L’attesa e i dubbi erano tanti, tre è un numero importante ed è il punto passaggio da una novità alla creazione di una realtà consolidata che può decidere di iniziare a insegnare qualcosa. Non si è mai trattato solo di riempire i momenti di disorientamento che la fine dell’estate porta con sé, e i primi frutti si iniziano già a raccogliere. Così siamo arrivati alla terza edizione di Eleva a Reggio Emilia, nucleo di snodo che cerca di farsi centrale. Ancora una volta sono giorni non consecutivi, in location diverse e suggestive, a continuare la tradizione di esplorazione e utilizzo degli spazi urbani spesso dimenticati dalla città. Quest’anno l’aria aveva un sapore diverso, per vari motivi. Vederlo crescere così è stato qualcosa di più di una soddisfazione.
MEETING VERDE, SABATO 5 SETTEMBRE
I chiostri di San Pietro ci accolgono ancora una volta nella loro veste migliore, trasformati dai visual e dalle luci a vita nuova. Tempio della musica, ormai, a dispetto delle grandi arene e delle ore segnate sulle ordinanze. Si avverte che qualcosa è cambiato dal fatto che le persone non aspettano le ore più tarde per arrivare e qualcuno comincia già a muoversi nell’arena. Si parte con i dj della casa, il clima è rilassato e positivo, il caldo ci dà tregua e la pioggia si risparmia per i giorni di scarico fra una serata e l’altra. C’è tempo per un po’ di disordine, il live di Populous salta per un problema con gli strumenti, cose che capitano, la tensione della corrente qualche volta non regge, bloccando per un attimo le prime persone che iniziano a scaldarsi davanti ai palchi. Lo dicevamo, è un posto surreale, rimasto chiuso per anni e che ancora cerca di capire la sua reale dimensione nell’agglomerato urbano, e sono inconvenienti che possono accadere. Dispiace per Andrea Mangia che avremmo voluto veder calato sul palco dove un anno prima Godblesscomputers ci aveva ipnotizzato, ma il piatto è abbastanza ricco per superare questo scoglio. I Lowheads, altra realtà cittadina, ci mettono del loro, con sonorità analogiche di altri anni, circondati dalla performance di danza alle loro spalle. La storia si arricchisce e si alimenta di chi c’è, chiuso nel proprio gruppo di amici o che si unisce a chi non conosce in mezzo agli altri. I bionicles di Too Mata Band intanto fanno il loro lavoro sui beat, sull’altro palco, attirando l’attenzione delle prime file e di chi non pensava che la propria infanzia potesse generare suoni. Il più atteso Kenny Glasgow, intanto, sale sul palco quando ormai l’arena è al completo. Le persone sono più disposte a viversela e si vede gente di ogni tipo. Il fatto che ci fossero tante famiglie, anche solo passate per uno sguardo giudicante, è la dimostrazione di come Eleva si stia mescolando con chi vive la città, differenziando il suo modo di intrattenere e coinvolgere. Il baronetto dell’Art Departement di Toronto non è nelle nostre corde, stiamo un po’ in disparte e prima di andarcene ci godiamo i sorrisi nel buio di chi si muove seguendo le sue coordinate retro house. Il primo giorno è andato, le persone si risvegliano anche così.
MEETING GIALLO, MERCOLEDÌ 9 SETTEMBRE
È all‘ex mangimificio Caffarri, mostruoso e accogliente, che Eleva si è superata, anche dove era difficile pensarlo possibile. Il meeting infrasettimanale era sempre stato, per qualche motivo, la data di minor coinvolgimento, solo in apparenza più debole rispetto alle altre. Quest’anno, invece, è quella che ci ha coinvolto di più, forse per una questione del nostro rapportarsi agli spazi metropolitani, forse perché le persone erano realmente curiose e la stanzialità – l’esserci perché è il place to be – si sentiva meno, anche a detta dello stesso Omake. Ci sono tutti gli ingredienti all’ex mangimificio, ed è più di una scontata allusione. Calato nella città, circondato da appartamenti con le finestre aperte e le luci accese, è il punto finale dell’uso del passato industriale in una nuova veste. Posti che costa
di più abbattere che riutilizzare, se solo ci fosse più volontà. Unknwn sta già suonando e ci aiuta nel processo di immersione, quello che succede dopo è qualcosa che nemmeno nelle nostre fantasie più disilluse ci saremmo aspettati. Omake, da Milano e dalla Toscana, si porta dietro una chitarra, la distanza dal pubblico è minima e, invece di creare il vuoto cosmico come accade sempre, un gruppo di persone si avvicina incuriosita e lì rimane per tutto il live. È un’esibizione particolare, fatta di tante parole, quella che non ti aspetti da un festival di musica elettronica. Ci sono tante dediche e un modo genuino a stemperare la tensione che, per una volta, è condivisa da entrambe le parti. Non sappiamo la sua storia, il suo disco d’esordio era interessante, le sonorità tradiscono il suo passato più pestato e post rock e che preme dolcemente sulle tastiere. Ci piace, se non altro per questa sua pretesa di coinvolgere il pubblico in ogni aspetto, raccontandosi nelle storie che raccolgono la sua musica. È il passaggio perfetto per accumulare la tensione che Molecule farà di lì a poco esplodere. Il suo ultimo disco, 60°43′ Nord, fatto dai campionamenti di settimane passate su un peschereccio direzione Mare del Nord, è la parte più sperimentale dell’intero festival. Fatto di techno e suggestioni, profondo e radicale è la scatola giusta in cui raccogliere ogni sensazione. L’ex mangimificio esplode, il gioco è fatto, lo si vede sorridere dal palco guardando le persone lasciarsi andare. Il tempo finisce presto e ancora tanto deve essere scritto.
