La camicia bianca arrotolata, il piglio smart e informale, lo schermone gigante alle spalle, i discorsi giovani, la retorica da copywriter persuasivo e la gestualità da stand up comedy americana. Renzi nelle sue conferenze sembra che stia per presentare un nuovo prodotto della Apple.
La coreografia è completa. Mimica, parole, musica: è la fabbrica di un sogno, lo spettacolo della politica, magari meno kitsch ed avvilente di quella Forza Italia della prima ora, ma pur sempre di sogno si tratta. Impossibile non pensare: “e se fossimo nel 1994?”
Un carrozzone gremito di giovani volontari, carini e gentili che sembrano tanti boy scout, carini e gentili come inservienti di un Apple Store. Un carrozzone itinerante che se ne va, di città in città, assieme al famoso camper, come quello di Stranamore e di Beppe Grillo. Perché Matteo Renzi è un idolo bifronte. Ammicca ai due più grandi e determinanti bacini elettorali attualmente in Italia: i moderati carezzati da un flebile vento progressista (con le palle nelle mani di industria e finanza) e l’antipolitica non di sinistra, quella che non voterebbe mai M5S e che fino all’altro giorno ha riposto fiducia nei grandi partiti. L’italiano esasperato, smarrito, ma speranzoso, che il cambiamento lo pretende. Praticamente un leghista che ha fatto anche il liceo. L’Italia che si compra il nuovo iPhone. Che desidera e acquista un nuovo gadget esistenziale (e politico), ciò che Renzi ambisce di essere. L’idea che cerca di vendere.
Forse Matteo Renzi, quella volta che ha vinto alla Ruota della Fortuna, ha speso i soldi per comprarsi un Mac. Da lì sarebbe partito tutto. La tv, lo spettacolo, Mike Bongiorno, la Apple. Un trampolino di lancio di nome Silvio Berlusconi. Ora come allora. E un vate ispiratore di nome Steve Jobs. La cosa fa molto democratici americani, Obama, roba per gente avanti, abituata a vincere (a proposito: Obama vincerà le elezioni).
E invece no. Vincerà Bersani. Sarà tutto identicamente disastroso come prima. Un Gargamella che i Puffi non riuscirà a mangiarseli mai. Sotto sotto lo sappiamo tutti che andrà così. Però le primarie ci fanno divertire. Ci offrono l’ebrezza, l’illusione del gioco, della competizione. I programmi politici chissenefrega. Non è nemmeno questo il punto. Non lo è da anni.
“Ma no dai, questa volta è diverso”, sembra voler dire qualcuno, qualcuno che ci crede. Che il toy boy di Giorgio Gori ce la possa fare. O comunque diventare l’ago della bilancia. Il futuro. La “Renzi factory” sta sudando sette camice per convincerci che il sindaco di Firenze sia la nuova next big thing. Vogliono tramutarlo nel nostro wishful thinking, riuscendo a fare quello che ha fatto Berlusconi in dieci anni – thank you Mediaset – in pochi mesi.
La fiducia nel cambiamento. La religione del nuovo. Altro che tecnici. Facciamoci governare da un’App. Non ci basta una “stagione di riforme”, noi vogliamo la rivoluzione. Propongo una iRiot cominciando da Twitter, okkupando Instagram. Del resto le rivoluzioni nascono e muoiono nel ciclo vitale di un hashtag e non conoscono altri cantori che il flusso massificato di scatti seppiati, condivisi sui social network. Immagini artificialmente vintage, che magari vorrebbero ricordare le vere riot degli anni ’70.
Ma per essere governati da un’App occorre possedere uno smartphone.
Renzi è come il nuovo iPhone. Non ha nulla di nuovo rispetto ai modelli precedenti, non risolverà i problemi delle altre versioni, anche se dice il contrario, tuttavia ha uno schermo nuovo ed è un pelo più alto e sottile del modello precedente.
Già, crede di essere un telecomando.
E come per l’iPhone, nessuno pensa che il modello nuovo possa costarci (collettivamente) di più. Il bello è che malgrado la crisi c’è pure la fila di gente che aspetta l’apertura dei negozi per poterselo comprare.
Una strana isteria, forse causata dall’idea che il big boss è morto. Già, proprio così. Un collettivo senso di compensazione. Nel frattempo la pubblicità dice che il nuovo iPhone è inimitabile e come lui non ce n’è, diffidate dalle imitazioni, non ascoltate la concorrenza. Del resto si tratta dell’aura legata al brand a rendere i prodotti Apple irrinunciabili, spiritualmente gratificanti, socialmente soddisfacenti.
La gente va a vederlo e a provarlo da vicino. Si dimostra contenta e interessata perché non considera il fatto che il nuovo iPhone non crea gli stessi problemi del vecchio modello semplicemente perché è un poco più aggiornato e quindi meno “buggato”. Il tanto che basta per favorirne l’acquisto.
Ma poi la gente tornerà a casa e si renderà conto che poco o nulla è cambiato. Che il mondo non solo è ancora pieno di Windows aggiornati, di smartphone desueti e cellulari con le sonerie tamarre, ma che si tratti di Mac o della concorrenza, c’è sempre qualche altro stronzo a fare la parte del leone. Lontano, incomprensibile ed irrinunciabile.
Tipo Google.