Racconti della domenica #2: Una cucina luminosa

Continua l’appuntamento con i Racconti della domenica a L’indiependente, la sezione interamente dedicata al racconto, curata da illustrazioni o fotografie originali. Dopo il racconto numero zero “Caffè da Berlino“, accompagnato dagli scatti della città, e “La camicia”, con le illustrazioni di An, stavolta è il turno de “La cucina luminosa”, racconto illustrato da Abise Mūru Kai.
Se volete contribuire ai Racconti della domenica potete farlo inviando i vostri contributi a lindieracconti@gmail.com. Racconti, illustrazioni, fotografie, leggeremo e guarderemo tutto con attenzione, e i migliori contributi saranno pubblicati. Non resta che augurarvi un po’ di sano relax, mettervi comodi, e dedicarci un po’ della vostra domenica.

La cucina è la parte più luminosa della casa. Appena entri dalla porta di ingresso, la trovi alla tua sinistra. Quando Maurizio, il vecchio proprietario, scelse il colore della pittura, aveva da poco divorziato dalla sua prima moglie. Era alla ricerca di spazi nuovi, per questo ha comprato questa casa per poi stancarsene subito dopo aver conosciuto la sua attuale moglie. Scelse il giallo canarino per le pareti. A mio avviso un colore che lascia un po’ a desiderare, ma è anche vero che i gusti sono gusti. Quando il mio architetto darà il via ai lavori vorrò seguirli passo dopo passo. Vorrei poter assistere alla mutazione di questa casa. Maurizio dice sempre che è maledetta, che qualcuno gli ha lanciato una maledizione per ostacolare tutte le sue buone intenzioni. Anche con la vendita ha avuto difficoltà. La banca non voleva revocargli l’ipoteca, una lunga storia. Ci è voluta una chiamata di un ex direttore per mettere tutto in ordine. «Solita burocrazia da quattro soldi» disse Maurizio. Almeno l’ex direttore è riuscito a smuovere le acque, altrimenti non saremo a questo punto.

In uno dei nostri ultimi appuntamenti, l’architetto mi ha proposto di cambiare la disposizione della casa. Spostare la cucina dall’altro lato, quello illuminato solo di mattina, per mettere al suo posto il mio studio. Non mi sono mai piaciuti gli azzardi, tantomeno i cambiamenti inaspettati. La cucina ha il suo posto ideale, inutile modificarlo. «Guarda che in questo modo risparmierai un sacco sulla bolletta della corrente» disse un giorno l’architetto. Nella mia mente viaggiavano cifre e arredi inutili, non capivo il perché di tanta premura nei miei confronti. Abiterò una casa da solo, lascerò il mio studio in centro per rifugiarmi nella solitudine della periferia e non andrò incontro a grandi spese. Non ne vedevo l’utilità, così ho rifiutato la sua proposta. Adesso, ogni volta che ci vediamo, mi chiede sempre se sono dello stesso parere. Non si fida della mia decisione, o magari non ama farsi contraddire su determinate scelte. Lui è un architetto, io un semplice web designer.

Il condominio sembra tranquillo. Maurizio non ci ha vissuto più di un anno, però mi ha assicurato che sono tutti discreti nel condurre lo loro vite da impiegati nella vicina azienda di telefonia mobile. Il portinaio è in realtà un giardiniere, anzi, un factotum in piena regola. Sistema l’ascensore quando va in blocco, cambia le lampadine alle plafoniere e modella attentamente le siepi. Una sicurezza che molti altri condomini invidiano, almeno stando alle parole di Maurizio.

Come nuovo proprietario di una casa che utilizzerò anche come luogo di lavoro, direi che sono più che soddisfatto. Ogni volta che ci entro immagino come sarà ricevere i clienti e gli amici. Da un lato lo studio, un spazio modesto grande quanto basta. Dall’altro tutto il resto della casa. Ecco perché non voglio cambiare la disposizione proprio adesso. Ho già in mente come sarà ogni angolo, ogni mattonella. Ormai la mia immaginazione sente di navigare in un mare sicuro, lontano dalle onde impreviste che sorgono quando l’aria si agita.

