Presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e successivamente alla 12esima edizione del Roma Film Festival, è in sala dal primo Novembre Una Questione Privata, l’ultima fatica dei fratelli Taviani (diretto solo da Paolo e coadiuvato telefonicamente da Vittorio, che non ha potuto essere presente sul set a seguito di un brutto incidente). Tratto liberamente dal romanzo omonimo di Beppe Fenoglio, opera postuma rimasta “incompiuta”, venne scritto con l’idea di fare un romanzo meno legato all’epica da resistenza che aveva contraddistinto fino a quel momento l’autore. Per Fenoglio questa scelta era “una questione privata”.
Ambientato durante la guerra di resistenza nelle Langhe, un giovane partigiano di nome Milton (Luca Marinelli) cerca di scoprire se la donna che ha sempre amato, Fulvia (Valentina Bellè), ha avuto una relazione sentimentale con una sua vecchia conoscenza, Giorgio (Lorenzo Richelmy), partigiano anche lui. Milton vuole la verità: si incammina alla ricerca del suo amico (che nel frattempo viene catturato dai fascisti).
I Taviani ci presentano questo protagonista, combattente/combattuto, con una sequenza inziale “profetica”: ancor prima di contestualizzare gli eventi, capiamo che il giovane dovrà affrontare un cammino impervio, in salita e pieno di ostacoli. Dopo questo incipit, Milton si trova a parlare con la custode di una vecchia abitazione che era solito frequentare: scopriamo delle lezioni con la bella Silvia, di Giorgio che li ha fatti conoscere, dei giorni prima della guerra. Con una fotografia manichea, i registi ci fanno scoprire la storia (del protagonista) dietro la storia (la resistenza partigiana): se infatti i giorni della guerra sono raccontati attraverso una fotografia fredda, plumbea ed enfatizzata dalla nebbia onnipresente (un vero e proprio personaggio incorporeo), col diradarsi di quest’ultima scopriamo (letteralmente) il passato dei protagonisti con dei flashback caratterizzati dai toni caldi (i giorni spensierati prima della guerra – i giorni con Fulvia insomma, non a caso chiamata “splendore”).
Poi l’accenno ad una possibile relazione tra Giorgio e Fulvia da parte della custode: si insinua il dubbio in Milton che parte alla ricerca del compagno per scoprire la verità, sprezzante della guerra che lo circonda. La storia funziona proprio grazie a questa ossessione del personaggio (che ricorda molto quella che il protagonista de Il figlio di Saul, in un contesto sempre da seconda guerra mondiale, aveva nel ricercare una degna sepoltura per un suo possibile figlio). In un crescendo di deliri febbricitanti, Milton va alla ricerca di uno “scarafaggio” da scambiare con Giorgio, prigioniero del nemico: “non sento ragioni” grida al comandante (quasi) non udente di un altro reggimento che non vuole lasciargli prendere il fascista per riscattare Giorgio (in una scena riuscitissima che è pensata appositamente per smorzare i toni drammatici, con il prigioniero fascista che si improvvisa air drummer).
In una disperata corsa finale (l’unico elemento che per i Taviani doveva rimanere intatto nella trasposizione cinematografica), Milton confuso fino a quel momento dalla febbre (d’amore e della malattia), trova nella nebbia, per una volta, un riparo: fugge dai fascisti e per la prima volta va oltre lo splendore di Fulvia, oltre quella questione privata che alla fine, sembra non turbarlo più (Somewhere over the rainbow – leitmotif del film nella versione di Judy Garland).
Una Storia che i registi hanno vissuto, hanno già raccontato e alla quale sono vicini (anche anagraficamente). Si sente molto l’influenza di Torneranno i prati di Ermanno Olmi (qui in veste di produttore): a partire dal cast ( anche qui c’è Alessandro Sperduti, seppur con un ruolo marginale), da alcune sequenze (l’immobilità, le attese dei soldati) e da un ritmo non cosi dissimile (anche se il film di Olmi scorre più lentamente, essendo ambientato durante la guerra di trincea). Un film tutto sommato convincente, umano, appassionato. Soprattutto nella scena-chiave della bambina che ricorda (per l’impatto) una foto di Jeff Wall, Dead Troops Talk: nelle tonalità della fotografia, nella componente derivativa dell’immagine (Wall cita Goya e i risorti increduli della creazione di Michelangelo, i Taviani se stessi, che anche ne La notte di San Lorenzo scelsero una bambina come simbolo di purezza che viene macchiato dagli orrori della guerra), nel messaggio. La guerra, qualunque essa sia, lascia segni più o meno evidenti, sicuramente non lascia indiferrenti.
a cura di Leonardo Bastianini