Poor Things spazza via Barbie con un po’ di sano genio hardcore. Riabituarci alla qualità, dopo la sbronza rosa e manierata della Mattel, ci rende tutti meno burattini e persone migliori.
L’effetto è in un primo momento liberatorio e poi rigenerante. Poor Things di Yorgos Lanthimos (in italiano Povere creature!, in sala dal 24 gennaio 2024) è un gran bel film – finora il migliore passato a Venezia – e andrebbe anche solamente visto perché in venti minuti spazza via la stagione del monsone Barbie, con il suo pinkwashing, i costrutti pedagogici a prova di like e pure l’estetica plasticosa e pastellata.
Basterebbe questo per essere grati alla pellicola del regista greco, che trae spunto dal romanzo di Alasdair Gray. E invece nei minuti successivi Poor Things va anche oltre e asfalta la pellicola di Gerwig.
Breve sinossi: Poor Things è la storia di una donna incinta morta suicida a cui viene trapiantato il cervello del proprio feto e poi viene rianimata. Bella Baxter (Emma Stone, strepitosa!) si ritrova quindi a vivere da infante in un corpo di donna, ma senza saperlo.
A questo aggiungici Lanthimos (Dogtooth, The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro, La favorita, solo per dirne alcuni). Dati i presupposti, il rischio (e la preoccupazione) era quella di trovarsi di fronte ad un dramma stralunato e poco accessibile. Invece il regista greco ci propone una commedia (dark?) femminista, più punk che pink, a tratti esilarante.
L’archetipo originario è quello di Frankenstein. Ma più quello junior di Mel Brooks che l’originale della Shelley. Il rovesciamento prospettico avviene quando scopriamo che il mostro frankesteineizzato non è Bella, quanto più il suo creatore, Godwin Baxter (Willem Dafoe), detto God, il chirurgo frutto dell’anafettivo scienzismo del padre, che si è accanito sul figlio nelle sue bizzarre sperimentazioni anatomiche.
È il primo assaggio di tossicità maschile che troviamo nel film. Bella è riportata alla vita ma da prigioniera. Il suo destino sarebbe quello di non conoscere il mondo al di fuori della magione del Dr.Baxter, popolata di bestie balzane.
Più Casa di Bambola che casa di Barbie: back to the basics bitches 🙂
Anziché l’utopia confettosa di Gerwig, Yorgos ci immerge in un mondo ctonio e bianco e nero, rappresentato da grandangoli malati e da inquadrature fisheye che ci fanno sembrare guardoni bramosi mentre spiamo Bella scoprire l’orgasmo.
La gioia del suo corpo è il martello che distrugge ogni muro. Il bianco e nero lascia spazio a tinte sature e a scenari retrofuturistici pazzeschi.
Bella compie un gran tour tra Londra, Lisbona e Parigi. Come Barbie scopre il mondo reale, ma questa volta usando il proprio corpo come strumento di scoperta, senza rifilarci monologhi da maestrine woke. All’assessualità puritana di Barbie, si oppone Poor Things che esplode di sesso, gioioso e formativo.
Per un attimo ci dimentichiamo di vedere scene di sesso dove tecnicamente a scopare è una bambina ma con un corpo da adulta (fun fact: la pellicola verrà distribuita dalla Disney). Qui il woman empowerment passa attraverso una storia davvero disturbante e veramente queer, nel senso originario di strano, spostato, sbagliato e difforme.
Il desiderio sessuale è desiderio di sapere. Lanthimos riesce a ricostruire un mondo immaginario diverso ed efficace senza consultare il bignamino del neofemminismo bubblegum e senza godere dei cortei di influencer vestite di rosa shocking sui social a supporto.
Bella, da vittima designata, bambola umana, marionetta, preda indifesa, acquisisce consapevolezza – individuale e non di classe – e finisce per insegnarci qualcosa. Come ad esempio che il tema principale dovrebbe essere più universale: provare a diventare (tutt*) persone migliori.
E gli uomini? Bella compie un safari all’interno di un grottesco e variegato bestiario maschile, demolendone ogni esemplare.
1. L’uomo di scienza accecato dall’hybris della scoperta e da un asettico senso di onnipotenza: Godwin Baxter (Willelm Dafoe).
2. Il maschio beta, innamorato e accondiscendente, ma che allo stesso tempo non può, perché non riesce, appagare la sete di scoperta dell’amata: Max McCandless (Ramy Youssef).
3. Il tombeur de femme dalle cattive intenzioni, prima mandrillo e poi sottone: Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo).
4. Il dandy cinico ma per vendetta, che brama di ferire i sentimenti di Bella bendisposta verso il prossimo: Harry Astley (Jerrod Charmichael).
5. Fino ad arrivare a lui, il maschio alfa del patriarcato tossico per eccellenza, uno stronzo militare con conseguenti tendenze al femminicidio: Sir Aubrey de la Pole Blessington (Christopher Abbot).
Tutti ebeti, tutti risibili, tutti carcerieri, ma in realtà prigionieri della loro miseria.
Sarà proprio Bella a castrarli uno ad uno, con la forza della sua naivetè prima e della sua body confidence poi (la pistola sulla tempia del maschio sclerotizzato dal proprio senso di possesso).
Il paragone con Barbie – purtroppo per Gerwig, demiurga assieme a Margot Robbie di un’operazione di cinemarketing storica – è d’obbligo ed è impietoso.
Ok, ma si potrebbe dire: anche un prodotto come Barbie ha il pieno diritto di esistere e di meritarsi il suo pubblico. E ci mancherebbe. Però Lanthimos cade a fagiuolo per dirci che ci può essere di più, di non accontentarci e di non abituarci ad uno standard ideativo, di cui è intriso un blockbuster che definire comunicativamente invasivo sarebbe un eufemismo, e che fino a qualche settimana fa saremmo stati pronti a canonizzare come “instant classic”.
Con la verve delle parabole illuministe di Voltaire e Rousseau, ma con un sense of humour più weird e deflagrante, Lanthimos alza l’asticella, senza rinunciare al suo personale gusto del bizzarro (ed una spruzzatina di gore).
Poor Things riesce fare cose che Barbie non fa / non voleva fare. Dà voce e potere ad una donna coraggiosa che acquista consapevolezza e libertà a modo suo, usando il corpo e poi la mente, mettendo alla berlina i vari costrutti sociali. E lo fa mostrando impudicamente quanto il sesso possa essere bello, semplice, appagante e liberatorio se vissuto senza pregiudizi.
C’è inoltre lo spazio per criticare la scienza, se elevata a religione, creatrice di mostri, ed altri temi come il socialismo, il suicidio e il matrimonio.
La vera rivoluzione è stata quella di trovare la quadra in due ore di film molto godibili attraverso genio e sregolatezza. Una rivoluzione che evidentemente non può essere portata in scena da un femminismo costipato, inaridito e privo di fantasia.
Correte al cinema quando potrete.