Se uno dei migliori registi della cinematografia europea decide di girare un film in 3D viene il dubbio che forse questa sia la tecnologia imprescindibile per il futuro della Settima Arte. Dopo aver visto Pina di Wim Wenders ci si rende conto che probabilmente è stato più un vezzo, uno sfizio che il regista si è tolto provando le riprese tridimensionali che sinceramente erano evitabili per questa sua opera. L’affascinante film documentario sulla straordinaria coreografa tedesca scomparsa nel 2009 è una gioia per gli occhi, anche per i non appassionati di danza: il regista ci guida in un viaggio sensuale e di grande impatto visivo, seguendo gli artisti della leggendaria compagnia Tanztheater Wuppertal sulla scena e fuori, nella città di Wuppertal, il luogo che per 35 anni è stato la casa e il cuore della creatività di Pina Bausch. La bellezza delle immagini delle coreografie che Pina aveva scelto con Wenders per la rappresentazione su grande schermo, cattura lo sguardo e l’attenzione dello spettatore avvolto nei movimenti del teatro-danza, negli spazi immensi riempiti dalle figure dei ballerini. Secondo Wenders il 3D gli è servito per rendere appieno la plasticità delle coreografie e le emozioni del teatro-danza di Pina Bausch; ma in realtà non è certo tale tecnologia che può esaltare o meno l’eccezionalità di un corpo in movimento, anzi può risultare deleteria nel caso di una danza prolungata, di una coreografia caratterizzata dall’ambiente circostante, e lo spettatore perde molti degli elementi scenografici venendo travolto esclusivamente dal soggetto ripreso che a lungo andare in 3D stanca e disturba.