Peter Doherty and the Puta Madres – Peter Doherty and the Puta Madres

Tutti abbiamo un amico d’infanzia, del liceo o dell’università che è sempre stato un po’ matto.

Quell’amico agitato e ribelle che ne combinava di tutti i colori. Lo stesso che si fregiava sempre di portare tutta la comitiva sulla cattiva strada, quello che esagerava sempre e alla fine di una qualunque serata bisognava raccoglierlo da terra. Forse la persona che vi ha passato la prima sigaretta o che vi faceva bere di nascosto le birrette del padre nel suo garage.

Quel personaggio che non si riusciva a contenere in nessun modo ma allo stesso tempo non era assolutamente cattivo, aveva solo bisogno di sfogarsi un po’. Immaginate di incontrare di nuovo questa persona.  È sempre lui ma è un po’sbiadito, è leggermente invecchiato, si è addolcito e ha perso quella scintilla che lo faceva sempre esplodere. Vi raccontate qualche novità, lui comincia a ricordare e guarda al passato con lieve velo di amarezza.

A questo proposito, vi ricordate di Pete Doherty?

È tornato sulle scene con un nuovo lavoro.

L’ormai non più ragazzo che insieme a Carl Barât, fondò i Libertines è un po’ il vecchio amico a cui facevo riferimento prima.  Ex membro di una tra le band più influenti nella scena indie rock anni 2000: quelli di Cant’Stand Me Now e Times for Heroes, per capirci. Bravi quanto scatenati, rovinati dalla loro stessa fascinazione per il male e per il degrado, ma che di fatto erano espressione del romanticismo e del disagio della gioventù dei primi 2K.

Peter che in tour devastava ogni stanza d’hotel e che si era creato un personaggio dal quale non è mai più riuscito a liberarsi. Una maschera tanto credibile da riuscire conquistare una delle donne più attraenti del pianeta: Kate Moss, assieme alla quale ha anche toccato il fondo.  La passione, l’eroina e la sfrenatezza: chimere che lo hanno portato a distruggere tutto ciò che riusciva a creare di buono, mandando in malora rapporti umani e amor proprio.

All’alba dei quarant’anni tendenzialmente si cambia, lui ha addirittura ammesso che pensava di non arrivarci nemmeno a quest’età. Ora che è più consapevole, ha deciso di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, fare un passo indietro e provare a chiedere scusa.

Dopo aver inviato alcune lettere d’amore alla sua ex (sempre la Moss) dove scrive che non l’ha mai dimenticata e aver rilasciato un’intervista un po’ sconnessa su di sé, sul perdere le amicizie e sulla Brexit, ha deciso di far uscire il primo lavoro del suo nuovo progetto musicale: Peter Doherty and the Puta Madres.

Questo album dal titolo omonimo, è molto particolare secondo me, perché suona così familiare all’orecchio, nonostante si tratti di qualcosa di diverso da ciò che questo autore rappresentava e scriveva sia per i Libertines, sia per i Babyshambles. La parte vocale spesso è quasi sussurrata, rispetto alle urla e ai vocalismi a cui ci aveva abituato. Un disco intimo e dolce, in cui non esagera mai, dove parla d’amore con leggerezza e allo stesso tempo nostalgia.

Innanzitutto, stiamo parlando di un album che è a tutti gli effetti country blues con molte influenze anche folk, in cui ogni tanto fa capolino quella chitarrina che ricorda troppo i dischi del passato di Doherty. Dal punto di vista musicale ci sono tre aspetti preponderanti e persistenti che saltano subito all’orecchio: il primo è la chitarra solista che prima ho definito “chitarrina”, la quale si scontra con  il secondo elemento: questo basso profondo, che quasi graffia, presente in tutti i brani; infine entra sempre il violino che riesce bene nel dare profondità, rendendo appieno l’atmosfera country.

Il disco edito per  Strap Originals si compone di undici tracce e si apre con All at the sea: un brano orecchiabile e allegro in cui parla di quanto lui stia bene tutto solo al mare, il testo è un po’ confusionario e fatto di immagini, e cerca di richiamare una situazione di benessere o qualcosa di apparentemente tale. Una canzone profondamente nostalgica in un certo senso, visto che doveva esser pubblicata in Up The Bracket il primo album dei Libertines, e che venne eliminata però dalla versione finale.

Continua con Who’s Been Having you Over, una traccia intensa e cupa, in cui Doherty pare confessarsi con i fan che credevano in lui, pentendosi di non aver dato loro di meglio. Una canzone sui suoi fallimenti, dove continua a chiedersi chi è rimasto intorno a lui e chi lo aiuterà a rialzarsi questa volta. Davvero una bella canzone autobiografica. C’è poi Paradise Is Under Your Nose , in cui quasi a bilanciare il pezzo precedente Pete ricorda all’ascoltatore che non è necessario cercare e rincorrere l’ambizione; il paradiso sta nelle piccole cose, lì dritto davanti al tuo naso. Fa strano che sia lui a cantare così dopo tutti i suoi eccessi, ma sembra che abbia davvero imparato la lezione questa volta.

Nel disco è presente anche una cover di Ride Into the Sun dei Velvet Underground, sotto il nome di Someone Else to Be: per essere un re-work ci somiglia molto, non aggiunge nulla ma sulla canzone nulla da obiettare.

Altri brani degni di nota sono Narcisistic Teen Makes First XI, che ha una bella parte strumentale e The Steam: una vera e propria ballata che potrebbe essere perfetta per la soundrack di una serie western.

Nel complesso si tratta di un disco orecchiabile, in cui l’autore parla tanto di sé quasi senza filtri o per lo meno con molta più umiltà di quanto non avesse mai fatto prima. È un buon disco d’esordio, un album da cui ripartire, sebbene sia abbastanza confuso: non si capisce bene dove voglia portare l’ascoltatore e quale parte di sé vuole raccontare, ci sono tante tracce diverse , in cui è difficile trovare un equilibrio. Detto ciò, questo Doherty più introspettivo e leggermente stanco non dispiace affatto, specialmente perché nei panni di giovane canaglia non è più tanto credibile.

 

 

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