Ho detto al proprietario della casa in cui attualmente abito che, tempo un mese, l’avrei lasciata. Non l’ha presa affatto bene. Non so se per un aspetto puramente economico oppure perché ero il compagno di sua figlia. Forse aveva in mente dei progetti per noi, forse li ho scombinati lasciandolo di spalle al muro. Non l’ho mai ritenuto un vero suocero. Era pur sempre il mio proprietario di casa, colui a cui affidavo i miei cinquecento euro al mese, spese escluse. Silvia, sua figlia, passava più tempo in casa mia che dai suoi genitori. Lui non ha mai battuto ciglio. I nostri codici IBAN si incontravano una volta al mese sempre con la solita cifra. «Un giorno questa casa sarà tutta nostra» ripeteva Silvia quando sentivamo di stare bene insieme. Ogni volta non ci credevo, dato che sapevo quanta strada ci fosse ancora da percorrere. E poi avevamo un sacco di progetti diversi. Lei voleva perfezionare gli studi a Berlino, io negli Stati Uniti. A lei piaceva mangiare fuori e a me restare in casa. Lei beveva in casa, io fuori. Insomma, eravamo due persone che si trovavano raramente, e quelle poche volte che capitava scattavano automaticamente i progetti per il futuro. Ci siamo lasciati per una lite stupida. Di solito sono quelle che fanno più male di tutte. Non mi andava di passare le vacanze in Spagna, così abbiamo deciso di lanciarci contro tutto quello che avevamo dentro. «Sei un uomo senza palle. Non hai il fegato di dire a mio padre che non gli vuoi più pagare l’affitto» esordì ad un certo punto. «Questo non ha nulla a che fare con noi. Adesso i problemi sono altri. Non mi interessa dell’affitto» le risposi. Poco alla volta vennero fuori le storie vecchie, tipo quando sono stato con un’altra donna. Me lo rinfacciava sempre, sopratutto nell’ultimo periodo. «Sei stato uno stronzo! Hai scelto di scoparti Marisa per farmi un dispetto, e così io mi sono scopata Luca. È stata tutta colpa tua» era questo il mantra che si ripeteva episodio dopo episodio.

A lavoro, qualche giorno fa, ho rivisto Sergio, un nostro amico in comune. Mi ha detto che Silvia si sposa a giorni. «Scusami, nessun altro aveva il coraggio di dirtelo» disse alla fine come per non farsi odiare. La verità è che di Silvia mi importa la sua felicità, altro che fastidio. La prima volta che presi appuntamento con l’architetto, lui si aspettava di incontrarmi con la mia compagna. Quando capì che ero single, un po’ ci rimase. Questo me lo confessò qualche giorno dopo. «Sei un bell’uomo, non hai niente che ti manca» disse con l’intenzione di spronarmi a pensare alle cose più belle della vita. «Fatti tutte le donne che vuoi, ma a casa devi pur sempre avere qualcuno pronto ad accoglierti» esclamò con fare da buon intenditore. Feci finta di non ascoltare le sue stupidaggini. A me importava esclusivamente della sua parcella e non della sua concezione di donna segregata nella quattro mura mentre tu sei fuori a scopare a destra e manca.

La mia fissa per la cucina luminosa scaturisce dagli anni universitari passati in una stupida casa con nemmeno un balcone. Entrava poca luce e la cosa mi metteva un’angoscia pazzesca. Non vedevo l’ora che arrivasse la sera per poter accendere le luci nella sala in cui ci intrattenevamo un po’ tutti. Sono passati molti anni, eppure ho questa fobia che si ripresenta puntualmente ogni volta che entro in una casa che non è la mia. Per non parlare della cucina fatiscente di quel posto. Chiusa in un angolo con una piccola finestra reclinabile su per la parete laterale, non potevi cucinare nulla che facesse fumo o vapore eccessivo. Se sbagliavi la cottura ti ritrovavi dritto in una foresta tedesca completamente immerso in banchi di nebbia densissimi. Eppure sono una persona che cucina il minimo indispensabile. Conobbi Silvia in quel periodo. Pur di non cucinare in casa, compravamo la pizza e la portavamo in camera mia. Guardavamo molti film per i suoi esami. Aveva un professore molto esigente, uno di quelli in fissa con il cinema ungherese e cose del genere. A dire la verità non ci capivo molto, ma almeno le facevo compagnia. Lei passava per la biblioteca della sua facoltà a prendere i dvd che le indicava il suo professore, io in pizzeria a ritirare la solita margherita maxi e due birre. Era questa la modalità in cui avvenivano le nostre rassegne cinematografiche. Più sue che nostre, a dire il vero.

