L’otto marzo è la Giornata internazionale della donna, nata per ragioni storiche con il fine di ricordare sia le importanti conquiste ottenute in ambito sociale, politico ed economico che le discriminazioni di cui ancora le donne sono oggetto in tutto il mondo. I modi di viverla sono tanti: chi festeggiando, chi scioperando, altri continuando a rimboccarsi le maniche come qualsiasi altro giorno – perché anche l’otto marzo il lavoro da fare è ancora tanto. Io, per esempio, sarò in piazza con Non una di meno.
Quando si riflette e si studia il modo di descrivere sé stessi nelle varie culture, si presta sempre attenzione all’utilizzo di caratteristiche individuali o all’identificazione di un individuo attraverso il proprio ruolo sociale, sia esso l’appartenenza a una scuola, a un’azienda e via dicendo. Io, tra le prime cose che tiro fuori quando mi viene chiesto di descrivere me stessa, ormai dico sempre la parola femminista (intersezionale), definendo così me stessa e la mia idea di mondo. Ed è qualcosa che sento mio e sento di condividere nello stesso modo descritto da Gaber nella sua L’appartenza. Negli anni ho letto tanto, in qualche modo ho studiato; sono lontana da una formazione accademica sugli studi di genere, ma nel mio piccolo ho appreso – non solo dati e statistiche, ma anche a riconoscere – e continuo a farlo giornalmente attraverso i libri e stando a contatto con altre instancabili femministe.
Spesso mi viene chiesto: cosa posso leggere per saperne di più? O anche, come recentemente accaduto: cosa posso fare leggere al mio ragazzo che crede che il femminismo non abbia ragione d’essere in Italia?
Io non ho tutte le risposte, ma posso condividere quello che conosco: ho quindi deciso di stilare una lista di testi che hanno contribuito alla prima presa di coscienza. E soprattutto al mio essere fiera di essere femminista oggi.
Non ci saranno né Judith Butler né Simone De Beauvoir, per quanto figure fondamentali del femminismo e delle teorie femministe ho voluto rendere questo elenco quanto più attuale e fruibile possibile. Credo di aver dimenticato qualcosa e sicuramente mancano dei titoli: o ne ho preferiti altri o non li ho ancora letti o ancora non li conosco – ci sono i commenti sotto per condividere tutto il condivisibile, li aspetto!
Il viaggio sarà lungo, se non avete voglia di leggere ma desiderate comunque avere una rinfrescata sul perché dovremmo essere tutti femministi, Chimamanda Ngozi Adichie lo ha spiegato in un famoso TEDTalk con una chiarezza invidiabile.
Chi siamo, dove siamo
Il femminismo è superato? Falso!, Paola Columba (Editori Laterza)
Una prima risposta netta alle accuse più frequenti che vedono il femminismo come un movimento che non ha più ragione di esistere nell’occidente delle donne emancipate, la dà la scrittrice e regista Paola Columba già a partire dal titolo del suo breve saggio pubblicato da Laterza. No, il femminismo non è superato. Columba riflette sulla condizione dei femminismi contemporanei a partire da un confronto generazionale tra le donne che negli anni ’60 e ’70 si sono davvero battute per i diritti delle donne e giovani studentesse di oggi che ha avuto modo di intervistare. Nonostante in Italia siano molte le donne, soprattutto giovani, che discutono di questi temi in rete, cioè che si evince dalle risposte ricevute da Columba è un distacco generazionale: tendenzialmente le ragazze di oggi non si riconoscono nel femminismo, che considerano non più necessario o, in modo errato, il contrario di maschilismo. Ma anche un distacco con la realtà: l’Italia secondo il rapporto del 2017 del Global Gender Gap (che fa riferimento al divario economico, politico, di salute e di formazione) è all’ottanduesimo posto di 144. Siamo ben lontane dalla parità di diritti, e la lotta va continuata e sostenuta, guardando al passato e alle donne che hanno ottenuto dei successi tanto fondamentali quanto reversibili (pensiamo ai continui attacchi alla legge 194), ma consapevoli che non c’è un solo modo di vivere il femminismo. Siamo tante e tante dobbiamo essere, ma unite, rifuggendo dalla ricerca anche nel femminismo di figure carismatiche da seguire a testa bassa.
