Le radici, la famiglia, le passioni, la metafora tra i tempi di fermentazione del buon vino e quelli dell’esistenza, dell’amore. Sono i temi di Ritorno in Borgogna, il nuovo film di Cédric Klapisch, da qualche giorno nelle sale. È un film che gioca molto sulla fotografia, che mette al centro la natura statica eppur vivace della Borgogna, regalando allo spettatore evasioni e introspezione. Un film che non consiglierei a chi ricerca l’azione a tutti i costi, ma a chi apprezza la lentezza, la narrazione del quotidiano, di vite altrui.
La voce narrante è di Jean (Pio Marmaï), primogenito di un imprenditore vitivinicolo che cresce in campagna, imparando fin da bambino la durezza e la magia di produrre vino e di godere di spazi naturali. Ha una sorella, Juliette (Ana Girardot) e un fratello, Jeremie (François Civil). Jean ha un rapporto conflittuale col padre, che da lui pretende attenzione e rigore. Jean sviluppa un’avversione per la tenuta di famiglia e non appena ne ha la possibilità scappa fino in Australia, dove, per diverse ragioni, non riesce a mettere radici, lasciandosi alle spalle il passato. Eventi familiari lo riconducono a casa, dove Juliette e Jeremie sono diventati adulti: Juliette è ormai la mente dell’azienda di famiglia, mentre Jeremie combatte una battaglia personale contro la sua insicurezza e le ingerenze del suocero.
Quando Jean ritorna a casa, inizia per i tre fratelli un percorso di crescita personale: Jean, come spesso accade, comprende che è impossibile, per quanti chilometri ci si mettano di mezzo, rinnegare le proprie origini, e sarà questa consapevolezza a dargli la spinta per fare ordine nelle sue scelte. Juliette e Jeremie, invece, illuminati dall’esuberanza e dalla dolcezza del fratello maggiore, trovano l’energia per addomesticare il dolore della morte dei genitori e per affrontare situazioni da troppo tempo procrastinate.
Klapisch ci ricorda che vivere non è un’equazione algebrica ma una corrente, un corso, spesso sorprendente. Il tempo è un protagonista indiscusso della pellicola, elemento col quale Jean, Juliette e Jeremie fanno pace, attraversando insieme il dolore e le difficoltà. Altro personaggio chiave del film è Alicia (María Valverde), la compagna di Jean, nonché madre di suo figlio. Da Jean la bella Alicia attende un segno, una presa di coscienza sul come egli intenda vivere e soprattutto dove. Quando sul finale Jean dialoga con il sé bambino (fine escamotage narrativo), lui ha già preso la sua decisione: casa può essere due luoghi, sospesi tra passato e futuro. L’amore invece no, è uno e per tenerselo bisogna combattere. Molto bella la colonna sonora Ce qui nous lie est là cantata da Camelia Jordana. Film consigliatissimo. Effetto collaterale: dopo la visione, avrete voglia di bere vino.