Racconti degli Stati Uniti odierni: Matthew Baker e Garth Greenwell

Due raccolte di racconti uscite quasi contemporaneamente nel mercato italiano per una coincidenza del destino: da un lato “Perché l’America” di Matthew Baker, tradotto da Veronica Raimo e Marco Rossari per Sellerio, dall’altro “Purezza” di Garth Greenwell, tradotto da Matteo Colombo per Einaudi. Non c’è contrasto né sovrapposizione di temi fra i due titoli, ma si tratta di progetti letterari che viaggiano in parallelo e raccontano parti complementari della contemporaneità negli Stati Uniti. Due scrittori giovani, quasi della stessa generazione, che si cimentano nel raccontare ciò che a loro risulta più urgente, tra un futuro incerto che si estremizza, come in Baker, e un presente lontano che si addolcisce e sperimenta tra desiderio e sensualità, come nel caso di Greenwell.

La distopia realistica di Matthew Baker – L’America che guarda se stessa

È difficile ragionare sugli elementi distopici in questa contemporaneità, dove anche le peggiori previsioni sembrano solo lievi divergenze dal reale, ma la raccolta di racconti di Matthew Baker, uscita negli Stati Uniti nel 2020 in tempi non sospetti, ha il cuore in possibili versioni del futuro radicate nelle tematiche centrali del mondo come lo viviamo anche adesso, due anni dopo. Nel suo profilo Instagram abbandonato da un anno, Baker si definiva “typical millennial”, cosa che potrebbe essere riconducibile a questa tendenza della generazione di cui fa parte di immaginare l’assurdo e non essere comunque messi al riparo dalla realtà che supera le previsioni. E come reagiscono i millennial alla realtà brutale? Si riparano in mondi fittizi, oppure analizzano il presente inventando un futuro scomodo. Baker inventa ed elabora realtà alternative credibili che rielaborano l’idea di futuro.

In “Parole in guerra”, l’autore fa sì che due miti lessicografi si improvvisino blandi vendicatori in difesa della nipote vittima dei bulli, mentre in “Riti” la fine della vita corrisponde a un’autoeliminazione allo scoccare dei settant’anni, cosa che non riesce a tutti, e l’accanimento dei giovani e l’inquietudine sottesa ricorda “La Lotteria” di Shirley Jackson, uno dei racconti fondanti della letteratura statunitense. Il mondo digitale fa capolino, invece, nel racconto “La transizione” in cui un ragazzo medita e ottiene la trasformazione della sua mente in dati digitali, pur contro il volere della sua famiglia. I ricordi e la memoria, invece, spariscono in “Ergastolo”, in cui la condanna esemplare per crimini efferati è la cancellazione del passato e il dilemma è tra il cercare di recuperarli o continuare in una vita inconsapevole eppure infelice. Il moderno digitale torna anche nel racconto “Lo sponsor” in cui una coppia perde lo sponsor del proprio matrimonio e cerca di rivenderlo al migliore offerente. In “Perché l’America”, infine, il racconto pubblicato già su “The Paris Review” nel 2019, una tranquilla cittadina mette in atto la sua secessione dagli Stati Uniti e fonda una nuova e autogestita America.

In questo consesso di racconti impossibili, spesso dai finali sospesi, e con la sperimentazione di tecniche di scrittura, tra elenchi serrati e grosse verità nascoste tra le righe, Baker rappresenta un paese che è già distopico, interamente rivolto su se stesso e ignaro di cosa c’è al di fuori, perché troppo occupato a funzionare, almeno in apparenza. Baker è spietato in alcuni punti, benevolo in altri, ma niente mai rassicura davvero, nemmeno la “sacra” rappresentazione dei valori della famiglia. C’è un pizzico di fantascienza che ricorda la “Trilogia di X” di Vandermeer, qualche eco di critica sociale contemporanea che fa ritornare in mente, anche se con meno consapevolezza, la critica sociale di “This is America” di Childish Gambino, pseudonimo da rapper e produttore musicale di Donald Glover. Tutto affatica nelle storie di Baker, ma ritrova un senso perché in qualche modo quello che raccontano è una crisi culturale, ma anche un fermento sotterraneo che, nella letteratura, non si stanca di proporre ritratti e possibili soluzioni. “Si analizza la realtà portandola alle estreme conseguenze”, scrive Sellerio nel lancio editoriale, ma ora che la realtà distopica è fra noi queste estreme conseguenze sono anche meno spaventanti.