MEETING ROSSO, SABATO 12 SETTEMBRE
Ci siamo, la serata finale nel cortile del Centro Internazionale Loris Malaguzzi. Parte dal pomeriggio per la seconda volta, quel momento che ci aveva tanto fatto soffrire l’anno scorso. Il cast quest’anno è differente, sono gli anni d’oro di un movimento che esplode e la ricerca si fa sempre più dura. Ci sono più persone, altro punto a favore, la musica ci colpisce forse un po’ meno, ma anche questa è una direzione. Sul coinvolgimento c’è ancora da lavorare, i passi avanti ci sono come le proposte – workshop gratuiti, indie market ecc.. – , e sfruttare una realtà che solo a Reggio Emilia esiste è più di una necessità. Se Waxlife si conferma per le potenzialità che ha, Andras Fox and Oscar Key Sung qualcosa lasciano da parte, nonostante il live si riveli più interessante di quanto credessimo. Tocca a Capibara il primo passo nel main stage alle dieci, forse tra i nostri preferiti nel cast della serata. Si fa fatica a vederlo e ogni tanto sembra perdere la bussola mentre i visuals si impossessano della struttura sul palco. Le sirene sono una costante, come i bassi ripetuti, e facciamo fatica a lasciarci andare. Riusciamo a individuare ancora alcune sensazioni dell’anno passato, sentiamo ancora quella distanza fra come si vive un festival e quello che un festival invece può offrirti e, in parte, la scelta musicale di questa serata conclusiva sembra andare verso un compromesso che, magari, comprendiamo meno. Mancano le esibizioni parallele che trovavamo essere un valore aggiunto per il festival ma, come dicevamo, è questione di intraprendere una strada e affrontarla con guadagni e perdite che derivano da ogni scelta. Questa Eleva è stata, sicuramente, quella più elettronica, capace di liberare finalmente la sua anima, ed è giusto che sia andata così. È il caso del mostro Pearson Sound Vs. Pangaea, le cui potenzialità si perdono di vista all’aria aperta e ti costringono a raggrupparti stretto, come a trasmettere energia per osmosi nella creazione di un nuovo continente. Potenzialità che in un posto chiuso avrebbero disintegrato i muri e ogni identità, un tentativo che comunque ci vogliamo ricordare.
I ricordi. Di sfuggita ci cade l’occhio su tutto quello che abbiamo attorno, alle persone che camminano o si fermano al bar, a chi incontriamo di nuovo e a chi c’è per la prima volta. Una scritta in bianco sembra guardarci sulle fabbriche attorno puntandoci addosso il suo carico di malinconia. Ci chiede, molto dolorosamente se poi a trent’anni faranno figli per noia? La malinconia della fine di qualcosa. È il frutto di godersi un festival con un occhio critico che ti porta a pensare al domani, o forse è soltanto un’eredità che tende a sottovalutare quello che si ha oggi, se davvero riusciremo a tenere tutto questo per noi e vivercelo di nuovo. Ce la facciamo passare, perché pensarci è già come mettere un freno a quello che si è nel presente. L’unica certezza è che Eleva si è trasformata in una realtà a tutti gli effetti e parte di quel disegno che ci raccontavano si è realizzato. La speranza è che non la smetta mai di accontentarsi, passo dopo passo, su una strada che si fa sempre più interessante. Anche quel murales sbiadirà sotto la pioggia, e con lui i nostri anni, ma viverli così è, già, una risposta.
Le foto, dove non indicato sono a cura di ELEVA FESTIVAL, reportage a cura di Anna Agostini