Donne e Potere, Mary Beard (Mondadori)
Dopo il caso Weinstein e il connesso movimento #MeToo, il messaggio arrivato a noi è chiaro: la sopraffazione degli uomini sulle donne ha i connotati di genere, ma è soprattutto una questione di potere. E il potere, nella storia del mondo, è sempre stata cosa per uomini. Restando entro i confini nazionali, basta guardare all’attuale formazione di governo e alle tre figure di punta (certo, abbiamo una presidente del Senato donna, ma non farei di Casellati una conquista del femminismo, anzi). Mary Beard, classicista inglese, trae proprio dai suoi studi il punto di partenza per la riflessione che affronta nel suo Donne e Potere: racconta infatti come nell’Odissea Telemaco zittì la madre Penelope, dando così inizio a una lunga tradizione di tentativi di mettere le donne a tacere. La figura femminile è sempre stata costantemente svilita e allontanata dalla politica, ritenuta incapace di argomentare su questioni che esulassero dal lavoro di cura. Nel 2019 siamo lontane da quella condizione, in uno stato guadagnato attraverso lunghe lotte, fatiche, anche vittime, eppure ancora derise e lese da una misoginia ben radicata nel sistema. Basta pensare agli attacchi, verbali e attraverso i social network, verso quelle donne che hanno preso posizione consapevole in politica e continuamente devono vedersi minacciate di violenza fisica, soprattutto sessuale (Salvini con la bambola gonfiabile ce lo ricordiamo tutti o volete una testimonianza fotografica?). Beard analizza i compromessi a cui le donne hanno dovuto sottostare pur di esser riconosciute, ragiona su come le critiche alle donne siano soprattutto uno svilimento dell’immagine e avvia anche un’importantissima riflessione sul linguaggio, sul valore semantico di certi termini e come essi racchiudano ancora un carico discriminatorio non irrilevante.
Libere tutte, Cecilia D’Elia; Giorgia Serughetti (minimumfax)
Se c’è un saggio utile, pratico e chiaro per fare il punto della situazione, quello è sicuramente Libere tutte. Dall’aborto al velo, donne nel nuovo millennio di Cecilia D’Elia e Giorgia Serughetti, pubblicato da minimumfax nel 2017. Con una chiarezza e una precisione ammirabili le due autrici affrontano alcune tra le questioni più spinose dei femminismi e della contemporaneità tutta: dalla gestazione per altri – più conosciuta con il nome brutale di “utero in affitto” -, alla legalizzazione della prostituzione e in generale del sex work, al diritto all’aborto, fino al femminismo e il diritto all’autodeterminazione delle donne musulmane. Temi di cui ancora si dibatte all’interno del movimento ma anche al livello accademico: vale il diritto di autodeterminazione sempre? la prostituzione, anche se legalizzata, resta espressione di un sistema patriarcale volto a soddisfare le voglie di individui sempre della stessa categoria, cioè uomini bianchi, occidentali, cisgender? Il saggio di D’Elia e Serughetti ha il pregio di non fornire né giudizi personali delle autrici né risposte semplici a problemi grandi, limitandosi a offrire tutti gli strumenti necessari affinché un’eventuale opinione al riguardo sia sempre autonoma e consapevole. Un testo capace di essere inclusivo, nel linguaggio e nei destinatari, che ci ricorda ancora una volta come la lotta per la libertà deve essere una lotta di tutt*.
Opera di Julieta.XLF
L’otto marzo scioperiamo: perché?
Femminismo per il 99%, Cinzia Azzurra; Tithi Bhattacharya; Nancy Fraser (Editori Laterza)
L’otto marzo è la giornata internazionale della donna, ma anche, in Italia come nel resto del mondo, sciopero transfemminista: una giornata di sciopero al grido di “non una di meno”, contro la violenza che sistematicamente colpisce le donne. Femminismo per il 99% è un manifesto scritto da Cinzia Arruzza (qui un’intervista), Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser, intellettuali e attiviste dell’International Women’s strike statunitense che hanno risposto alle esigenze del femminismo attuale attraverso undici tesi che possono essere efficacemente sintetizzate in una: oggi il femminismo è il movimento sociale globale che ha la forza per contestare radicalmente la società del capitale. Le autrici mettono in luce la loro opposizione alla società capitalista, che nella sua natura racchiude tutte le basi per la violenza maschile, il divario sul lavoro, le discriminazione razziali, lo sfruttamento incondizionato e cieco delle risorse ambientali, gli attacchi all’autodeterminazione delle donne. La strada per il raggiungimento di una realtà più equa prevede quindi la distruzione del regime vigente e una riformulazione radicale della società. Il 99% del titolo non è altro che l’unione di tutte le categorie che il capitalismo ha lasciato indietro e sfruttato: una nuova “classe sociale” in cui le differenze non sono appiattite e annullate ma hanno espressione politica verso una nuova ridistribuzione dei diritti e delle risorse. Il manifesto non è esattamente di facile lettura per chi è asciutto di politica e dinamiche sociali, ma presenta una risposta decisa allo stato delle cose che è impossibile non ascoltare. Il femminismo dello sciopero ritorna a uno dei diritti dei lavoratori e invita le donne tutte a scioperare dal lavoro retribuito ma anche da quello di cura e da tutti i ruoli sociali che la società le ha imposto, per esprimere dissenso verso una condizione ormai diventata insostenibile, e lo fa con lo spirito migliore del femminismo contemporaneo: l’intersezionalità, fondamentale per la creazione di uno schieramento sempre più massiccio.
