Il nome di Raymond Carver è associato alle figure che hanno maggiormente inciso sul panorama letterario americano. La sua era un’arte fine e nitida, tanto da far rientrare tutta la sua produzione tra quella degli scrittori minimalisti. Nonostante fosse in totale disaccordo, questa definizione era divenuta il marchio distintivo i suoi lavori. Definire Carver un minimalista significava soffermarsi dinanzi alla superficie dei suoi racconti. Allora perché ritroviamo puntualmente il suo nome affiancato a quella di una corrente letteraria a cui egli stesso si sentiva estraneo? La risposta a questa domanda può risultare banale. Potremmo liquidare la questione mostrando il tratto distintivo di Carver, ovvero la stessa natura semplice e diretta contenuta nei suoi scritti. Da essi emerge una precisione che irrompe prepotentemente nella vita del lettore, quasi da far pesare quelle poche pagine quanto un macigno. I suoi racconti, nel caso in cui ci si fermi ad ammirare i colori della facciata, vengono interpretati in modo sbagliato, relegando la loro potenza espressiva ad una esclusiva mancanza di impegno.
La precisione che viene fuori dalle sue raccolte è figlia di un lavoro ponderato al punto giusto durante il suo duro apprendistato. Verrebbe da dire che dietro c’è una certa meticolosità. Troviamo un Carver giovane, appena sposato e con dei figli da sfamare. Svolge tutta una serie di lavori manuali che lo terranno impegnato per la maggior parte del tempo. Tra un salto mortale e l’altro riuscirà a proseguire dritto per la sua strada, leggendo quando poteva e frequentando alcuni corsi universitari di scrittura creativa. Questa è la vita di una persona che corre da un lato all’altro della città e che non ha mai tempo per riprendere fiato. Tutto è frenetico, tutto è difficile da sostenere. Ci vorrà tempo per poter vedere la pubblicazione dei primi racconti per alcune riviste e della sua prima raccolta Vuoi stare zitta per favore?
L’arte del racconto necessita dell’omissione invece di eseguire un riempimento spregiudicato delle pagine a suon di innumerevoli e inutili parole. In tutto questo Carver sa muoversi con una dote magistrale. Lascia che i silenzi parlino senza che i personaggi invadano spazi che non gli appartengono. Tutto è preciso come l’avanzare di un orologio, tutto è nel posto giusto al momento giusto. Nella stanza dei racconti carveriani nulla è fuori posto. Il genio dello scrittore riveste i panni di una qualsiasi donna delle pulizie pronta a dare la giusta forma al caos che investe la società americana. Le storie che emergono dai suoi racconti sono quelle di tutti, nessuno escluso. Sono per la maggior parte persone che hanno dei conti in sospeso con se stessi. Alcolizzati, uomini che vivono nel peggiore dei modi il loro matrimonio, disadattati della prima ora. Le trame narrate divengono istantanee a colori che ritraggono il disagio dell’intera condizione umana, a partire dalla fine degli anni ’50 a quella degli anni ’80. Quelli che si incontrano sono i protagonisti di uno stato d’animo sempre più diffuso, e che relega al condurre una vita immersa in un clima psichicamente devastante. Non sono nient’altro che nevrosi mascherate da un’apparente tranquillità, e che si susseguono ad una velocità elevata lungo la superstrada americana che fa da sfondo alle vicende narrate.
In questa rappresentazione che si serve della potenza della materia letteraria, Carver sceglie accuratamente la sua espressione artistica, definendola racconto dopo racconto, poesia dopo poesia. Dando forma a quello che egli stesso definisce come “salto rapido”, emerge tutta l’artigianalità che compete ad un operaio della letteratura più alta. Proprio dietro all’espressione “salto rapido” si cela tutta la sua grandezza di scrittore. Per lui leggere e scrivere in una sola seduta era fondamentale, e per far sì che ciò assumesse il giusto riconoscimento impiegò tutta la sua vita al perfezionamento della tecnica che avrebbe consentito lo sviluppo della forma breve. Ecco che finalmente diventa tangibile questo salto rapido: una fugace visita nell’immaginario dell’autore.
Carver usa un linguaggio chiaro, pari a quello del parlato. Fa suoi gli insegnamenti di Babel sulla punteggiatura, scoprendo quanta forza si nasconde dietro ad un punto messo al posto giusto. Fa di tutto pur di non perdere di vista il vero obiettivo della sua scrittura, ovvero la diretta comunicazione di impressioni ed emozioni tra scrittore e lettore. Trova noioso qualsiasi trucco e per questo decide di non usufruirne. Tutto deve essere chiaro per il lettore finale. Ed è qui che lo scrittore di racconti diviene allo stesso tempo autore e nemico, dato che nell’insicurezza e nella tiepida soddisfazione trascorre parte del tempo ad inserire dettagli che al lettore non servono affatto. Le parole non devono consentire una interpretazione superflua, e per questo motivo devono essere scelte con estrema accuratezza. Le diverse vite che prendono forma nei suoi racconti, e che in essi si incontrano, seguono queste linee guida che lo stesso Carver non ha mai smesso di perfezionare. Pur di rendere la sua scrittura netta e concisa, ha varcato le soglie della normalità immergendosi con tutto il suo corpo in quello che viene definito inusuale. Addirittura qualche critico definirà il suo successo un chiaro frutto del fascino impresso dietro l’alcolismo dei protagonisti.
Risalendo per lo stile di Carver ci si rende conto che il superfluo non ha possibilità di esprimersi. Tutto ha un peso, e quel peso va rispettato e riconosciuto come tale. Se la sua vita – come da lui ripetuto più volte – non ha alcun legame con gli avvenimenti narrati nei racconti, non possiamo far valere lo stesso principio per la forma narrativa che in essi si utilizza. Ripercorrendo la sua storia viene fuori quanto la forma breve – racconti e poesie – fosse l’espressione di una necessità. La sua famiglia, il suo lavoro e i suoi continui spostamenti creano il contesto idoneo alla diffusione di questi punti da cui partire per scrivere i suoi racconti e le sue poesie. Parallelamente all’affermarsi dei nuovi ritmi sempre più frenetici della società americana, la scrittura di Carver diventa la voce narrante di tutta una generazione. La concisione che emerge dalle sue pagine non è altro che la caratteristica principale su cui si fonda tutta la sua produzione. Eliminare qualsiasi tipo di appannaggio permettendo alla storia di scuotere il lettore come lo si fa con gli alberi ricoperti da foglie ormai secche – e in un secondo momento, lì dove non riuscirà Carver, interverranno le cesoie del suo fidatissimo editor Gordon Lish. Lasciare che il suo animo venga scalfito nel profondo e permettere che questo rimanga per sempre sotto l’effetto del vortice rappresentato dalla scrittura di Carver. Una calma apparente che smuove anche la cosa più stabile e sicura che conosciamo, fatta di parole piatte inserite nel posto giusto al momento giusto. Un unico dettaglio, se ben scelto, può creare scompiglio più di tanti altri disposti a casaccio. Se ancora ci fossero dubbi a riguardo, o stupidi disorientamenti, Carver celebra la trascrizione del non detto a sfavore di una grossa rete assuefatta dalle sdolcinatezze più banali che esistano. Le frasi si ripercuotono lungo il sentiero della narrativa, scolpendo con colpi secchi e ben calcolati un quadro generale ancora odierno. È così che prende vita uno dei punti cardini della letteratura americana.
Foto di copertina: Raymond Carver, Syracuse, New York, 1984. Bob Adelman / Corbis