolgono le informazioni e inserendo alcune riflessioni sul concetto di identità del migrante.
Penso di sì ed è per questo motivo che mi sono affezionata subito a questo personaggio. Credo che per Gracco le ragioni principali della sua partenza non fossero materiali. Desiderava vivere una vita più libera con la persona che si era scelto e che la famiglia, invece, non accettava. La sua è stata sicuramente una vita più difficile, ma di gran lunga più avventurosa. Una volta finito il liceo volevo lavorare in ambito artistico, ma in un paese piccolo come Calolzio non era visto di buon occhio. Mi sono trasferita prima a Londra e poi a Brighton per essere più libera di rincorrere il mio sogno, un po’ come aveva fatto Gracco emigrando in Argentina.
La tua passione per le saghe famigliari è evidente. Ci sono dei libri che appartengono a questo filone che ti hanno particolarmente influenzato?
Ho una grande passione per i graphic memoir in generale. Tra quelli che mi hanno influenzato di più ci sono Persepolis di Marjane Satrapis che attraverso la sua esperienza individuale racconta anche il cambiamento dell’Iran, Ritorno all’Eden di Paco Roca, in cui l’autore trova una fotografia di sua madre e dei suoi fratelli a cui manca, però, all’appello uno dei membri di questa famiglia. Infine L’arabo del futuro di Riad Sattouf, un’artista siriano naturalizzato francese che racconta la sua infanzia cercando di capire quali siano le differenze tra il paese in cui era nato e cresciuto e la Francia dove poi si era trasferito. Attraverso il graphic memoir anche lui racconta una storia personale che diventa universale. Questi sono i tre autori che mi hanno maggiormente ispirata, la loro capacità di raccontare storie è formidabile.
Nel video trailer che accompagna l’uscita di Roots c’è anche tuo padre, in che modo ti ha aiutato nella realizzazione del volume?
Mio padre ha perso entrambi i genitori quando aveva quindici anni, quindi non ha mai parlato troppo della sua storia famigliare proprio per il dolore di affrontare un tema così difficile. Quando ho iniziato a sviscerare la storia di Gracco avevo paura di aprire delle ferite non ancora sanate, invece pian piano mio padre si è dimostrato innanzitutto interessato alla ricerca, poi ha cominciato di sua iniziativa a incontrarsi con l’archivista del paese, è andato all’ufficio anagrafico e mi ha mandato alcuni documenti, dimostrandosi di enorme aiuto e supporto. Ha scoperto di avere una passione nel ricostruire le storie di famiglia e ancora oggi, quando ci sentiamo al telefono o quando ci incontriamo, vuole parlare solo di quello.
C’è una frase che dice tuo padre in questo video che mi ha particolarmente colpito: “Il problema della memoria è questo, se non la tieni sempre viva scompare”. Secondo te quale può essere un esercizio utile per allenare questa facoltà?
Mi viene in mente la consuetudine dei nostri nonni di mantenere dei diari famigliari dove incollavano diverse fotografie che avevano scattato a cui aggiungevano cartoline, un testo scritto a mano o un mazzolino di fiori raccolto durante una gita. Uno di questi è il diario di mia nonna, la madre di mio padre, che ho divorato per la stesura di questo libro. Leggendolo mi sono resa conto che quello che faceva mia nonna è un po’ quello che fa chi scrive storie famigliari. Oggi facciamo foto di continuo con il telefono, però sono così tante che di rado capita di andare a riguardarle. Abbiamo la tendenza a lasciarle lì a prendere polvere digitale, senza mai etichettarle o schedarle. Mettersi ogni tanto a fare ordine, stampare le più belle e significative e farle vedere a parenti e ad amici potrebbe essere un modo per mantenere viva la memoria.
INTERVISTA – LA MEMORIA from Bruna Martini Films on Vimeo.