«L’idraulico ha analizzato l’impianto di riscaldamento. Va rifatto da cima a fondo» mi dice l’architetto al telefono. «Non possiamo salvare proprio nulla?» chiedo pur conoscendo già la risposta. «Niente di niente. Nemmeno te se ti ostini a mantenere quelle vecchie tubature» mi risponde accennando una mezza risata. Ho già molte spese improvvise a cui far fronte. Questa non ci voleva affatto. Le mattonelle che avevo scelto non andavano bene con il colore delle pareti, così ho dovuto rivedere le mie opzioni e, di conseguenza, le mie tasche. Stessa cosa vale per gli infissi. Alcuni necessitano di essere sostituiti, così abbiamo deciso di rimuoverli tutti. Altro denaro!

In questi giorni sto iniziando a capire che sistemare una casa quando sei single è abbastanza costoso. Forse ho sbagliato alcuni calcoli, forse ho sbagliato a fidarmi di Maurizio. In fondo io gli avevo creato un sito per la sua gioielleria, mica avevamo questo gran rapporto. A qualcuno doveva rifilare il suo vecchio catorcio, e quel qualcuno sono stato io. «L’appartamento sarebbe perfetto per te che cerchi una soluzione del genere. Non è mica facile far combaciare casa e lavoro. Un mio amico l’ha fatto ma si è subito pentito» mi disse qualche giorno prima dell’inizio della nostra trattativa. Resta comunque la cosa migliore che ho fatto negli ultimi mesi, lavoro a parte. L’ultima ragazza con cui sono uscito dopo Silvia è sparita. Credo mi abbia bloccato su tutti i social. Ci siamo frequentati per qualche mese, poi non ci siamo lasciati andare. Lei ha iniziato a vedersi con un altro, la noia tra noi era abbastanza insopportabile. Se l’ho notato io, allora era proprio un caso disperato. Ero preso dal lavoro, dalla trattativa per la casa e da tutto quello che ne consegue. Paola era simpatica, ma nell’ultimo periodo la sua freddezza congelava ogni mozzicone di sigaretta che spegnevamo nel posacenere ricavato da una lattina di birra. Magari adesso sta bene anche lei.

Penso che in una cucina luminosa si possano fare un sacco di cose. Vorrei tanto viverci nella cucina, anche se in fondo non cucino granché. Le immagino già quelle mattine azzurre che si infilano attraverso la porta della veranda. L’odore del caffè che si diffonde per la casa e la mia sagoma che cammina in mutande tra i fornelli ed il frigorifero. Magari se ospiterò qualcuno saremo in due a vagare da una parte all’altra in preda alle prime sveglie che continuano a suonare all’impazzata. Però, con l’architetto che mi ritrovo, devo prepararmi ad ogni tipo di sorpresa. Sento già che da un momento all’altro possa chiamarmi e dire che gli infissi non fanno più al caso mio, che ci vogliono altre modifiche da apportare al progetto, che salta lo studio in fondo al corridoio quando io un corridoio neanche lo voglio, dato che abbiamo scelto per una ristrutturazione open space.

Spero che l’eredità dei miei nonni riesca a colmare tutti questi problemi, che riesca ad esaudire il mio sogno di avere una cucina luminosa anche se si affaccia sul nulla. Voglio tutte queste cose perché sento la necessità di voler star bene, almeno in questo periodo della mia vita. Ed è proprio in questo periodo che la cucina per me vuol dire più di ogni altra cosa che riesca a dire o pensare. La cucina luminosa è tutto.

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