Rachel Cusk e le nostre vite in transito

“Qualunque cosa vogliamo pensare di noi stessi, non siamo che il risultato di come gli altri ci hanno trattato.”

Rachel Cusk, l’autrice inglese di origine canadese della trilogia Outline, arriva nelle librerie italiane per Einaudi con il suo secondo e atteso volume. Transiti continua l’opera di demolizione del romanzo classico iniziata con Resoconto, di cui vi abbiamo parlato qui.  Cusk immagina un modo di fare letteratura altro: ci confonde con la casualità degli eventi e ci costringe a restare fino alla fine, in attesa di un colpo di scena che non arriverà mai. Si resta spiazzati dalla completa assenza di trama, ma anche intrigati dalla caustica arguzia dei personaggi incontrati: dall’ex ragazzo fatalista al parrucchiere filosofo.

Transiti è un romanzo breve che segue le traiettorie della scrittrice protagonista, una donna in evoluzione verso nuovi orizzonti dopo un fallimentare matrimonio. L’escamotage narrativo di Cusk è l’acquisto della nuova casa, simbolo di una continuità spezzata e di cambiamento immane. La carrellata di personaggi incontrata è emblematica: tutti trovano una propria precisa collocazione, dispensano verità differenti e diametralmente opposte. Si parte dal lato oscuro del quotidiano, con gli antipatici vicini settantenni e la loro inclinazione a vedere il marcio ovunque; per approdare a un festival di letteratura che è una riflessione sul romanzo stesso. Cusk ragiona sulla scrittura attraverso voci opposte, dando spazio a desideri e angosce dell’essere umano. La letteratura come esigenza di parlare e di esser visti, la necessità di diventare visibili e scoprire la propria nudità.

Per tali motivi, un episodio cruciale del romanzo è il festival di letteratura a cui la nostra protagonista viene invitata. L’autrice gioca con la sua stessa fama, con la sua capacità di dissezionare e scomporre le forme del romanzo tradizionale. Ci sono diversi modi di parlare di letteratura e tutti presuppongono gradi diversi di sincerità. Una tecnica per un buon romanziere consiste nell’onestà assoluta: questo sostiene Louis, uno dei due scrittori invitati al festival. Tuttavia la transizione che il leggere e lo scrivere implicano comportano una fuga totale dal corpo, un suo innegabile rifiuto. “Usando la scrittura come tribuna, aveva anche fatto della scrittura un luogo in cui non sarebbe mai stato capace di tornare”, scrive la Cusk a proposito del suo personaggio.

 

I metodi e le tecniche di scrittura ritornano in Transiti con frequenza. La stessa protagonista si guadagna da vivere proponendo corsi ad aspiranti scrittori, come Jane, una studentessa che ha raccolto settecento pagine di appunti sulla vita di un pittore minore. Jane e la sua maniacale ossessione rende Cusk libera di riflettere sui vuoti affettivi, sulla necessità dell’uomo di guadagnarsi costantemente lo sguardo, la percezione altrui. L’episodio è una rappresentazione perfetta dello stile di Cusk: quella che sembra una piatta e ordinaria scena di salotto, con due donne che parlano davanti a una tazza di tè, è in realtà una lunga interrogazione sull’origine del desiderio. I personaggi che invadono lo spazio della protagonista sono anch’essi transitori, eppure lasciano porte aperte, spiragli verso la comprensione di qualcosa. Tuttavia, questa comprensione non è mai globale: sono mezze verità, confutabili, soggettive, che pure si fanno credere illuminanti. Il parrucchiere che tra una passata di tinta e l’altra individua nella paura il motore della vita, il capomastro albanese che si piega all’odio dei vicini, facendosi specchio di sentimenti negativi con superficialità.

C’è qualcosa nello stile di Cusk che convince il lettore a restare fino all’ultima pagina: è il suo andamento leggero, raffinato, elegante. L’autrice plana sugli accadimenti della vita quotidiana con grazia ineffabile, lavora con precisione su ogni minimo dettaglio senza alcuna artificiosità. Non si ha mai l’impressione di una costruzione macchinosa, dell’odioso e antico autore manzoniano che tutto sa e tutto vede. Rachel Cusk non sa nulla dei suoi personaggi: sono figure su uno sfondo mobile, in transito perenne sotto presagi astrali misteriosi. Le riflessioni generali, ad esempio, sulla maternità e sulla tendenza a vedere i figli come prolungamenti di sé stessi, sono iscritte con magistrale naturalezza in un gioco di incontri, in cui però non si ha mai la percezione di un’autorità superiore, oracolare.

Transiti è un romanzo che potrebbe essere accusato di freddezza dagli amanti della tradizione. Non ci sono personaggi assolutamente buoni o cattivi, non c’è ardore di sentimenti, passione, odio spietato, crudeltà. Ci sono soltanto piccole antipatie e simpatie subitanee, persone che si confortano l’un l’altra per un breve lasso di tempo: un tragitto in macchina con l’operaio immigrato, il tempo di una tinta, di un tè sul divano. In questa minuziosa rappresentazione dell’esistenza si annida il pregio del romanzo: la capacità di gettare luce su aspetti opachi della vita, di restituire significato ad ogni singolo incontro. Così ci rispecchiamo in quest’umanità in transito: spaventati e confusi, ma ancora capaci di ascoltarci e forse, capirci.

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