Dopo vari mesi di attesa e già 3 singoli usciti come anteprima, il nuovo album dei Pixies è finalmente out. Come gli altri lavori della band, anche questo è un disco corto, lungo poco più di mezz’ora ma composto da ben 12 tracce. La caratteristica principale di quest’album, però, è la costante alternanza tra pezzi potenti ed altri decisamente più pop, che ora analizzeremo insieme uno ad uno.
Si parte con una doppietta dal sound abbastanza moderato formata dalla title-track Head Carrier e Classic Masher: la prima è composta da un intro di chitarre distorte, strofe pacate e dal cantato leggero e ritornelli un po’ più rock; mentre la seconda, caratterizzata dalla voce femminile della bassista Paz Lenchantin, ricorda vagamente lo stile dei Cranberries.
Con la terza traccia Baal’s Back, brano totalmente urlato da Francis sia nelle strofe che nei ritornelli, abbiamo una brevissima bomba grunge (lunga meno di due minuti) che alza notevolmente i ritmi del disco, per poi passare di nuovo a melodie molto più leggere con Might As Well Be Gone, sicuramente una delle più orecchiabili del disco che però non convince a pieno proprio a causa della sua troppa leggerezza.
Ma in questo disco, oltre a pezzi pop, vi sono anche dei brani più sperimentali, ne sono un esempio la quinta e l’ottava traccia, rispettivamente Oona e Bel Esprit: sono i due pezzi più lunghi dell’album, con due sound molto diversi tra loro ma che presentano entrambi una struttura particolare in cui non si riesce a comprendere bene quali sono le strofe e quali i ritornelli.
Come sesta e settima traccia ci sono Talent e Tenement Song, già uscite precedentemente come singoli: anche qui vi è un’altra forte ambivalenza, in quanto se il primo è un brano potente e particolarmente rock, il secondo è molto più rilassato e con meno distorsioni alle chitarre. Entrambi, tuttavia, sono molto piacevoli da ascoltare e, a differenza dei due sperimentali citati sopra, possono entrare in testa già dal primo ascolto.
Successivamente troviamo All I Think About Now, dotato di un intro che sembra fatto di proposito per farci venire in mente Where Is My Mind sia per la chitarra che per gli “Uuh uuh” della Lenchantin, che in questo caso ricopre anche il ruolo di cantante solista. Il pezzo si può inserire nella pop della raccolta, ed anche questa volta un pezzo leggero è seguito da uno molto più forte come Um Chagga Lagga, il più rumoroso e pazzo dell’album, caratterizzato da chitarre ruvide, basso prepotente e urla apparentemente insensate di Francis. Alla fine, l’unica assenza di ambivalenza tra sound la troviamo solo nelle ultime due tracce, Plaster of Paris e All The Saints, entrambe molto soft e adatte per essere poste alla fine dell’album.
In generale, il pregio più importante di Head Carrier è quello di avere un gusto fresco e che sa di nuovo, tenendo conto che si tratta del sesto album in studio di una band in attività dall’86.