Era il 17 maggio del 1999, e l’etichetta indipendente VR Records pubblicava Play, il quinto album in studio di Richard Melville Hall, alias Moby. Diciotto le tracce che compongono l’album che ha segnato il giro di boa per il genere elettronico indipendente. C’è chi lo ha definito geniale, chi mainstream, ma lasciamo ai posteri l’ardua sentenza: ciò che oggi rimane di Play è la genialità della produzione, interamente curata dall’artista. A consacrare l’album Moby nella galassia degli intramontabili, i campionamenti che hanno fatto da sottofondo alle tracce di Sounds of South: a musical journey from the Georgia Sea Islands to the Mississippi Delta di Alan Lormax: un album dal quale l’artista attinge i testi.
Play: un successo inaspettato
Dopo una crisi artistica venuta dopo anni di successi guadagnati con pezzi da discoteca, Moby rasenta letteralmente il fondo dopo la pubblicazione di Animal Rights: la critica è dura rispetto a quelle che erano le sue aspettative, e le case produttrici che lo avevano sostenuto fino a quel momento gli voltano le spalle. Ma lui non si perde d’animo e si rimbocca le maniche: la VR Records punta su di lui, e visto il successo, durato anche dopo lo scoccare del terzo millennio, potremmo dire che non ha avuto tutti i torti.
A giocare a favore del successo di questo agognato lavoro un uso massiccio di ogni traccia per pubblicità, colonne sonore di film e serie TV: un’impresa difficile fino a quel momento per la musica elettronica. Sono 9 i singoli lanciati in radio tra il 1998 ed il 2001, e nel 2000 Play diventa il prodotto musicale pubblicato da un’etichetta indipendente più venduto in assoluto. Un evento senza precedenti, dunque. Come senza precedenti era l’abbinamento di generi differenti presentati in un susseguirsi di tracce dello stesso lavoro discografico.
Il tutto come testimonianza della personalità di un artista polimorfo, che in questo caso diviene eclettico, persino coraggioso. Stravagante, geniale è il suo districarsi tra tracce prettamente elettroniche, trip-hop, lounge, ambient.
Le curiosità
Le danze si aprirono con Honey, il primo estratto pubblicato il 31 agosto 1998. La campionatura della voce di Bessie Jones che cantava a cappella Sometimes, brano del lontano 1960, ballava sulla base elettronica creata da Moby. L’allegria e lo scatenato ritmo ipnotico rapì subito la critica, in particolare quella del The Guardian.
Ma Richard Melville Hall è anche ironico, e questo suo lato viene fuori quando nel clip di Find My Baby scimmiotta il fenomeno delle boyband: ragazzi telecomandati dai produttori che cavalcano l’onda di un successo effimero. È l’anno in cui band come i Backstreet Boys sono all’apice, e i Blink-182 riescono a rendere il punk un fenomeno popolare o di costume con pezzi come What’s my age again? e Adam’s song, anche quest’ultimo un’ironica critica alle boyband. Le parole di Boy Blue che canta Joe Lee’s Rock sulle note immaginate e realizzate da Moby saranno parte della colonna sonora de Gli ultimi fuorilegge, film del 2001.
A dispetto dell’ironia e dell’allegria dilagante, Play è anche introspezione: Porcelain, composto e registrato nell’appartamento dell’artista, racconta la sua intimità, con una donna “davvero meravigliosa – che ho amato molto. Ma sapevo nel profondo del mio cuore che non avremmo mai avuto una relazione veramente romantica”.
E ancora: li ricordate gli europei del 2000? La Rai che trasmetteva le partite? Vi ricordate la sigla ufficiale dei programmi sportivi? Bene, quelle erano le note di Natural Blues, che nello scenario internazionale ha vinto gli MTV Europe Music Awards come miglior video – a cui ha preso parte anche una giovanissima Christina Ricci – , e si è guadagnato una nomination ai MuchMusic Video Awards, come miglior video internazionale.
E mentre questo pezzo che ci ha riportato indietro di ben 20 anni volge al termine, vi raccontiamo che non ci siamo dimenticati del B-Sides, il quale nel 2000 ha affiancato la versione già esistente di Play con altri 17 pezzi, e nel 2004 è diventato un album diverso dal progetto d’origine, e tutti ci chiediamo se la Terra sia piaciuta al protagonista della clip di Why does my heart feel so bad?.
a cura di Carmela Landino