Il femminismo non si mette mai in discussione
Perché non sono femminista. Un manifesto femminista, Jessa Crispin (SUR)
La percezione che si ha dall’esterno del femminismo, a giudicare da alcune dichiarazione provenienti da gruppi di individui eterogenei, è quella di un gruppo di donne agguerrite, ferme nella loro ideologia, incapaci di riflettere e interrogarsi sia sulle questioni che le riguardano che nella comunicazione di ciò che ne è alla base. E’ vero che certe prese di posizione nette possono contribuire a frammentare e disperdere le forze a favore della causa, ma le critiche al femminismo e ad alcune sue espressioni non mancano anche dall’interno. Ne è un esempio il breve phamplet di Jessa Crispin: Perché non sono femminista. Un manifesto femminista, portato in Italia da SUR nella collana BigSur. Per capire la stramba associazione di una negazione alla dichiarazione di appartenenza, basta identificare il femminismo dal quale Crispin prende le distanze. Il femminismo conosciuto come pop, mainstream – per intenderci – e a cui Crispin si riferisce come “femminismo universale”; un femminismo borghese che ha ormai dimenticato le battaglie della seconda generazione e che tenta di proseguire il percorso di rivendicazione secondo strade individuali. L’autrice scrive una profonda critica alle donne che vedono un successo del femminismo nel raggiungimento di posizioni di potere all’interno di aziende con politiche di sfruttamento nei confronti dei lavoratori e delle minoranze. Ma anche un’aspra condanna al marketing che ha reso il movimento un’etichetta da apporre e attraverso la quale guadagnare (sono un esempio testate come Freeda, ma anche brand che fanno “ricamare” la parola Feminist sulle proprie magliette a donne lavoratrici sottopagate e senza tutele), riducendolo a un mero tentativo di guadagnare consenso in modo facile e capitalizzare da esso. Crispin vuole quindi riportare il femminismo ai principi che muovono e animano quello radicale, concentrandosi sui valori di collettività e allontanandosi dalla retorica della scelta (“sono femminista quindi scelgo di fare quello che mi va”). Probabilmente resta un testo che non offre soluzioni né reali possibilità di conciliazione tra una e l’altra corrente, ma sicuramente un ottimo testo per mettersi in discussione anche tra convinte femministe.
Vignetta di Zerocalcare
Il diritto di essere imperfette
Quando si ha paura di un movimento e se ne temono i membri, si nutre sempre una certa soddisfazione nel coglierli in fallo, scoprirli in difficoltà per giustificare il proprio essersi fatti da parte. La sensazione che si ha è che le persone vogliano essere convinte a entrare nel movimento femminista, senza però voler fare nessun passo verso di esso; e non si può di certo costringere chi non vuol capire e chi è soprattutto ancorato all’idea che femminismo equivalga a una massa indistinta mossa dall’odio verso l’uomo etero.
