“Ben [Bernanke] ha fatto un gran lavoro in qualità di presidente della Fed, aiutando l’economia ad affrontare la peggiore recessione dal 1930 e allontanandola dall’orlo di una nuova depressione”. Queste sono le parole di Obama nel 2009 quando ha riconfermato Ben Bernanke come presidente della Federal Reserve (per chi non lo sapesse, si tratta della Banca Centrale degli Stati Uniti).
L’uomo in questione, salutato da varie amministrazioni (compresa quella di Bush figlio) quasi come un eroe, ha dichiarato nel maggio 2007: “Non prevediamo un’ampia o grave trasmissione alle banche o alle istituzioni di gestione del risparmio dei problemi nel mercato dei subprime.” [1] I subprime sono quella particolare forma di mutuo, perlopiù immobiliare, ad alto rischio – che veniva valutato anche in tripla A dalle agenzie di rating – che hanno causato l’attuale crisi economica globale. Nel febbraio 2008 dichiarò di preoccuparsi solo per alcune banche regionali e che il sistema di per sé era solido e teneva bene. Non più di un mese dopo la Bear Stearns è affondata in un mare di insolvenze.
La storia che segue è cosa nota: falliscono numerose banche, tra cui la Lehman Brothers e la Goldman Sachs che da banca finanziaria passerà a banca normale (all’epoca il Senior European della Goldman era un certo Mario Monti) e gli effetti si propagheranno fino ai mercati europei creando una crisi del debito che vedrà il collasso della Grecia.
Dall’altra parte Romney viene ufficialmente finanziato dalla Goldman Sachs e dalle iper-banche che se ne sono ampiamente fregate di quello che è stato dei debiti cartolarizzati e dall’ultra-liberismo del quale si fanno porta-bandiera. Romney addirittura nel suo programma parla ancora – con un ostinazione che sembra un ceco dettato imposto – di Welfare Corporation, in particolare vuole destinare quattro miliardi di dollari alle Big Oil per poter continuare a preforare in giro per l’oceano. Altro che ambientalismo e energia alternativa – Obama parla di eolico e di geotermico, promesse che per ora lasciano il tempo che trovano.
Per avere una vaga idea della composizione finanziaria ufficiale delle campagne elettorali, riporto dei dati che prendo a piene mani da Repubblica: “I primi cinque finanziatori di Romney sono per ordine di importanza: Goldman Sachs (676 milioni di dollari), JpMorgan (522 milioni), Morgan Stanley (518 milioni) Bank of America (510 milioni) e Credit Suisse (427 milioni). Il maggior sostenitore di Obama che è la Microsoft (443 milioni) spende quanto il quinto finanziatore di Romney, segue Google (357 milioni) Comcast (235 milioni), Time Warner (230 milioni) e Ibm (147 milioni).”[3]
Allora la domanda sorge spontanea. Perché confermare uno come Ben Bernanke che tutto sembra, tranne uno che gioca una partita contro il neo-liberismo e le banche? A questa domanda, sono convinto, non avremo mai risposte sensate. Lungi da me sparlare di complottismo o ciarlare di New World Order, però mi chiedo semplicemente… perché? Probabilmente la risposta sarebbe simile a quella che si darebbe a “perché Monti, Senior European Member della Goldman ai tempi della crisi che ha fomentato il debito, è ora senatore a vita e premier?”
Un’altra questione spinosa è stata quella riguardante l’Obamacare, la riforma sanitaria di Obama che è stata salutata il giorno stesso come un grande punto di forza progressista, per poi trasformarsi il giorno dopo in una grande delusione dato che si poteva – e si doveva – fare di più. Ciò che è stato varato non è neanche un vago tentativo di riassumere le più sociali politiche europee in fatto di Sanita, ma bensì una serie di sgravi fiscali che porterebbero il 94% dei cittadini non anziani a poter sottoscrivere un’assicurazione con una qualsiasi compagnia di assicurazione sanitaria. Questa cosa è “simpatica” se la si guarda da un certo modo di approcciare al sistema d Welfare, ma davvero poco considerato che sembrava che da lì a poco sarebbero state cancellate le assicurazioni sanitarie.
Romney per la sanità ha semplicemente dichiarato di voler cancellare l’Obamacare e ripristinare il vecchio sistema: i conservatori texani sparerebbero in aria dalla gioia.
Una nota a parte vorrei riservarmela sui modi con cui questa campagna elettorale è stata giocata. L’impatto sull’immaginario collettivo di Obama è stato immenso nel 2008 con il brand “Yes We Can” e ora tenta di replicare con il “Forward”. Romney tenta con il noiosissimo “A Real Recovery Begins Today” senza spiegare come intende creare questo “Rea Recovery” dato che finora le sue proposte sono semplicemente quelle di voler tornare indietro ad un neo-liberismo reaganiano.
Sul problema razziale credo sia inutile soffermarsi dopo le duemila gaffe di Romney sul colore della pelle e sull’ormai leggendaria questione delle noccioline offerte alla cameraman di colore da parte del suo staff durante la convention repubblicana. Però non riesco a togliermi dalla mente un pensiero… le gaffe sono state davvero gaffe? O si voleva mandare un messaggio velato all’elettorato razzista (che nella White America non è proprio poca gente purtroppo)?
Una nota dolentissima, forse rivelatrice riguarda la questione Chrysler. Ricordate l’anno scorso quando Obama firmava le auto ed era felice, salutava Marchionne – che si sentiva un po’ Mick Jagger, anzi Bruce Springsteen, – e abbracciava gli operai? Quegli operai abbracciati sono passati definitivamente, al 100% in mano di privati. Quella che era un’azienda a partecipazione pubblica – è diventata “indipendente” con tutte le conseguenze che questo concerne su contratti e sindacati. Marchionne in Italia vuole fare una specie di copia incolla un po’ blasé, vagamente mussoliniana (nella volontà di sbattere fuori la FIOM dalla FIAT lasciando quei sindacati che si ostinano a leccargli i piedi) e anche un po’ irrispettoso considerati i ricatti di esternalizzazione che continua a sputare ogni tanto.
Questa analisi breve, scarna e probabilmente insufficiente non vuole essere né un quadro esaustivo dell’operato di Obama né una rappresentazione efficace del programma di Romney. Lo scopo è solo quello di evidenziare alcune contraddizioni interne e far notare qualche sciatteria per poter porsi delle domande e interrogarsi sul reale valore di queste elezioni.
Se posso parafrasare la mia opinione in due versi, lo farei così:
Romney NO!
Obama NI!
[1] R. Posner, Un fallimento del capitalismo, Codice Edizioni, 2011, pag. 81