Per un attimo fermati e pensa alla Siria

Bisogna fare i conti con quello che continua a succedere in Siria ormai da troppi anni, la coda lunga degli eventi si abbatte ogni giorno sulle nostre vite, come un puntuale karma si incarna negli attentati in Turchia di questi giorni, nei bombardamenti russi, e nei sottili equilibri dei giochi di potere da cui siamo esclusi, ma coinvolti. Nel settembre del 2011 i morti in Siria erano già 2.700, eppure si parlava di una rivolta silenziosa, che rincorreva la stagione delle primavere arabe che aveva scosso paesi come Egitto, Libia o Marocco. Una stagione che si è scontrata contro i suoi fallimenti e l’amara constatazione che cambiare un gruppo di potere con un altro non porta necessariamente a un miglioramento delle condizioni sociali e umane. Posso immaginare il senso di disperazione che si porta dietro un siriano oggi. Parliamo di quella parte di popolazione siriana che è rimasta schiacciata nella stretta morsa sia di Assad che dei fondamentalisti, di quella parte che oggi sta scappando perché non c’è altro da fare.

La Siria è sempre più uno scenario di scontri tra fazioni, cresce il numero delle alleanze e dei dissidi ma il risultato non cambia, anzi quella che era una guerra civile assume ogni giorno l’aspetto di una lotta mondiale per il predominio sull’altro. Sembra che una maledizione si sia abbattuta su quella parte di terra negli ultimi anni, come se qualcosa attraesse sempre più attori a scendere nel campo di battaglia. Sunniti, sciiti, curdi, turchi, russi, americani, francesi, fondamentalisti, nazioni unite. Tutto è così aspro che non mi sorprende per niente la fuga massiccia da un paese che si trova ad affrontare a faccia aperta uno sterminio. Probabilmente un giorno sui libri di storia ci si porrà l’interrogativo di come abbiamo fatto ad accettare che stesse accadendo tutto questo senza fare niente di attivo per fermarlo, tuttavia sembra una buona occasione per comprendere quel senso di impotenza che raccontano di aver sperimentato gli spettatori della storia nel corso del Novecento.

Il manifesto di una protesta inglese dello scorso Ottobre

I bombardamenti russi di questi mesi non fanno che esasperare il nostro intimo senso di impotenza. Qualche giorno fa per esempio sono stati attaccati anche degli ospedali, che poi gli ospedali possano essere o meno i rifugi più sicuri per potenziali nemici il machiavellico risultato non cambia, è un crimine di guerra. L’obiettivo di Vladimir Putin è quello di restaurare un governo sciita nei territori siriani, possibilmente lo stesso Assad: non è certo andato in Siria per fare un piacere al mondo.

Come si può vedere dalla mappa qui sotto i bombardamenti russi dell’ultimo periodo si sono concentrati nelle aree di Aleppo e Idlib, territori dove si concentrano ribelli e Isis nella lotta contro Bashar al-Assad. Il tentativo russo è quello di far avanzare le forze di Assad sul campo, e riconquistare territori, anche con il supporto dell’Iran (di tradizione sciita). Siamo di fronte a una grandiosa sotto-narrazione di alleanze. Dove i curdi, alleati degli americani nella guerra all’Isis, sostengono i russi, e i turchi sono diffidenti dai curdi, con nuove tensioni che si animano tra Erdogan e Putin. Un pantano. 

Mappa dell’Istituto per lo Studio della Guerra

La terribile dimenticanza di questo pantano è una storia che va avanti da troppi anni. Eppure le conseguenze di questa amnesia collettiva tornano vive a tratti, come colpi sul costato, arrivando a toccare persino il silenzioso Occidente. Per questo, anche per questo, è importante ogni tanto fermarsi e pensare alla Siria. Da questa parte della storia, quella degli spettatori, non ci resta che continuare a seguire gli eventi che vanno via più veloci dei nostri pensieri. Mostrare, se necessario, tutta la nostra impotenza umana. Ma salvaguardare, se necessario, quei siriani come noi, spettatori della propria impotenza e della propria terra, da ogni atto di sopruso che ci capita quotidianamente di incrociare.

Un giorno, chissà quando, mi piacerebbe fare un lungo viaggio in Medio Oriente, andare a Beirut, salire a Nord fino alle magnifiche grotte di Jeita, attraversare il confine siriano, perdermi sulla spiaggia di Al-Samra, guardare il mare e innamorarmi dell’orizzonte per distanza, inerpicarmi sull’Altopiano Armeno, riscendere fino in Persia, e tanto altro. Prima di parlare della strada bisognerebbe averla vissuta la strada, e questo è uno dei pensieri che guidano verso l’aspirazione che sarebbe ora di smetterla di torturare la Siria come se fosse una sgualdrina. La Siria è dei siriani.

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