Essere femminista non vuol dire soltanto essere incazzata, essere femminista riempie anche di profonda e limpida gioia, ma non è un percorso facile né privo di ostacoli, tanto esterni quanto insiti in noi. Ogni donna che nasce, nasce in un sistema già carico di condizionamenti e il percorso nel femminismo è un lungo cammino di scoperta e liberazione. Ma nessuna lotta termina con una battaglia, e anche le liberazioni richiedono tempo, soprattutto quando si hanno più catene da spezzare. Anche le femministe hanno sbagliato, sbagliano e magari sbaglieranno ancora: non è un nascondersi dietro la retorica del nessuno è perfetto, solo una presa di coscienza da cui ricominciare ogni volta. Al riguardo, sono ottime risposte due libri che confessano la propria identità già nel titolo The Guilty Feminist di Deborah Frances-White e Bad Femist di Roxane Gay (entrambi purtroppo non ancora tradotti in Italia, ma di facile lettura per chi possiede un discreto livello di inglese). Il primo libro nasce dall’omonimo podcast della comica e scrittrice australiana, in cui puntata per puntata ogni ospite fa una confessione femminista, il temuto: sono femminista ma. Il libro parte da un excursus storico del femminismo, per poi analizzare alcuni comportamenti che mettiamo in pratica in modo innato e che derivano dalla società, patriarcale, in cui siamo immersi. Il rapporto con il nostro corpo, la competizione tra donne sono atteggiamenti a cui il sistema ci spinge fin dalla giovane età e da cui svincolarsi, o quanto meno fare pace, richiede un lungo percorso di crescita intima. Deborah Frances-White tratteggia questi aspetti umani in modo molto ironico, elaborandoli anche attraverso il confronto con varie femministe di sua conoscenza. Mettendoli in luce però non vuole offrire il fianco al “nemico”, ma offrire spunti su cui lavorare, rifuggendo sempre da quel senso di colpa che logora lo spirito.
Un po’ le stesse posizioni che prende Gay nel suo Bad Feminist, una raccolta di saggi dove con verve e intelligenza esplora il suo essere femminista senza paura di mostrare i propri difetti e i propri fallimenti. Gay si concentra su di sé, ma dalle proprie esperienze personali riesce a trarre riflessioni di respiro più ampio: affronta il tema del privilegio (Peculiar Benefits); parla di serie tv (vedi Girls di Lena Dunham) e ispirazioni letterarie; si esprime su argomenti delicati quali il corpo, la violenza e la rappresentazione. Tutto sempre con una precisione e un lucore davvero invidiabili e che, anche qui, non danno soluzioni facili né vogliono promuoversi come encicliche, bensì come una serie di spunti su cui ragionare in modo intimo e – perché no – pure con qualche risata – sia mai che si dica che le femministe siano perennemente imbronciate.
I embrace the label of bad feminist because I am human. I am messy. I’m not trying to be an example. I am not trying to be perfect. I am not trying to say I have all the answers. I am not trying to say I’m right. I am just trying — trying to support what I believe in, trying to do some good in this world, trying to make some noise with my writing while also being myself.
Per non sentirci sole
Parliamoci chiaro: che se ne dica, essere donna e femminista non è facile. E sì, non è facile anche nell’occidente bianco distante dalle lapidazioni pubbliche, in cui abbiamo diritto allo studio ma una volta laureate corriamo sempre il rischio di essere superate dai nostri colleghi maschi, considerati più validi solo in base al loro sesso; dove lo Stato ti vuole per forza mamma e sono soprattutto gli uomini a decidere se va bene prostituirti o portare avanti una gravidanza per altri.
E’ dura dover controbattere a chi nega l’esistenza di una cultura dello stupro, perché dopotutto non sanno cosa voglia dire sentirsi vulnerabili e neanche provano a interrogarsi sul proliferare di gruppi su telegram traboccanti di revenge porn.
Ed è un lavoraccio tentare di far capire che sì, anche le femministe vogliono fare sesso: il sesso è bellissimo quando c’è consenso da tutte le parti in gioco, che sia in una relazione o occasionale o in qualsiasi altra modalità o combinazione – non è affar vostro né vi dovete sentire autorizzati a usare termini come troia.
Le femministe vengono accusate di essere rancorose (ne è un esempio il recente volantino della Lega di Crotone) verso gli uomini, di non volerli capire perché dopotutto non tutti gli uomini sono cattivi e anche loro hanno difficoltà – lo sappiamo già, è il femminismo che si occupa anche di quelle criticità che riguardano gli uomini, come la mascolinità tossica.
Il femminismo è e deve scomodo e non si preoccupa di rassicurare nessuno, ma abbiamo anche bisogno di uomini dalla nostra parte, uomini che capiscano che una critica non è un’accusa e che per la prima volta ammettano di avere un privilegio. Quella del privilegio dopotutto non deve diventare una scontro dei più deboli contro i forti: avere un privilegio non è una colpa, ma non usarlo per prendere a posizione a favore di chi non può con i propri mezzi, sì.
Ogni giorno un attacco diverso, uno stereotipo bardato di ironia da ingoiare pur di non risultare pesanti, quando siamo anche stufe delle meschinità vendute come battute. Vogliamo ridere, ma vogliamo battute migliori.
