Da oggi fino al 4 settembre torna alla Corte Faggiola di Podenzano il Bleech Festival la rassegna organizzata dalle ragazze e dai ragazzi di Propaganda 1984 che anima la provincia di Piacenza. Abbiamo chiacchierato con Riccardo Covelli, co-fondatore e direttore artistico del festival per sapere cosa aspettarci da questa sesta edizione.
Quali sono le differenze nell’organizzare un festival oggi rispetto a prima che scoppiasse la pandemia?
Sul fronte sanitario quest’estate è calata molto l’attenzione, ma il cambiamento che abbiamo avvertito maggiormente riguarda la sensibilità e le esigenze delle persone, cioè quello che cercano nell’intrattenimento e nell’aggregazione. Questa è stata una stagione che ha dimostrato che i timori legati alle riaperture non hanno trovato seguito soprattutto se parliamo della fascia under 35 o comunque dei frequentatori abituali dei concerti. C’è molta più voglia di prima di riunirsi per ascoltare buona musica dal vivo.
Anche l’attenzione alla sostenibilità e all’ambiente è cambiata in questi ultimi due anni. Quali sono le iniziative che avete sviluppato in occasione del festival?
La pandemia è arrivata in contemporanea a diversi avvenimenti mondiali come la guerra o la crisi energetica che hanno alterato la percezione delle persone. Ed è anche per questo motivo che abbiamo spinto di più dal punto di vista organizzativo sulla sostenibilità del festival, non solo perché è importante a livello di immagine, ma soprattutto perché ognuno nel suo piccolo desidera fare la sua parte per salvaguardare il pianeta. Due esempi: ci saranno bicchieri riutilizzabili che è possibile acquistare durante i quattro giorni di rassegna e che fanno risparmiare in media 20.000 bicchieri monouso e i brick dell’acqua realizzati in carta riciclata. Inoltre abbiamo lanciato un contest insieme a Environomica, una Onlus specializzata in azioni dirette per la conservazione degli ecosistemi forestali e per lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile, che ci ha permesso di adottare una foresta di alberi in Colombia. Ci stiamo muovendo per avere un festival sempre più rispettoso della natura, anche se oggi non è ancora facile essere ecosostenibili al 100% a causa della legislazione italiana.
In queste sei edizioni di festival com’è cambiato, invece, il territorio piacentino e il pubblico?
Piacenza è una terra di mezzo ed è vicina a tutto: Milano dista 50 minuti, Parma 40 e Pavia un’ora. È un buon punto di ritrovo per chi viene da fuori e penso che sia il luogo adatto per gli eventi e i concerti di grande portata. Il pubblico è misto ed è un bene perché chi viene da fuori può stupirsi per i concerti, assaggiare piatti che non ha mai mangiato e bere vini che non ha mai bevuto. I piacentini sono cambiati rispetto all’inizio perché durante il corso della loro vita hanno cominciato a girare di più. Le persone che sono andate a vivere e a studiare fuori quando tornano a casa chiedono a un evento la bellezza e la freschezza delle proposte che ci sono nelle città dove abitano. Quindi proviamo a portare novità non solo dal punto di vista artistico, ma anche di quello enogastronomico.
Come avviene lo scouting degli artisti? Quali sono le tempistiche e su chi di solito fate ricadere le scelte?
Abbiamo la fortuna di essere tutte persone appassionate di musica e per un festival di provincia non è così scontato. Da gennaio e febbraio iniziamo a delineare quelli che sicuramente saranno gli headliner su cui poi andiamo a costruire il resto delle proposte. Cerchiamo di caratterizzare ogni giornata di festival immaginando un pubblico di riferimento. Per esempio il giorno in cui si esibisce Dargen D’Amico che è l’artista più pop abbiamo abbinato i TeamCRO e Teeepeee che sono i più sperimentali in modo da farli scoprire a un pubblico più vasto. Il sabato, invece, è la serata con i BNKR44 che sono dei ragazzi super giovani e tutta la programmazione ruota intorno al loro mondo, mentre la domenica è incentrato sul cantautorato con i Gazebo Penguins e clauscalmo.
Non tutte le edizioni sono state a inizio settembre, secondo te questo è un periodo vincente rispetto ad altri perché rappresenta il momento del ritorno in città dopo le ferie?
Negli anni abbiamo variato molto le date. La prima edizione era l’ultimo weekend di settembre ed eravamo in felpa, mentre l’ultima che abbiamo fatto a Villa Barattieri era a inizio agosto ed è stata una scommessa per vedere se c’era ancora gente: effettivamente ce n’era molta. Tanti partono, ma altrettanti restano. L’obiettivo massimo di un festival come il nostro è quello di avere un pubblico che organizza la propria vita e le ferie intorno alle date che proponiamo.
