a cura di Mario Cipriano
La magia della fotografia sta, tra gli altri fattori, nel saper essere di una complessità ineffabile e al tempo stesso leggera e semplice, in un paradosso che accarezza il tempo e ci gioca come farebbe un dio bambino col suo animale domestico. La complessità della fotografia sta nelle sue regole, nella sue tecniche, negli scatti pieni di riferimenti culturali, messaggi, simboli, segni. La semplicità della fotografia, invece, sta negli occhi di chi sa guardare il mondo in maniera davvero speciale e riesce a racchiudere in una manciata di colori e sfumature un intero mondo. Uno dei fotografi che meglio riesce in questa delicata danza, riassumendo interi mondi in scatti leggeri ma complessi è senz’altro il moscovita Gueorgui Pinkhassov.
Il concetto di cui stiamo parlando è particolarmente vivo nel suo ultimo progetto, Sophistication Simplification, raccolta di fotografie ottenute esclusivamente con lo smartphone. Con questo progetto Pinkhassov cerca di portare avanti una piccola manifestazione culturale nei confronti di un concetto nuovo e abbastanza preoccupante, quello della smaterializzazione della fotografia: essendo la fotografia tradizionale un processo estremamente materiale (si intenda come fine della fotografia la stampa ottenuta dal negativo da poter apprezzare a pieno in tutti i suoi dettagli e sfumature), l’avvento di strumenti che sostituiscono la fase finale di stampa ha sottratto la dimensione materiale.
Sostanzialmente non si stampano più foto e non stampando più foto in un modo o nell’altro quelle che scattiamo scivolano lentamente verso un oblio virtuale in cui spariranno senza lasciare traccia. La variante concettuale è viva più che mai in questo progetto recente di Pinkhassov ma raggiunge i suoi picchi estetici in Sightwalk nel quale il fotografo riesce ad elevare elementi della strada, del mondo in cui è immerso a immagini velatamente astratte attraverso la sperimentazione estrema della forma.
Riflessi, pattern, colori, ombre, luci diventano strumenti ed elementi estremamente definiti che disegnano mondi, separano soggetti e creano immagini oniriche in cui perdersi. Pinkhassov sembra esplorare la realtà a singoli elementi, scomponendola e partendo da ciascuno di questi singoli elementi fino a creare piccoli mondi a parte, fantasie, sogni che rappresenta con estrema semplicità nonostante la loro grande complessità. Dando un veloce sguardo alla bio di Pinkhassov è facile capire come fosse nata una buona intesa, già ai tempi del film Stalker tra lui e il regista Tarkovskij.
Legati da una grande amicizia e stima, Pinkhassov fu invitato come fotografo di scena sul set del film che il regista stava girando. Le contaminazioni a volersi mettere e notarle sono parecchie tra i due grandissimi artisti russi e ci sarebbe da dedicare un altro articolo solo a questo aspetto ma facciamo ciò che piacerebbe fare a Pinkhassov, lasciar parlare le sue immagini adesso. Buone visioni.