Per un attimo facciamo finta di essere a Manchester, in qualche momento tra il 1979 e il 1980, tra Unknown Pleasures e Closer : il cielo è grigio e minaccia di piovere, fa così fresco che abbiamo la giacca a vento. Invece è una giornata calda, siamo dentro l’anfiteatro romano di Lecce, immersi nelle rovine di una civiltà fantasma che dall’Occidente all’Oriente è stata distrutta da due grandi religioni secolari: del panorama industriale inglese non abbiamo niente davanti, palazzi ocra ci fanno da sfondo mentre celebriamo una cerimonia post-punk in versione 2016 che si incarna nella voce di Peter Hook, storico bassista dei Joy Division prima e dei New Order poi. In un atto di possessione onirica per un attimo ci sembra di vedere in Hook le danze epilettiche di Ian Curtis mentre canta “Dance dance dance dance dance to the radio“.
Un ragazzo indossa una t-shirt nera che fa il verso al film di Corbin dedicato a Curtis (cfr. Control): dietro la maglia una scritta bianca e decisa a grandi caratteri, HATE. C’è un po’ di Inghilterra ovunque stasera, per le strade di Lecce fuori e dentro l’anfiteatro, prima e dopo il live, abbiamo occasione di incontrare t-shirt di Unknown Pleasures a ogni angolo di strada. Gli organizzatori – già noti per il Festival Sud Est Indipendente – per l’occasione hanno creato una t-shirt che richiama il disegno di una delle copertine ormai più famose della storia della musica. La conoscete? Chissà se il ragazzo suicida avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe riempito un anfiteatro romano con tutte queste t-shirt, e un sacco di voci che urlano i suoi pezzi, corpi che si muovono a ritmo, e cantano Isolation. In fondo Ian non sa niente di cosa gli ha riservato il destino: se Lou Reed è riuscito a raccogliere il successo che sarebbe già dovuto esplodere all’epoca di The Velvet Underground & Nico (“You’re going to reap just what you sow”), la memoria di Curtis oggi la celebra Hook, e non c’è niente di male – anche se il resto della band fenicia New Order qualcosa da ridire ce l’ha. Niente di male se l’unico modo che ci resta per sentire certi pezzi è ricelebrarli con Hook, che come un vero capo indiano celebra un rito di evocazione che ci avvicina allo spirito di chi è scomparso.
Il live di Peter Hook & The Lights si divide in quattro set. Il concerto dura circa 3 ore fittissime, Hook le regge tutte, continua a cantare fino alla fine e incita il pubblico. Se anche a volte la voce rischia di affievolirsi per una certa stanchezza – è il caso della difficile Heart and Soul – poi si riprende immediatamente, si rincupisce ed esplode nella catarsi, alternando il repertorio dei New Order ai dischi dei Joy Division. Mentre beviamo birra sembra di stare lassù a Macclesfield, tanto che a un tratto inizia a piovigginare – ma l’illusione dura pochissimo. Siamo a Sud, i cieli sono limpidi, ogni notte si vedono tutte le stelle, si potrebbe azzardare l’ipotesi di una costellazione. Siamo sulla costa orientale del Sud, qui i riferimenti dell’uomo della costa occidentale cambiano forma: il sole sorge dal mare e si getta alle sue spalle. Forse esiste una divisione simile non solo tra le due coste italiane ma anche tra chi preferisce i New Order e chi i Joy Division. Per i secondi il sole tramonta nel mare e non torna più indietro, i primi sono sempre pronti a una nuova alba fenice che risorge ogni mattino e sa di post-punk. Le chitarre e i bassi si volgono a un ritmo più dance e meno dark, così comincia la cerimonia di iniziazione della generazione anni Ottanta post-Curtis. L’epoca in cui Bowie inizia a ballare.
È bello ascoltare dal vivo pezzi come Disorder e She’s Lost Control, fanno bene al corpo e all’anima. Nel lungo afflato di Isolation ci percorre un brivido sulla pelle. La lunga esibizione delle atrocità passa dalla classica Shadowplay a successi dei New Order come Age of Consent. La band che accompagna Hook è carica e fa tutto alla perfezione, neanche una macchia di sporcizia. Non siamo più nei locali di Manchester. E così Ceremony risulta perfetta ma allo stesso modo coinvolgente. Siamo nel pieno di una disordinata perdizione nella cerimonia post-punk messa in piedi dai Lights. Quello che colpisce è come quest’uomo di 60 anni non si stanchi e non smetta di cantare e suonare e sbattersi.
Nel rituale di Peter Hook che si conclude con la tragica epocale esplosione di Love Will Tears Us Apart c’è una speciale rassegnazione – il cuore del messaggio di Ian – a lasciar andare le cose al loro corso, senza necessariamente credere all’idea di un destino. L’ultima uscita sul palco di Hook e band resterà fissa nelle orecchie per tempo: Trasmission apre la strada a quello che è stato il gran successo dei Joy Division, la canzone che non ha fatto in tempo ad entrare in nessun disco, ma che oggi – forse – conosciamo un po’ tutti. Curtis di tutto questo non sa niente.