Preoccupations – New Material

Quando si tratta di dubbi, ansie e paure Matt Flegel, frontman dei Preoccupations, non ha rivali. Nuotare nelle acque scure e profonde della depressione sembra essere attività a lui ben nota, considerando la nitidezza con la quale tali sentimenti d’irrequietezza sono raffigurati: ciò che rende così unici nella loro drammatica efficacia gli abbozzi di disaffezione del cantante è il fatto che derivino  non tanto dal risultato di una claustrofobia urbana, né da un più “normale” senso di afflizione personale da cui liberarsi; si tratta, piuttosto, di veri e propri missili con un’origine irreperibile, lanciati in maniera indiscriminata e arbitraria alla disperata ricerca di calore. Un senso di urgenza e disagio che si propaga e coinvolge ogni altro elemento della band canadese. D’altronde, anche se ormai i Viet Cong sono abbondantemente nello specchietto retrovisore, di certo polemiche e difficoltà incontrate all’epoca dell’esordio, legate appunto alla scelta pesantemente criticata del nome – da ricordare in particolare l’opprimente campagna denigratoria condotta dal magazine Exclaim! contro tale (per i media e per parte dell’opinione pubblica) infausta decisione-, non avevano aiutato ad edulcorare le tendenze ansiogene dei quattro, marchiandoli più del dovuto.

Con New Material, il gruppo continua su questa strada a ritmo sostenuto, creando una musica che è il perfetto riflesso di questa realtà a frequenze disturbate. Le linee dell’album sono magre al punto da sembrare cliniche e il ritmo è implacabile, caratterizzato da una prominente e vibrante sezione ritmica: da un lato il batterista Mike Wallace canalizza una sorta di primitivismo musicale (alla Bobby Gillespie dei Primal Scream per intenderci) in una serie di ritmiche alternate fra contorni e strappi continui, dall’altra il duo di chitarre suonate da Scott Munro e Daniel Christiansen arpeggia e stride in schemi vertiginosi di strimpellamento post-gotico. Un assemblaggio del genere, a fare da sfondo alla voce sgranata e impietosa di Flegel si traduce in un poema senza via di uscita alcuna, una sorta di quadro di Escher musicale: il suono dei Preoccupations è uno degli innumerevoli corridoi che si trasformano in altri corridoi, o una delle tante scale che salgono incessantemente verso il basso.

Composto da otto tracce della durata di appena 35 minuti, questo terzo lavoro della band è un’offerta allo stesso tempo nervosa e meditabonda di inni in pieno stile post-punk anni ’80.  Un guscio abbandonato a se stesso, di ciò che è stato ma che ancora è. In apertura il singolo Espionage – in grado di catturare magnificamente l’amore della band per Bauhaus e Joy Division– è un turbine di energia in costante aumento, con una batteria frenetica a scandire il tempo, lanciata in un inarrestabile moto perpetuo. In Decompose si assiste ad un lavorìo di giustapposizione tonale su un muro di suoni che cresce lentamente , mentre la splendida Disarray è un dialogo serrato fra i riverberi delle chitarre e le rauche invocazioni della voce del cantante.

Con Manipulation e Solace il processo di estraniamento prosegue senza concedere tregua alcuna: fondate entrambe su di un nervoso e pesante trambusto fornito dalle chitarre e addobbate con gocce sintetiche di droni che suonano come macchine del rumore bianco per persone che non dormono mai, la sensazione è quella di un brivido incessante attraverso continue scene di intenso disadattamento. A tratti pare che i quattro canadesi abbiano fatto del documentare disordini psichici con dettagli musicalmente microscopici, una sorta di missione: le linee alternate di basso e chitarra dipingono nature morte fatte di fiori marci e acque putride, mentre i cori di Antidote suonano come mantra di sofferenza a tempo indeterminato. Il disco si chiude con il nefasto e inquietante soundscape offerto da Compliance, una palude strumentale di synth nebulosi e altri suoni opachi. A taluni può forse servire come pausa dalla raffica di negatività che pervade le altre sette tracce del disco, per altri non può che suonare come l’apice della visione da incubo della band.

New Material “è un’ode alla depressione” ha affermato Flegel in un’intervista, “alla depressione e all’auto-sabotaggio, mentre guardi dentro te stesso con un odio estremo”. Non c’è una strada, un posto sicuro verso il quale i Preoccupations, con la loro musica, abbiano intenzione di guidare l’ascoltatore attraverso questa nebbia solida, poiché loro stessi sono persi nel mezzo. La propensione è quella di chi, invece di combattere quest’oscurita, vi si abbandona, accettandola –anzi, quasi abbracciandola- con placida arrendevolezza: una celebrazione del concetto di andare in pezzi senza avere a disposizione ago e filo per ricucirsi.

 

 

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