Due vite allo specchio sono quelle raccontate dal regista Karim Aïnouz, che con La vita invisibile di Eurídice Gusmão ha trionfato nella sezione Un certain regard del festival di Cannes nel 2019. L’anno successivo la pellicola, basata sull’omonimo romanzo del 2016 di Martha Batalha (in Italia pubblicato da Feltrinelli), è stata selezionata per rappresentare il Brasile ai premi Oscar nella categoria per il miglior film straniero.
“La famiglia non è sangue. È amore.”
Coincidenze, inganni, sotterfugi. “La vita invisibile di Eurídice Gusmão” è un film dominato dall’assenza, dal distacco, riempito dai silenzi che dividono le due sorelle. Eurídice e Guida sembrano gemelle, a dividerle sono solo due anni e una scelta discutibile del padre, che, per salvare il decoro della famiglia, caccia Guida incinta da casa ed è la causa principale per cui le due sorelle non si rincontreranno più.
Così unite, così diverse. Eurídice segue la via più tradizionalista del matrimonio, della famiglia, con la consapevolezza di dover rinunciare ai propri sogni di musicista, si ritrova ad essere il modello che aveva sempre rifiutato, quello di sua madre, donna passiva e succube del marito. L’angelo del focolare che aveva per tanto tempo disprezzato. Dalla sua scelta però deriva un maggiore benessere economico, stabilità, l’amore del padre e poi dei figli.
Guida smonta ogni possibile stereotipo, è un personaggio sempre alla ricerca di nuove possibilità di vita. Rifiuta le convenzioni sociali, è una donna fiera e libertina, ragazza madre, che non si pente mai delle sue scelte, ma continua a scrivere lettere alla sorella. Lettere piene di nostalgia, affetto, speranza di poterla rincontrare. Un sottile filo invisibile unisce le due sorelle a distanza ma, come i numeri primi di Paolo Giordano, anche loro sono destinate a non incontrarsi mai, due forze magnetiche dello stesso polo continuano a rincorrersi nella caotica Rio de Janeiro degli anni ’50, che a un certo punto sembra farle rincontrare. Al ristorante, i loro figli si incrociano casualmente e, per poco, loro stesse non si riuniscono. Le divide, oltre l’immagine severa del padre, l’acquario che funge da filtro e ostacolo tra i due modelli di vita. Eurídice è attesa al tavolo per mangiare, mentre Guida sta per essere cacciata da quel mondo che non le appartiene più.
Le due protagoniste hanno scelto un’esistenza che la società non condivide, per questo creano una vita invisibile, parallela, fatta di ambizioni celate e sogni. Guida all’inizio crede nell’autodeterminazione del singolo, nell’amore vero, ma si ritrova sola con un figlio, dopo la morte dell’amica con cui conviveva e di cui prende l’identità. La scena in cui Guida osserva silenziosa la tomba che riporta il suo nome e in cui in realtà è seppellita l’amica richiama l’episodio finale de “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello e rivela la perdita della propria identità da parte del personaggio, che si ritrova forestiero della vita. È una sconfitta, un punto di non ritorno, ma che Guida sfrutta per scomparire e ripartire.
La gravidanza è vissuta da entrambe come un momento di svolta, ma Eurídice soffre e la rifiuta come espressione di una cultura maschilistica. È quello che vuole la sua famiglia, il desiderio più grande, quello di avere un erede. Eurídice si assottiglia di fronte all’obiettivo della famiglia di ottenere la continuità familiare. Cambiano le sue priorità, Eurídice si sente un oggetto, perde gradualmente la sua umanità, i suoi sogni e interessi.
Il racconto torna al presente.
Eurídice, divenuta nonna, trova infine le lettere e non cova più rancore per quel padre che le aveva divise, ma in lei, ormai priva di forze, riaffiora il sentimento di affetto per il ricordo della sorella, dietro cui si cela il nostalgico ricordo per gli anni più belli della sua vita, i più allegri e spensierati. La natura la osserva, la accompagna nel complesso viaggio della sua vita. Una natura strepitosa e incombente, una visione a tratti confortevole e ostile, sempre presente. La voce dei personaggi che rimbomba, i colori vividi, sono tutti elementi che riconducono a un distanziamento storico, come frutto della memoria di Eurídice, a cui non resta che il ricordo per emendare un’esistenza che non è quella che desiderava, ma su cui si è adagiata infine. E, una volta anziana, sarà premiata. Circondata dall’affetto di figli e nipoti, amata e rispettata, la sua non è stata una sconfitta. Dove il ricordo perde consistenza si apre la dimensione onirica, unico sollievo alle sofferenze del mondo.