Non ci fermiamo, ma ci sono dei momenti in cui si vorrebbe semplicemente sbroccare e dare un pugno a qualcosa. In una delle FAQ del Manuale per ragazze rivoluzionarie (di cui parlerò a breve) la stessa Blasi risponde che se le femministe sono incazzate ne hanno tutte le ragioni. Spesso stanchezza e frustrazione vincono su qualsiasi altra abilità propositiva, ed è proprio in quei momenti che servono letture rinfrancanti, perché talvolta basta solo ricordarsi che non si è da sole e che nella sorellanza si ritrova sempre un rifugio dove ricaricare le energie.
Copertina di Tutte le ragazze avanti!
Manuale per ragazze rivoluzionarie, Giulia Blasi (Rizzoli)
Forse mi sono un po’ pentita di aver messo questo meraviglioso strumento che Giulia Blasi ha scritto (e anche letto, per chi volesse affrontarlo attraverso l’audiolibro) quasi alla fine di questo lungo pezzo. Devo anche confessare di essermici approcciata in modo un po’ prevenuto: il non avere subito associato la figura di Blasi a quella di ideatrice della campagna #quellavoltache e quel viola così acceso e sfacciato mi hanno spinto a considerarlo in un primo momento in linea con tutte le recenti produzioni editoriali sul femminismo – che sono sempre utili ma che a volte offrono poco a chi ha già letto tanto sul tema. Invece, Manuale per ragazze rivoluzionarie è il meglio che potete leggere, che siate novizie o femministe di annata. Quella di Blasi è una panoramica sul femminismo attuale, che fissa i punti chiave, li ripete se ce n’è motivo. Non ha paura di chiamare le cose con il loro nome: parla di femminismo, della necessità e l’importanza storica di continuare a chiamarlo in questo modo; affronta la questione patriarcato snocciolandone le criticità; ti dice che le parole sono fondamentali anche quando si tratta di mansplaining e di sindache. Quello di Blasi è un femminismo che invita alla solidarietà e alla lotta comune: braccio a braccio contro un recinto che ci vuole mamme a tutti costi, lavoratrici e custodi del focolare al rientro dal lavoro, belle e magre fino all’esaurimento nervoso, educate anche quando fanno di tutto per metterti i piedi in testa. Il manuale però non è un libro pieno di astio: dalle parole di Blasi trapela l’ottimismo della consapevolezza, e arrivano al destinatario nel migliori dei modi possibili, come le parole di un’amica a un’altra amica.
Tutte le ragazze avanti! a cura di Giusi Marchetta (add editore)
Nell’introduzione a questo piccolo volume pubblicato da add editore, la curatrice Giusi Marchetta scrive: Ho pensato questo libro per te, perché ti sia utile, e per me, perché avevo bisogno di perdonarmi. Perdonarsi dell’essersi negata il riconoscersi come bambina femmina, dell’aver accettato che “scrivi come un maschio” diventasse un complimento…
Riconoscersi come femminista non è mai facile, perché ti mette per la prima volta faccia a faccia con tutte le iniquità e le ingiustizie che permeano quello che hai vissuto e che continui a vivere – non soltanto esterne, ma proprie dei tuoi stessi pensieri.
Tutte le ragazze avanti! nasce con l’intento di rivendicare il proprio posto nel mondo, il valore delle proprie competenze, dell’essere anche scrittrice in una nazione dove tuttora se ne studiano poche e se ne leggono poche. Ma ogni successo personale perde di incisività se non usato anche a favore delle altre, così Marchetta ha chiesto, per la realizzazione di questo volume, l’intervento di molte altre donne che in modo del tutto personale si sono espresse sul loro rapporto con il femminismo. Giulia Cavaliere ha parlato di maschilismo nel suo settore, quello della musica; Marzia D’Amico di revenge porn e delle sue conseguenze, Marta Corato della visione del corpo della donna, Giulia Perona della sua esperienza nella realizzazione di Senza Rossetto. Ma ci sono anche un’intervista a Durastanti, una breve racconto grafico di Giulia Sagramola, un elenco di figure femminili nei telefilm stilato da Marina Pierri. E tante altre testimonianze, racconti, riflessioni. Perché in solitaria si possono pure ottenere riconoscimenti, ma è solo dal confronto e dal supporto reciproco che si cresce e si va avanti. Nessuna deve essere lasciata indietro – nessuna, neanche chi legge: alla fine sono infatti presenti delle pagine vuote in modo che ogni lettrice (anche lettore, perché no) abbia modo di raccontare perché è femminista e poi condividerlo attraverso i social.
