Sentirsi alla macchina da scrivere come alla tastiera di un pianoforte, suonando il jazz. Il ritmo della frase – ora sincopato, ora disteso – riproduce e ricerca sulla pagina un andamento musicale. Il fraseggio degli strumenti che dialogano fra loro in una jam session diventa il rincorrersi sulla pagina di motivi narrativi che si inseguono e si intrecciano, dando vita a una vera e propria partitura musicale.
Chi si è imbattuto per la prima volta nelle pagine di Tondelli, molto probabilmente avrà avuto la stessa sensazione che lo scrittore emiliano spiegherà con queste parole ne L’Abbandono per omaggiare la grande influenza esercitata dalla penna di Jack Kerouac sui propri mondi creati a colpi di inchiostro e sound.
Già, perché le storie dell’universo tondelliano assomigliano a piccole sinfonie incise su pagine padroneggiate quasi fossero spartiti musicali, in cui il testo diventa materiale sonoro da orchestrare secondo adagi, lenti e accelerazioni improvvise.
In Dinner Party, il personaggio Didi scrive: “Io faccio musica con le mie parole. Per questo, le cerco. Le cerco, ma chi ti ascolta per una parola? Chi è capace di vivere per il suono di una parola?”.
Tutta la scrittura di Tondelli – una scrittura emotiva, emozionale ed emozionante – è attraversata da questo afflato che individua nel sound del linguaggio parlato l’unica strada che conduce al cuore del racconto. Tutto è sottomesso a questo modo di sentire la scrittura, compresa la sintassi, le cui regole vengono continuamente sovvertite e incrinate, con attitudine squisitamente rock, per tradurre al meglio le propulsioni del linguaggio, restituirne l’anima. Il rifiuto delle convenzioni stilistiche e letterarie, la ribellione alle norme grammaticali, l’uso anarchico della punteggiatura, sono tutti sforzi orientati al soddisfacimento di una resa narrativa più acustica che verbale, la sola adatta a trasmettere l’urgenza del comunicare:
Lacrime lacrime non ce n’è mai abbastanza quando vien su la scoglionatura, inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo e manda via il vischioso male, quando ti prende lei la bestia non c’è da fare proprio nulla solo stare ad aspettare un giorno appresso all’altro. E quando viene comincia ad attaccarti la bassa pancia, quindi sale su allo stomaco e lo agita in tremolio di frullatore e dopo diventa ansia che è come un sospiro trattenuto che dice vengo su eppoi non viene mai. (Altri Libertini)
Il rapporto tra Tondelli e la musica è dunque vitale, viscerale e imprescindibile. Diviene ora sottofondo esplicito come in Rimini, in cui l’autore propone vere e proprie colonne sonore del libro (ndr- scaricabile qui); ora inserto che si fonde con il testo, come in Altri libertini, dove stralci di I’ll be your mirror di Lou Reed vengono letteralmente tradotti, diventando parte del tessuto narrativo:
E allora ti prego Andrea allarga le braccia; lasciami entrare, non sai la bellezza che ti appartiene piccolo, lascia che sia io a dimostrare la tua cecità, lascia che sia i tuoi occhi, il tuo specchio Andrea e allora rifletterò chi tu sei e sarò anche il vento, la pioggia, il tramonto, il deserto e l’alba alla finestra per quando cercherai il cammino nella notte, lasciami entrare tra le tue braccia Andrea lasciami, ehi piccolo I’ll be your mirror…
Ancora, la musica diventa il luogo in cui riconoscere e descrivere l’identità di una generazione che si fa presenza tra le pagine proprio in relazione a ciò che ascoltano:
Dopo nessuno ci ha più sonno e andiamo a far tardi per la campagna, ma siamo un po’ spompati tutti quanti lo si vede che non facciamo che cantar canzoni di dieci anni fa Lucio Battisti e Luigi Tenco e Fabrizio de André, insomma torniamo ragazzini, le prime festicciole, i bacetti, le scampagnate in bicicletta, i primi intorti, le gnoccate là in quel bel posto vicino alla bonifica e ai mulini di mia cugina e le prime strette di culo e i pattinaggi sulle piste delle balere, tutto prima del liceo, della politica, dei concerti; ahhhh che regressioni lo sballo in questa notte di luna! (Altri libertini)
L’approccio musicale alla scrittura è rintracciabile anche nella struttura di alcuni romanzi di Tondelli, basti pensare alla meravigliosa storia di amore e solitudine raccontata in Camere Separate, la cui scansione non è articolata in capitoli, ma in “movimenti” che descrivono la riflessione sul passato, presente e futuro del protagonista. Una riflessione che viaggia sulle note della musica iterativa di Reich, Glass ed Eno, cioè la musica che Tondelli aveva in mente quando scrisse Camere Separate, in quanto ritenuta la più adatta a descrivere la “memoria del sentimento”, quel solco interiore creato dalla ripetizione circolare di uno stato d’animo. Allora l’iniziale immagine dell’aereo che attera sui ricordi di Leo andrebbe accompagnata da Music for Airports, perché “si tratta di ridire le stesse cose ma mai nello stesso modo, di andare sempre sugli stessi temi aggiungendovi ogni volta uno scavo ulteriore. Come nella musica d’ambiente, che in fondo è una musica interiore”.
Il rapporto tra Tondelli e la musica è interessante da un duplice punto di vista. Il primo riguarda la passione che lo scrittore emiliano ha per questa forma d’arte che ritiene evidentemente come la più adatta ad esplicitare un certo tipo di sensibilità, uno strumento attraverso cui osservare la realtà, veicolarla e sublimarla sul foglio. Più volte Tondelli ha dichiarato, infatti, di scrivere con la radio accesa, lasciandosi influenzare dai suoi ascolti preferiti che, a loro volta, dialogano con le pagine scritte: basti pensare agli echi letterari di un gruppo come gli Smiths, che risuonano di Joyce, Musil, Sartre, o alla vocazione poetica di cantautori quali Bob Dylan, o di Jim Morrison e Patti Smith i cui testi sono fortemente ispirati agli inferni di Baudelaire e Rimbaud. E tra gli italiani De Gregori, Lolli, CCCP, De André, Bertoli, Guccini. Il secondo riguarda il modo in cui i personaggi stessi non solo ascoltano la musica ma la abitano. In questo senso l’immaginario musicale diviene lo specchio della generazione raccontata nelle pagine di Tondelli e l’atmosfera dentro la quale si consumano i drammi, le pulsioni, le illuminazioni interiori dei protagonisti, in una peregrinazione che va dal frastuono di un concerto al silenzio della propria anima. Così come accade a Leo in Camere Separate che, durante un concerto, “si distacca dalla musica” e, proprio in quella pausa di silenzio necessario, incontra la persona più importante della sua vita, Thomas. Un silenzio che è comunque accompagnato dalle note del suo inseparabile Morrissey: «Oh, I’m so glad to grow older, to move away from those younger years, now I’m in love for the first time».
Il tempo che non si vuol lasciare libero di andare diventa pagina scritta. La vita, allora, muta in inchiostro un poco affannato che la voce legge liberando un canto.