Quando sarà saltato tutto

Sono diventati gli anni degli Antani, di quelli che se te ne vai ci tradisci perché il patriota affonda con la sua nave. Delle risse in parlamento e della politica su internet. Del salvare le promesse elettorali dell’avversario oggi e poi svendere il patrimonio per ritrovarsi ancora più poveri domani. E se prima tocca a Bankitalia poi ci troveremo le pubblicità del McDonald’s sulla fontana di Trevi e la Lapidazione di Santo Stefano a Genova con i poke di Google al posto dei sassi. Perché quando lo stato avrà già venduto tutte le sue potenzialità poi dovrà buttarsi sull’ultima risorsa, che da anni è diventata la cultura. Quella che gli intellettuali non esistono perché devono fare la comparsata da Maria de Filippi per farsi notare, che se lo fa il capo del partito poi non ti stupisci se si trova alle Botteghe Oscure con l’acerrimo nemico a parlare di progetti elettorali.

Un’occasione c’era e anche questa volta l’hanno buttata via. Ma è vero con i giudizi gratuiti non si va da nessuna parte, e per quello c’è già Andrea Scanzi e il populismo a cinque stelle. Perché le cose vanno dette per quelle che sono. E se uno dà della puttana a una sua collega in parlamento, lì dove ci dovrebbe essere il buon esempio, l’agorà dei migliori, allora non è tanto diverso che andarci davvero, a puttane, che poi è da vent’anni che ci andiamo senza nemmeno scendere dalla macchina. Dello tsunami di Grillo se n’è parlato già abbastanza, le migliaia di video che vengono postate si commentano da sole. La vera novità che ha portato quest’onda è che la politica, adesso, non deve muoversi per andare a sentire le offese che ogni italiano gli sta urlando contro il televisore durante un telegiornale, che tanto gli arrivano direttamente in aula. Niente giudizi gratuiti, quindi, e, per dio, nessun insulto. Anche se ce ne sarebbero da dire, ma non è culturalmente accettabile. Ma al pari di un insulto non sono culturalmente accettabili le minacce, le liste di giornalisti sovversivi, le offese alle massime cariche dello stato. Non è culturalmente accettabile, in uno stato moderno, il fatto che si prendano in giro i suoi cittadini. In uno stato moderno, già, dove l’#1vale1 è più di un hashtag o la favola che ti raccontano per farti sentire importante. Ma chi si aspettava un cambiamento dal M5s è stato un illuso o, meglio, un deluso da quegli altri, qualificati per qualche motivo, che avrebbero dovuto proteggere la Fiat, bene dello stato, dalla delocalizzazione e dalla trasformazione in FCA, che è un po’ capire che un motore della Lamborghini in una Panda non ci fa una gran figura, e se vuoi andare forte devi fare in modo che tutto vada nel modo giusto. Quelli che avrebbero dovuto proteggere la dignità dei lavoratori dell’Electrolux, perché di dignità si tratta, e non giocare alla pastorella sperduta se il gregge se ne va via, perché devi trovare un modo per attirarlo prima di farlo morire di fame. Quelli che, per una strana anomalia ereditaria, avrebbero dovuto difendere le fasce più deboli e che di Democratico, ormai, non hanno nemmeno più le assemblee interne, che o sei con me o sei contro di me.

È vero, è difficile governare in Italia, siamo un popolo di indecisi e di ignoranti, che mettono davanti lo stipendio per la casalinga alle risorse per la ricerca. Ma è da quando la politica ha smesso di essere anche educazione e cultura che ha iniziato il suo lento declino. Da quando di brave persone non ce ne sono quasi più e tutti sono diventati degli Andreotti o, meglio, da quando tutti hanno iniziato a crederlo. E anche Gaber sarebbe stato d’accordo, ma per fortuna non c’è più che ci farebbe male accorgerci dove siamo finiti. E non puoi credere nelle parole di un maestro che ti dice che è sbagliato essere individualisti mentre passa la giornata a farsi dei selfie a Montecitorio. In parlamento non è entrata la gente. E il Partito Democratico ha perso non solo l’ennesima occasione per distinguersi o per fare davvero un’azione forte, ha buttato via la possibilità di diventare qualcosa di più di un semplice team per governare delle assemblee di istituto. Renzi non è tanto diverso da Berlusconi, e il PD che si vede non è tanto diverso dal M5s. Perché iniziano tutti a recitare la loro parte prima o poi. Ma quando la rabbia non si conterrà più e li andranno a cercare, quando il primo sasso sarà scagliato e tutto inizierà a esplodere, si renderanno conto che il problema non sarà stato aver fomentato questa tensione con promesse mai realizzate, ma non avergli insegnato a fare meglio. Perché, poi, ricomincerà tutto da capo, con sigle diverse e, magari, volti diversi. Ma le case non si costruiscono con le stesse mani con cui le butti giù. Di potenzialità ce n’erano ma a forza di credersi migliori si pecca di sete di potere, perché qualcuno i decreti li ha scritti e qualcuno li ha votati, e se c’è un pessimo ambiente non è colpa solo della crisi. Anche lo slogan dell’essere nuovo e diverso, prima o poi, si rivela per la sua realtà. Che di diverso non c’è stato davvero ancora nulla.

Per una volta bisognerebbe parlare di qualcosa di buono, una giornata di discussione senza offese e scenate da gran varietà, non di silenzio, perché è nell’indifferenza che il peggio arriva. Una giornata di cui andare fieri, dove non si scenda a patti per far stare meglio quelli che stanno già bene, o che per andare avanti non si debba sacrificare qualcosa di irrinunciabile. Una sola giornata per stare bene, prima che sia già saltato tutto.

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