Come se fosse un appuntamento fisso dell’estate da non perdere.
Esatto. Per me è importante che soprattutto chi abita a Piacenza e provincia lo percepisca così. Si deve instaurare un legame di appartenenza. Nel 2019 molte persone non sono partite proprio la prima settimana di agosto per essere al Bleech. A livello di date non saprei dirti qual è il periodo giusto. Quello che, però, posso garantirti è che è bellissimo che quest’anno sia alla fine dell’estate perché come dicevi tu rappresenta il momento in cui si torna dalle vacanze e si rivedono gli amici. Questo è l’ultimo weekend in cui sentirsi nel limbo, perché in molti hanno ripreso a lavorare o a studiare, ma è facile credere di essere ancora un po’ in vacanza perché l’estate non è conclusa.
Quali sono le differenze tra Villa Barattieri, dove si è svolta l’ultima edizione e la Corte Faggiola? Vi piacerebbe prima o poi tornare in città
La Corte Faggiola ci permette di ospitare più persone ed è facilmente raggiungibile in termini di tempo e di distanza. L’edizione a Villa Barattieri è stata dedicata agli affezionati al festival rispetto al pubblico generalista della città. Villa Barattieri aveva una capienza ridotta, ma le persone erano molto legate al festival perché tornavano ogni giorno facendo un vero e proprio viaggio dalla città. La Corte Faggiola, invece, dista dieci minuti da Piacenza e mantiene il fascino della campagna emiliana con i campi di grano sullo sfondo. Fun fact: il nome del festival viene dalla Faggiola perché è la prima location che abbiamo visto nel 2015. In inglese faggio si dice “beech”, ma nella prima bozza della grafica che realizzai avevo letto male la traduzione scrivendo “bleech” e così è rimasto. Dopo sei anni adesso si è concettualmente chiuso il cerchio.
Siete tornati alle origini.
È così e siamo molto felici perché si tratta di una corte che sembra fatta apposta per ospitare concerti e che va assolutamente rilanciata: un pezzo di storia della nostra provincia. Per quanto riguarda il ritorno in città ci sarebbe un’area che vorremmo utilizzare in futuro: il parco della Galleana, un polmone verde nel centro di Piacenza. Speriamo di poter dialogare su questo progetto che abbiamo in mente con la nuova giunta che è salita al potere a giugno. Ci piacerebbe essere il festival della città.
Cosa non perdersi assolutamente in quest’edizione del Bleech.
Iniziamo dalla parte enogastronomica: ci sono 9 food truck e una terrazza dedicata a Il Poggiarello Vini, da cui osservare il concerto dall’alto e assaporare ottimi vini. Per i più mattinieri classi di yoga all’alba e per chi ama cucinare laboratori di pasta fresca. Non mancano gli spettacoli per bambini, una fascia a cui siamo sempre stati attenti, perché ci piace l’idea di poter educare i più piccoli a stare in contesti di questo genere, garantendo un’atmosfera tranquilla dove non ci siano pericoli. Le giovani famiglie con bambini sono quindi benvenute e siamo felici di vedere i primi passi di una persona in divenire che esplora immagini, gusti e suoni. Nuove Euforie è il tema di questa edizione, che rappresenta un mondo che un po’ è cambiato e un po’ si è trasformato. Vogliamo tornare a stare insieme arricchendoci l’uno con l’altra. Il Bleech è un festival fatto di esperienze: viaggi, condivisione e interazione.
Tra le vostre prerogative c’è quella di battezzare gli artisti che faranno carriera emergendo nel panorama nazionale. Su chi scommettete quest’anno?
Il mio primo asso sono i BNKR44. Sono in ascesa e in Italia sono tra le proposte più fresche del momento. Non guardano in faccia a nessuno, cantano e suonano quello che vogliono e come vogliono. Dei piccoli, invece, mi piacerebbe che diventasse grande Memento, un cantautore funky e soul, un nuovo Venerus che sta trovando la sua strada. Vorrei vederlo esplodere davvero.
Ne avete davvero lanciati tanti, tra Venerus, Massimo Pericolo, Ex-Otago ed Eugenio in Via Di Gioia solo per citarne alcuni. Sapete riconoscere il talento artistico.
Questo è il lato positivo di un festival gratuito che, a differenza di chi deve fare i numeri e vendere più biglietti possibili, a noi lascia la libertà di costruire un festival coerente e di poter scommettere su determinati artisti che ci piacciono. Negli anni è stato importante osare ed esplorare, soprattutto visto che a Piacenza non ci sono live club e quindi non si tratta di una città con un pubblico già formato e abituato a determinate scene. Quest’anno puntiamo ancora di più sullo storytelling degli artisti che si succederanno sul nostro palco perché vogliamo preparare al meglio il pubblico.