Non è la prima volta che Papa Francesco finisce sulla copertina di Rolling Stone, l’edizione americana gli aveva già riservato l’onore nel Gennaio del 2014, il pezzo che accompagnava il numero di RS a firma di Mark Binelli titolava dylanianamente Pope Francis: The Times They Are A-Changin’, e si interrogava sulla sua gentle revolution, perché è pur vero che questo Papa ha una capacità di riavvicinamento alla Chiesa cattolica. Non ci sarebbe nessuna notizia – dunque – nel mettere un Papa in copertina, tantomeno sulla rivista rock patinata per eccellenza.
Semmai l’aspetto che mi ha colpito nella scelta di Papa Francesco come protagonista da copertina del nuovo numero di Rolling Stone – edizione italiana – è semplicemente la motivazione: “perché dice cose di buon senso, talmente di buon senso che la sua solitudine comincia ad essere palpabile“. Viviamo davvero in un’epoca in cui dire “cose di buon senso” comincia a diventare rock’n’roll, un atto di vera contestazione? Quello che ci scandalizza oggi non è più Keith Richards che fuma le ceneri del padre, ma chiunque – in controtendenza all’umore popolare – lanci una parola a favore dell’accoglienza degli immigrati? Siamo diventati così vittime del lepenismo andante da doverci rifugiare nel buon senso per resistere ai tempi?
È questo l’aspetto che mi interessa della copertina di Rolling Stones. Il fatto che sia stato messo in scena un capovolgimento così diretto e forte, un po’ come il marxismo che capovolse Hegel: il buon senso come atto di provocazione ai tempi contemporanei, il buon senso che si fa rock. Allora diventa naturale che rifletta sui miei tempi, è davvero questo il maggior grado di provocazione e dissenso che siamo capaci di creare per rispondere alla grande cappa conservatrice che sta avvolgendo le nostre vite, a quel vento che viene a prenderci fin dentro le viscere qui in Europa, e che grida alla cacciata dello straniero, ai confini nazionali, ai muri, al protezionismo, alla chiusura, alle frontiere? È davvero tutto da derubricare solo come una faccenda di buon senso o meno? È davvero questa l’unica alternativa che ci resta? È davvero questa l’alternativa desiderata dalla gioventù?, la rivolta morale del buon senso?
Naturalmente non ci credo. Ma è questa la provocazione di Rolling Stone, e devo ammettere che è una provocazione riuscita. Se osserviamo da vicino noi stessi, le nostre anime che un tempo furono animate da spiriti di contestazione (o rock, come gradite), dobbiamo ammettere che ci siamo rammolliti, e che un poco a questo buon senso abbiamo ceduto. Mentre intorno a noi c’era chi si appropriava del linguaggio e dei toni più scorretti o sopra le righe, qui non restava che giocare a palla nel giardino incantato – come direbbe De André (o come lo parafraserei). Non avevamo altra scelta del ribadire la banalità, meccanismo che ci portava ad essere noiosamente banali. Questa è forse la testimonianza più viva – e contraddittoria – dell’epoca schizofrenica in cui viviamo.
Ci siamo addestrati al buon senso per non essere reazionari. Lo stesso rock, questa forza motrice umana che ha sconquassato un’epoca, è andato sempre più lentamente ad adeguarsi alla direzione della patina del buon senso. Al nostro lento inesorabile sconfitto ammaestramento alle risposte corrette. Abbiamo lasciato ad altri l’occasione di dire che parliamo un linguaggio troppo patinato – politicamente corretto, che non abbiamo più la forza del contro-pensiero dalla nostra parte, le grandi ali della storia, il potere sovversivo del rock e il suo linguaggio fisico e morale, l’arte stessa del dissenso, l’urlo del no, la bestemmia. Ci siamo adeguati ai tempi, perché i tempi hanno voluto così. E abbiamo risposto con la banalità, ma la banalità non è una proposta.
Così quella copertina mi ha disorientato, perché mi è stato tutto più chiaro. Il modo in cui ci stiamo arrendendo, le contro-risposte che non riusciamo a creare, l’intero dibattito dell’umanità ridotto a un sordo scambio di vedute tra il bianco e il nero. Mi è stato chiaro che avevamo perduto il diritto alle sfumature. E che i giovani che verranno avrebbero diritto alle sfumature. E anche a un rock’n’roll che stia assolutamente alla larga dal buon senso.
Naturalmente non sto dicendo di abbandonare la nostra disperata e privata lotta di emancipazione dai peggiori degli istinti e sentimenti umani. Ci meritiamo qualcosa in più del buon senso a intermittenza della Chiesa cattolica, e un’arte un pelino più provocatoria di un video dei Green Day contro Donald Trump.