La letteratura queer di Garth Greenwell – Gli Stati Uniti che guardano altrove

Anche “Purezza” è stato pubblicato nel 2020 negli Stati Uniti, ma le atmosfere di questa raccolta di racconti che sembra in tutto e per tutto un romanzo, è molto distante dal mondo di Baker. Il protagonista e voce narrante di Greenwell è un giovane docente statunitense che viene fotografato in due anni della sua vita passati a Sofia, in Bulgaria, e rappresenta quella parte dell’America ancora capace di guardare l’Europa. Un uomo che vive la sua omosessualità in una dimensione ostile e si nasconde proprio come faceva col padre violento durante l’adolescenza. Quella del protagonista senza nome di Greenwell e una vita sospesa tra Europa e America, in cui è possibile volgere il proprio sguardo altrove e confrontarsi con realtà lontane. Un docente che parla il bulgaro, che si apre alla cultura in cui è immerso e che è più consapevole del resto del mondo dei protagonisti di Baker. Lui cura il rapporto con gli studenti, si interessa delle loro scoperte, delle loro vite, ma soprattutto racconta la propria vita e le esperienze amorose e sessuali in prima persona. Il risultato finale è un romanzo importante per la letteratura queer, per buona parte erotico, ma anche autofiction, termine che spaventa perché assimilato a “miope”. Il genere autofiction, invece, è molto caro a Greenwel, che tiene a specificare in molte interviste quanto non sia una moda recente, come si pensa, ma nasceva già con “Le confessioni” di Sant’Agostino, libro fondante della sua formazione come autore, poeta e critico letterario. Nell’autofiction secondo Greenwell i personaggi non hanno nomi, ma solo lettere iniziali per far sì che ci si interroghi a fondo sulla veridicità degli eventi, pure senza intacca il valore del prodotto finale.

Garth Greenwell è di pochi anni fuori dalla definizione di millennial, ma in questa esperienza affonda le mani indagando temi comuni, anche attraverso gli altri personaggi del libro, con una delicatezza e una capacità di scrittura diverse da quella di Baker. Quest’ultimo è radicato nel realismo e mostra una scrittura «briosa e distesa, affidata, più che ai dialoghi […], a lunghe descrizioni, virate comiche, infiniti elenchi di azioni o di luoghi», come scrive Luca Briasco sul Manifesto; Greenwell, invece, è poeta nel profondo e, pur con lo stesso amore per le descrizioni, indaga pensieri e corpi con dolcezza anche nella sessualità più sfrenata. Scrive di «soffici capelli mossi» e «il poco americano dissesto della fila di denti inferiori» catturando particolari sfuggenti, fissandoli sulla pagina e lasciandoli lì per essere adorati da chi legge. Greenwell scrive del sesso rude, sanguigno, aggressivo ma mai cattivo, che si mescola alla vergogna e alla ricerca della gentilezza anche nell’«aguzzino».

In “Purezza”, il racconto da cui prende il nome la raccolta, un vento terribile sferza Sofia mentre il rapporto del protagonista con R. muore in un locale pubblico, ma i traumi sono già passati, c’è solo spazio per la nostalgia. In “Gospodar” un incontro con uno sconosciuto diventa una cruda cronaca del sesso. Nel commiato del libro, infine, “Una serata”, il protagonista saluta Sofia e la sua vita negli ultimi due anni, e dagli studenti si sente dire:

Qui è diverso, Gospodine, quel che lei dice sarà vero in America; forse da voi si può tentare, e se uno fallisce pazienza, prova qualcos’altro, gli americani amano ricominciare, non è mai troppo tardi, dite. Ma qui da noi è sempre troppo tardi.

La letteratura di Greenwell è esplicita e poetica, ma non dimentica le sue radici. Nove racconti che l’autore stesso ha definito “Little book of gay sex love songs”, una letteratura queer che affonda le sue radici in James Baldwin, Alexander Chee e altri autori americani cosmopoliti che contaminano il loro essere americani, identità che in Baker è, invece, più solida e monolitica. Quando in una intervista per “The Paris Review”, curata dallo scrittore di origini russe e ucraine Ilya Kaminsky, gli viene chiesto se “Purezza” è un libro europeo o americano la risposta è solo una: è letteratura cosmopolita, affacciata su altro dal sé. È questo il superpotere dell’autofiction migliore.


Per approfondire
Intervista di Garth Greenwell per i Talks at Google 
Profilo Instagram di Garth Greenwell 
Luca Briasco su Matthew Baker per il Manifesto
Ilya Kaminsky intervista Garth Greenwell per “The Paris Review”
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