Cinema Cult | Porcile di Pier Paolo Pasolini

Scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini nel momento di maggior fermento del Sessantotto con la sua solita preveggente neutralità da osservatore dei moti culturali del Belpaese, Porcile porta alle estreme conseguenze l’oscura riflessione sul cammino dell’uomo moderno cannibalizzato dal capitalismo della nuova Italia post-bellica. Porcile è una pellicola ostica e durissima, di ardua visione, soprattutto per l’elevato numero di allegorie che si accompagnano a un andamento narrativo molto lento e contemplativo, e a un’estetica di grande suggestione visiva. Con uno spiccato senso per l’atemporalità, Pasolini intesse un racconto generalista e universale che compie un vero e proprio atto di terrorismo nei confronti di bigottismi che innescano l’impossibilità di una vita anticonformista.

Il film è strutturato sul montaggio alternato di due piani temporali differenti, la Sicilia del XVII secolo (come testimoniano le riprese svoltesi ai piedi dell’Etna) e il presente, che scorrono parallelamente in autonomia, palleggiando però con alcuni punti di contatto resi impliciti dall’autore. La vicenda del passato si ricollega al finale del precedente Teorema, tratteggiando la dicotomia tra l’istinto di natura e le norme della civiltà in uno scenario ancestrale e fascinoso. Per quanto la Natura, costretta a piegarsi di fronte all’avanzata della Civilizzazione, nasconda scomode contraddizioni quali il cannibalismo e un’aberrante etica tribale, la sua controparte più razionale spicca invece in ipocrisia. Ed è proprio l’ipocrisia la protagonista principale del secondo piano temporale, ambientato in una Germania contemporanea dominata da un forte classismo animato dalla stessa ideologia hitleriana. Analogie con il nazismo a parte, la Germania di Porcile occorre a Pasolini (così come i due protagonisti della digressione, Ugo Tognazzi e Alberto Lionello) per dipingere i continui e cinici voltafaccia, la falsità e la caccia smodata al materialismo del capitalismo borghese moderno.

Porcile, inoltre, non risparmia attacchi satirici neppure nei confronti di quei movimenti sovversivi giovanili molto in voga in quel periodo che alla fine, escluse le dovute eccezioni in grado di esularsi dallo status per guardare alle cose con occhio più spirituale (il personaggio di Julian, alter ego di Pasolini stesso) non rappresentavano nulla di diverso da una ribellione effimera, zavorra sbandata della borghesia stessa destinata a rientrare presto nei ranghi. Giunto a questo punto del suo percorso intellettuale, Pasolini, che di lì a pochi anni avrebbe rimarcato il suo desiderio di scioccare con Salò o le 120 giornate di Sodoma, si era ormai allontanato del tutto dall’ottimismo dei primi lavori cinematografici, in particolare Il Vangelo secondo Matteo. Porcile è forse il film di Pasolini che più rende palese il nichilismo della sua visione socialisteggiante, e per un’inquietante coincidenza pare cogliere in ogni dove i segni premonitori della morte violenta del poeta: anche il più audace dei ribelli, sembra voler dirci il regista, è inevitabilmente sedotto dal lato più basso e oscuro della società, e purtroppo l’arte non gli potrà bastare a impedire di finire nello stomaco di quel porcile che è diventato il mondo moderno.

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