Solo che – a volte – siamo talmente e giustamente arrabbiate che non sempre riusciamo a trasmettere che dentro il femminismo in realtà c’è una grande gioia, perché c’è una grande liberazione e una grande voglia di ridere, una grande voglia di stare insieme e soprattutto di stare insieme con quelli che lo meritano, e sono tanti.
Indomite. Storie di donne che fanno quello che vogliono, Pénélope Bagieu (BAO Publishing)
Nell’ultima puntata del podcast di Michela Murgia, Morgana, dedicata a Cher, viene detta la seguente frase: si è tanto più autentici quanto più si assomiglia all’idea che si ha di sé. Per Cher era riferito al suo percorso con la chirurgia plastica contro tutti gli stereotipi al riguardo, per le donne raccontate da Pénélope Bagieu, nei due volumi pubblicati da BAO Publishing con il nome di Indomite, lo stesso principio di fedeltà a sé stesse assume tutte le declinazioni realizzabili. Sia il primo che il secondo volume di Indomite, quest’ultimo uscito solo ieri, racchiudono brevi biografie a fumetto di donne che si sono distinte per il loro carattere e la loro tenacia, in diverse epoche e latitudini del mondo. Donne che nella propria vita hanno sgomitato contro gli stereotipi, non tradendo mai i loro sogni e i propri ideali, e che attraverso le proprie gesta hanno contribuito a spianare il terreno per coloro che le hanno seguite. L’unica donna che viene dipinta dichiaratamente come femminista è Thérése Clerc, ma cos’è dopotutto il femminismo se non farsi da ariete per poi lasciare la staffetta a coloro che verranno?
Il ventaglio delle figure è talmente vasto che è impossibile non trovare un ritratto a cui sentirsi vicini o da cui trarre ispirazione. Clémentine Delait, la prima donna che ha fatto della crescita di peluria in viso una caratteristica vincente, apre il primo volume; a seguire Agnodice che nell’antica Grecia si finse uomo per operare come ginecologa e costituì un cambio di rotta in un’epoca in cui la professione medica era negata alle donne, ma anche le sorelle dominicane Maribal il cui omicidio segna la ricorrenza del 25 Novembre come giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne. Attiviste, scienziate, attrici. Cantanti come Betty Davis che sconvolse per la sua sensualità e Sonita Alizadeh che trovò nel rap una via di fuga e un medium per raccontare la condizione delle giovani donne afghane (Brides for sale). Figure eccentriche, sfrontate e coraggiose; non tutte regine o eroine, ma esempi concreti di come si possa uscire dall’ordinarietà per fare della vita una parabola meravigliosa. E Bagieu con estrema devozione le ritrae senza peli sulla lingua, con un tratto originale e riconoscibile e riempendo le loro storie dei colori accesi che si meritano. Due volumi preziosissimi da cui conoscere figure inaspettate, che a fine lettura ti lasciano solo con una parola tra le labbra: grazie. Grazie per esserci state, grazie per averlo fatto, grazie per continuare a lottare.
Il mio nemico è la cultura maschile che genera privilegio, quella femminile che difende la subalternità, la misoginia, il sessismo, la discriminazione, il conservatorismo, il fatalismo, il terrore del cambiamento, la pizza con l’ananas, l’oppressione spacciata per grande concessione, il fascismo, i video su Facebook in cui i tedeschi ti spiegano come fare la carbonara, il fanatismo religioso, le istruzioni dei mobili Ikea, le battute che non fanno ridere, le serate donna omaggio, l’aggettivo “rosa” usato come incapsulatore, la gallery di chiappe sui quotidiani, le collaborazioniste che danno addosso alle altre donne per metterle a tacere, il Bloody Mary senza il sedano, i film doppiati, internet che non va e i bambini che urlano sul Frecciarossa alle otto di mattina, quando è quasi sicuro che preferirei essere a letto.
Manuale per ragazze rivoluzionarie, Giulia Blasi
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Sembrerà esagerato, ma credo molto negli effetti positivi della gratitudine, per cui voglio spendere altre due righe per tutte le donne che puntualmente mettono a disposizione il loro lavoro per altre donne (e non solo) e che non ho avuto modo di citare prima: le ragazze di GHINEA, la newsletter femminista di Inutile; Carolina Capria e il suo progetto L’ha scritto una femmina; il podcast Chiamando Eva e Violetta Bellocchio perché la ringraziano tutte e le vogliamo sempre un gran bene.