Rolling Stones – Blue and Lonesome

Tenere insieme il mondo negli ultimi tempi è un’impresa complessa, ma la gaia vecchiezza del nuovo album dei Rolling Stones restituisce un po’ di speranza. Keith Richards era un convinto sostenitore del roll, non ci si sporca le mani solo con il rock ma anche col roll – ci teneva a dire, che poi è la parte più complicata degli Stones, quella che ha a che vedere con il sound più blues, e nei suoi momenti più rarefatti può diventare monocorde. Ma come si potrebbe rinunciare al roll? I Rolling Stones con Blue and Lonesome mettono subito in chiaro che al roll non rinunceranno mai, che nella loro produzione artistica non c’è spazio per il concetto di resa, e che essere sempre giovani è uno stato mentale.

Scrivere dei Rolling Stones vuol dire teoricamente avere la possibilità di scrivere di un mezzo secolo di storia: it’s only rock ‘n roll but I like it. Non è soltanto una questione di rock’n’roll, potremmo incrociare Mick Jagger e soci con tutto, per esempio con la morte di Fidel Castro e il loro concerto a Cuba, con la diatriba con i Beatles e il pop d’autore, con la retorica dei vecchi dinosauri che non sanno più suonare e invece no. Nel 2016 David Bowie e Leonard Cohen hanno saputo dimostrare che si può riuscire nell’impresa titanica di fare musica a qualsiasi età (persino alle porte dell’appuntamento con la morte). Per una generazione come la nostra, abituata a credersi vecchia e reazionaria in risposta alle circostanze e alla velocità degli eventi che la circondano, la lezione di stile che ci hanno dato questi vecchi mostri sacri è solo da portare in saccoccia. Si può essere profondamente creativi anche a 80 anni, sussurra un vecchio Cohen in versione canto del cigno, si possono raccontare ancora storie interessanti.

Stesso discorso vale per il rock e il roll dei Rolling Stones: non sono morti, sopravvivono meravigliosamente al passare degli anni. E perché noi dovremmo rinunciare e smettere di cantare anche nei tempi più cupi. Questo pezzo di storia che viene dall’Inghilterra ci offre una speranza ancora viva: il blues dei magici ’50, ’60 e ’70 resiste e affina le nostre orecchie, è ancora una rivoluzione da gustare. Del resto i Rolling Stones prima di scrivere e incidere pezzi originali erano soprattutto un gruppo di tradizione blues che suonava i grandi classici del tempo. Solo in un secondo momento decisero di buttarsi nel carnaio della creatività, seguendo la strada tracciata dei “rivali” Beatles: bisognava buttare fuori qualche pezzo originale (e così esigeva anche il mercato). Furono gli anni della coppia Jagger/Richards che sfidava a muso duro Lennon/McCartney, ma anche quelli del parallelo decadimento di Brian Jones – ma non è questa la storia di cui vogliamo parlare.

Il disco si apre con Just Your Fool, pezzo inciso originariamente nel 1960 da Little Walter, e questo sound sporco delle chitarre ci fa fare un bel giro nel tempo sin da subito. Non è il solo pezzo dello storico blues-man Little Walter, la title-track Blue And Lonesome ci rimette in pace con lo spirito, la voce di Jagger è malinconica, un portento sonoro. Portentosi anche i due pezzi che vedono la partecipazione di Eric Clapton, non a caso scelto per la sua vocazione da chitarrista blues: Everybody knows about my good thing e I can’t quit you baby. Rispettivamente, il primo registrato per la prima volta nel 1971 da Little Johnny Taylor, e il secondo da Otis Rush nel 1956.

Che i Rolling Stones si siano divertiti a suonare e cantare e registrare il vero spirito del blues che li ha riportati alle origini si sente e respira per tutta la durata del disco: di recente hanno raccontato di come – al momento di mettersi a incidere nuovi brani – le session di improvvisazione di vecchi pezzi li abbia talmente divertiti da fargli cambiare idea. Impressiona la voce ancora forte di Jagger, che sa ancora gridare e sbattersi, ma la cosa non ci sorprende nemmeno più di tanto, accompagnato da quell’armonica che ritorna a suonare su tutto il disco e fa tanto vecchia epoca. Ora vi starete domandando, in un duemilaesedici di strazio e lotta, in questo nuovo mondo senza coordinate, cosa ce ne faremo ancora del blues? Buttiamoli via questi Rolling Stones, e insieme a loro bruciamo Cohen e Bowie, lasciamo spazio alla gioventù.

Ma siete sicuri di non riuscire a trovare la gioventù in I Gotta Go? Aprite le orecchie stamattina, e dimenticate tutto il resto: davanti a noi c’è il mondo intero da prendere. E non c’è spazio – non c’è davvero spazio – per questo stanco ritmo reazionario del Ventunesimo. Il blues è ancora vivo, e vuole risvegliarci lo spirito.

 

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