Spinti dalla curiosità di capire la formula del successo di Edoardo D’Erme, meglio conosciuto come Calcutta, abbiamo rotto il muro di nebbia che nelle notti di dicembre separa Torino dalla sua cintura e siamo arrivati al Teatro della Concordia di Venaria per una delle ultime date del Mainstream Tour 2016. Fuori dai cancelli, anche se la visibilità è ridotta, sono chiari gli elementi che determinano la popolarità di una serata: il banchetto del merchandising con le immancabili magliette tarocche, il furgoncino del porcaro, ma soprattutto una lunga fila alla quale è impossibile non accostarsi senza essere colpiti dal richiamo insistente dei bagarini.
La data è sold out da giorni, ma c’è ancora chi spera di vedere il protagonista musicale italiano dell’anno pagando una maggiorazione sul prezzo del biglietto. L’ascesa di Calcutta è merito delle radio che da mesi mandano in heavy rotation pezzi come Oroscopo, Cosa mi manchi fare e Frosinone, del passaparola tra amici o di una serie di fortunati eventi? Poco importa, è inutile farsi tante domande perché la risposta è che, dopo aver abbandonato coperta e divano, stasera siamo qui grazie all’appeal democratico del cantautore di Latina che infatti entra in scena accolto da una standing ovation di applausi e urla.
Mentre ci spingiamo più avanti per vedere anche gli altri musicisti schierati sul palco, ci rendiamo conto di essere finiti tra una delegazione di fedelissimi ultras e un paio di groupie sbraccianti che, per non sbagliarci, chiameremo semplicemente “ugole d’oro”. Bastano pochi secondi di Limonata, però, per capire che non stanno cantando soltanto i nostri vicini, ma l’intera platea che intona così forte le note del brano da sovrastare la voce di Calcutta e continua alzando ulteriormente i decibel quando è il momento di Frosinone. I testi delle canzoni si attaccano al cervello anche e soprattutto grazie al magnetismo del nonsense:
Io ti giuro che torno a casa e non so di chi
Ti chiedo scusa per l’appartamento e la rabbia che mi fa
Non ho lavato i piatti con lo Svelto, è questa la mia libertà (Frosinone)
La sensazione è quella di trovarsi alle prove dello Zecchino d’Oro mentre spettatori di ogni età e sesso si trasformano in bambini spensierati, mossi da ambizioni e fantasie surreali:
Ci sono giorni che io vorrei buttare
Ed altri, invece, in cui mi va di disegnare
Ma non ci riesco più
Se dopo passi tu che poi mi porti a bere (Milano)
Calcutta indossa un cappellino rosso e una t-shirt abbinata, ma ha l’aria di chi non ha fatto troppa attenzione al proprio look prima di cominciare a suonare. Passa, invece, tra una canzone e l’altra dalla birra all’acqua asciugandosi compulsivamente la bocca con la manica della felpa e, assistendo a questa scena, viene quasi spontaneo domandarsi se avrebbe mai pensato di riempire locali e teatri. Edoardo ha ventisette anni e non assomiglia minimamente a una rockstar perché probabilmente non era nei suoi piani mostrarsi come tale e oggi, che è stato investito dalla notorietà, non saprebbe neanche da che parte cominciare per intraprendere la trasformazione. Non ci troviamo di fronte a un personaggio studiato a tavolino e allora perché il pubblico ricorda ogni parola dei suoi testi a memoria e anche quando li dimentica si fa trasportare dalla corrente?
E ho fatto una svastica in centro a Bologna
Ma era solo per litigare
Non volevo far festa e mi serviva un pretesto (Gaetano)
Mentre traffica con una chitarra scollegata e di fronte a tutti, visibilmente imbarazzato, si scusa chiedendo se può ricominciare la canzone implorando una seconda chance, non sappiamo se recitare la parte dei professori intransigenti o quella dei compagni di classe amichevoli. “Questo verrà probabilmente ricordato come il nostro peggior concerto di sempre” dichiara Calcutta, spiazzandoci per tanta sincerità e coraggio. E dopo quest’affermazione si toglie il peso dell’inquietudine e si fa forza riacquistando la calma e la voce su Cosa mi manchi a fare e su Albero che duetta insieme a Cosmo. Immancabile, poi, il finale con Oroscopo che fa esplodere il Teatro della Concordia, mentre è più inattesa la versione acustica di Natalios per congedarsi e augurare buone feste al suo pubblico.
Ma ritorniamo alla nostra domanda di partenza: perché andare a un concerto di Calcutta? Abbiamo capito che uno degli obiettivi principali di questa transumanza riguarda il canto, inteso come forma di aggregazione che si avvicina all’esperienza del karaoke che indubbiamente tocca tutti, “ugole d’oro” e “nuovi X Factor”. Ciò che, però, colpisce soprattutto è che Calcutta riesca a parlare a così tante persone diverse, giovani e meno giovani con spaccati di vita e gusti musicali agli antipodi e che stasera appunto sono qui. Smettiamola di usare parole trite e ritrite come nazionalpopolare o hype, non siamo politologi o statisti quando si tratta di musica. Per qualcuno Edoardo D’Erme si è montato la testa e non arriverà al terzo album, ma per molti altri, invece, è un ragazzo normale che rappresenta il simbolo di una vittoria del sottosuolo emergente. Non andiamo a un concerto di Calcutta per cercare la perfezione e se la trovassimo, probabilmente, non ci andrebbe comunque bene.