Quando la Street Art incontra la riflessione – Collettivo FX

Quando si parla di Street Art, in Italia, i due immaginari che emergono sono spesso contrastanti e slegati. Da una parte ci sono gli artisti affermati, come Keith Haring, che espongono nei più grandi musei del mondo, dall’altra i writers che, secondo autorità e anziani, imbrattano i muri con le loro scritte (seconda precisazione, per writers si intende chi crea opere con un valore artistico/culturale, non scritte politiche dei centri sociali o d’amore di qualche ragazzino sgrammaticato). Entrambi fanno parte, in realtà, dello stesso mondo, quello che nasce nella strada e nelle realtà urbane, forse la tecnica artistica che più in questi anni si è fatta interprete del mondo sommerso della provincia, ancora lontano dalle gallerie e dall’inquinamento commerciale.

 L’idea del Collettivo FX, nato a Reggio Emilia ma che si sta espandendo in tutto il mondo, nasce dalla necessità di riconquistarsi la strada, inquinando le superfici di cemento che sempre di più colonizzano i nostri tramonti. Il tentativo è di portare la cultura per strada, facendole abbandonare il carattere di nicchia o salottaro, trasportarla all’interno delle persone costringendole a riflettere, istigandole a diventare esse stesse artefici di un cambiamento. Chiunque, infatti, può entrare e uscire dal collettivo, dappertutto, scaricando in maniera anonima gli sticker o le installazioni più piccole e inquinando la propria città. Entrare in una rete di illegalità che più che contrastare le autorità o il benpensante costringe la cultura ad uscire per strada che, in un momento come questo, è forse più rivoluzionario di una piazza di volti coperti. Non è un caso che la composizione di questo movimento sia disomogenea per estensione e interpreti sociali. Dall’imprenditore allo studente universitario, dall’avvocato alla casalinga, chiunque può farsi portatore di un messaggio di speranza, per la propria città e i propri concittadini, quello che è richiesto non è di essere artisti ma di essere vivi. È dall’articolo 9 della Costituzione, quello secondo cui: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, che il Collettivo FX trae la sua origine e la sua forza. Un progetto indipendente da correnti, finanziamenti e pubblicità. Fuori dai palazzi e dai riflettori, che ha fatto della strada il suo canale di espressione, che si avvicina a Bansky per il carattere di denuncia sociale ma che trae le sue radici dall’arte italiana, forse l’unico strumento capace di eliminare le differenze nel nostro paese.

Verniciata

 Johnny Cash, Dante Alighieri, Coco Chanel, Charles Bukowski, sono solo alcuni dei grandi volti utilizzati per far passare un unico messaggio: senza cultura, senza arte, senza persone non si va da nessuna parte e non si esce da nessuna crisi. L’invito è quello di partecipare ma, soprattutto, di cambiare quel gusto tipicamente italiano, che non sa di pizza, quanto di critica sterile, il ritornello: «Questo governo non mi piace, questa città è triste, le persone sono stupide» che almeno una volta nella vita tutti abbiamo recitato.

Attacchinaggio, WANTED, Cavriago (RE).

È dalla strada che tutto passa, le nostre vite, i nostri progetti. È dalla strada che tutto deve ripartire. Sulla strada siete nati, sulla strada rinascerete. È questo quello che ho pensato parlando con alcuni di loro, guardando le loro installazioni accompagnarmi sulle autostrade o passeggiando al Pigneto di Roma. Un’arte che non si impone per visibilità ma che ti inquina dentro, come quella di Bansky, di Basquiat e di molti altri. Fuori dalla pretenziosità e dai compromessi, l’unica cosa che chiede non è di essere esaltata ma di venire compresa, di non essere spacciata per un imbrattamento, una violazione del patrimonio. Perché quando il cemento avrà invaso totalmente le nostre menti forse sarà troppo tardi per ricostruire le campagne.


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