Uscito nel 2014 con il titolo di Outline, prima parte di una trilogia, Resoconto di Rachel Cusk è arrivato in Italia solo nell’ultimo anno, e con un po’ di ritardo. Se possiamo godere del privilegio di ascoltare un album appena uscito da ogni parte del globo – soprattutto in un’era di servizi streaming – l’arte letteraria porta in sé lo strazio (o il limite) della barriera linguistica. Beh, possiamo sempre affidarci alla velocità delle traduzioni, negli ultimi anni sempre più sfrenate per consentire ai lettori di “tenere il passo coi tempi” e non arrugginirsi. Oppure diventare degli irrefrenabili puristi e imparare quante più lingue possibile sfruttando Amazon per le consegne. Non esiste un mondo ideale per un’arte che – dai tempi di Omero – si regge sull’errore e il fraintendimento. Per questo non dovrebbe far scalpore se solo nel 2018 è uscito Outline anche qui, anche se naturalmente il ritardo ne ha aumentato le attese – proprio nello stesso anno in cui la trilogia è arrivata alla sua conclusione.
Si è parlato di Rachel Cusk come di una distruttrice della forma-classica-romanzo: aveva fatto qualcosa di diverso dal solito, andava assolutamente letta. Dentro Resoconto sembrava esser contenuta la promessa di un esperimento, un modo di narrare che aveva più a che fare con l’autofiction che con tutto il resto, un autofiction immaginifica e ancora differente – perché l’autrice disperde l’io nel un ruolo di uno spettatore sommerso da un afflato di voci e comprimari, con il risultato che somiglia a un racconto corale di quella cosa che chiamiamo vita.
A tal proposito l’autrice ha raccontato in un’intervista al New Yorker: “non penso che i personaggi esistano ancora”. Si riferiva a eroi romantici come Heathcliff e Anna Karenina, Julien Sorel e – perché no – Mersault. Quei personaggi così idealizzati, anche nelle loro idiosincrasie e difetti, nelle lordure profonde della loro anima, nei loro pensieri più cupi e torbidi, nei loro gesti più incomprensibili o inutili, tutti quei personaggi che abbiamo amato e detestato a turno, oggi ci avrebbero abbandonato a noi stessi – immersi come siamo dentro un flusso costante di io prodotti dal magma sociale, dal nostro io che interagisce con gli altri. E in effetti la voce di Cusk in Resoconto è quella di una narratrice che si mette in disparte per farci partecipi delle storie dei narratori più casuali che incontra durante un viaggio in Grecia. Fuori tutta la bellezza e l’arsura di Atene si scatena. E così siamo catapultati in mille esperienze, come dentro una rayuela che si compone a pezzi, popolata di io, ma senza un protagonista. A leggerla, Rachel Cusk non ha frantumato la forma del romanzo, né ha fatto fuori i personaggi. La cosa migliore di Resoconto resta lo stile.
Ma allora chi avrebbe ammazzato i personaggi?
Difficile trovare un omicida, va a capire addirittura se ci sia stato un delitto.
Nella raccolta di saggi Feel Free Zadie Smith racconta di una sua difficoltà o timidezza nell’approccio alla scrittura in prima persona, eppure c’è stato un momento in cui ha pensato che fosse liberatorio scrivere con la voce di questo io. Tuttavia anche quando l’io è totalmente immerso in sé stesso (anche quando è autobiografico), Zadie Smith ci avvisa che sempre di scrittura si tratta, che c’è un effetto di realtà per cui la persona che scrive di sé non può davvero ricordare tutto, o essere quel corpo che fisicamente sta nel mondo, ma solo evocare quell’io attraverso le parole. Così quando Karl Ove Knausgård racconta la sua vita con una sincerità tale da inimicarsi le persone che conosce e di cui scrive, quel che può fare è evocare la vita reale attraverso la scrittura – nulla di più. E così Ben Lerner e via dicendo. Zadie Smith è sinceramente colpita dalla forza penetrante di questa prima persona (“I need the next volume like crack“, diceva a proposito dei libri di Knausgård), eppure al di là da tutto la questione fondamentale resta di natura puramente formale, e ha a che fare con la voce dell’autore.
“Era l’estate del 1984, avevo quindici anni e avevo fatto una scoperta: bere era una cosa meravigliosa”.
In Resoconto Rachel Cusk si rivela perfetta nel fare quello che si è messa in testa di fare. Ci fa davvero quasi pensare che i personaggi non esistano. A tratti gioca sporco, tira in ballo i due grandi protagonisti di Cime Tempestose, solo perché noi ce ne accorgiamo: che è successo qualcosa, una zolla di terra ha provocato una sommossa, e il tempo per arrivare dalle tempeste della brughiera inglese al mare di Atene è così lontano che a nessuno potrebbe mai venire in mente di dire cose come “se tutto il resto morisse, e lui rimanesse, io continuerei ad esistere“, perché non esiste più un eroe romantico, né un dandy, né tantomeno un omicida di vecchiette. A pensarci tutto questo potrebbe somigliare a un manifesto di lenta agonia nichilista, ma in realtà nessuno è spacciato, e quel che più colpisce in Resoconto è la scrittura di Rachel Cusk. Che ci fa immergere fisicamente nel mare di Atene per una nuotata, e ci fa dondolare dentro una collezione di storie, frammenti e voci, sballottati qui e là come a bordo della barca del vicino di posto in aereo della spettatrice/protagonista del romanzo.
Riemergiamo dalle acque di Atene spaesati e affascinati con una domanda nella testa: è davvero successo qualcosa? E anche fosse che importanza ha? – è stato magnifico perdersi nelle parole.