Già autori delle Cattive ragazze, Assia Petricelli e Sergio Riccardi tornano rispettivamente ai testi e ai disegni per regalarci con Per sempre una bella storia di vacanze estive e coming-of-age. Un’operazione rischiosissima, perché contiene la serie di quesiti cruciali che questo tipo di narrazione porta con sé: si può raccontare il passato senza risultare nostalgici? Si può raccontare l’adolescenza senza banalizzarla, mantenendo un registro semplice ma che non cada nel frivolo o nel superficiale? E su tutte: si può raccontare oggi il femminismo senza risultare troppo teorici, militanti, ridondanti o didascalici? La risposta è si, ovviamente, e in questo caso a darcela non sono i romanzi di Elena Ferrante o il cinema di Greta Gerwig, ma quell’ambito della letteratura che definiamo letteratura illustrata o graphic novel, che nei migliori risultati si inserisce proprio nello spazio tra narrazione letteraria tradizionale e narrazione visiva .
Tutti e tre gli obiettivi sono infatti brillantemente centrati dai due autori in queste 150 coloratissime pagine confezionate da Tunuè, sotto un titolo che già di suo dice tutto o forse niente. Petricelli e Riccardi affrontano coraggiosamente il “per sempre” abusato dalle storie d’amore più classiche e dalle canzoni più smielate, reinterpretandolo alla ricerca della risposta a una domanda non certo originale, ma che in quanto tale ci riguarda tutti e ritrovando lo spessore che questa espressione ha perso nel passaggio dalla cultura all’intrattenimento: che cos’è questo amore di cui tutti parlano? Perché all’improvviso diventiamo adolescenti e scopriamo che riguarda anche noi?
La storia si apre con le pagine del diario di Viola, un’adolescente in partenza per le vacanze con la famiglia, tipica famiglia e tipica vacanza al mare al sud degli anni Novanta: il plot di un numero indeterminato di commedie imbarazzanti che, come Netflix ci ha dimostrato negli ultimi mesi, ha ancora un appeal incontestabile per lo spettatore medio. Certo non mancando di giocare su questo equivoco, a un certo punto Petricelli e Riccardi ci guidano altrove, lontano dalla “confort zone” della fruizione occasionale di storie estive per o su adolescenti. L’obiettivo di conquistare il ragazzo belloccio della scuola naufraga all’improvviso e spinge Viola verso la ricerca di un rapporto diverso da quello prestabilito dai rituali del suo giro di amiche quanto dalle aspettative dei genitori, verso un giovane aspirante pescatore dal nome antico di Ireneo che vive al di fuori dalla bolla del villaggio vacanze. Dunque, come accade ai personaggi femminili dei romanzi di Henry James, la protagonista decide di confrontarsi con qualcuno che vive davvero in quel posto così lontano nello spazio e nel tempo dal “regolare” borghese e cittadino.
Intorno all’investigazione dell’alterità si avvolge quella dell’esplorazione sessuale che procede in direzione intergenerazionale, quando Viola si confronta sia con l’attitudine queer del fratellino saccente, sia con una coppia di eccentriche signore di una certa età legate da un delicatissimo e solido legame sentimentale. La dimensione dell’amore allora lascia i confini della relazione standard delimitato dalla famiglia e dalle frequentazioni scolastiche, ed è identificato da un sentimento che si traduce in una più radicale esplorazione del sé e del proprio corpo, a dispetto delle convenzioni estetiche e delle aspettative che percepiamo come imposte da qualcun altro. L’amore che non muore è quello che ci è regalato dalla persona che per la prima volta ci fa vedere per quello che siamo, senza aspettarsi nessuna forma di capitalizzazione relazionale, a volte destinato a durare poche settimane nel concreto ma e restare impresso nella memoria.
Viene spesso da chiedersi, davanti a un lavoro come questo, qual sia il pubblico di riferimento degli autori, che descrivono in modo visibile la propria adolescenza – fioccano i riferimenti alla musica degli anni Novanta, su tutti al video di Girls and Boys dei Blur su MTV – ma infarcendola di contenuti che nel giro di poche pagine sono immediatamente riconoscibili come universali. Inoltre gli anni Novanta di Viola e Ireneo affiorano quasi per caso in dettagli come i riferimenti musicali o l’assenza dei telefoni cellulari – la telefonata di rito alla cabina telefonica, da sempre leggendaria nel racconto dell’estate vissuta in una dimensione in cui non eravamo costantemente raggiungibili, diventa una forma di libertà che è anche condanna al qui e ora – mentre la famiglia tradizionale è descritta senza mezze misure come una prigione di ruoli consolidati che trasmettono generazionalmente la condanna alla ripetizione di un medesimo modello di felicità.
Allora Viola e Ireneo ci sembrano piuttosto viaggiare nel tempo sulla barca che hanno restaurato e decorato insieme, che li spinge all’indietro, verso un passato greco dove i ruoli di genere e le identità possono aspirare a essere definite in modo meno prescrittivo che nel nostro presente, ma li proietta anche verso un futuro di libertà in cui possiamo vivere il nostro corpo senza considerarlo una prigione. Ci sarebbe anche da spendere più di una parola sulla felicità dello storytelling raggiunta dalla collaborazione tra Petricelli e Riccardi, in cui la ricerca di dialoghi immediati e realistici, che respingono ogni tentazione di pedanteria o lezioncina, si rispecchia in un approccio al disegno che non sacrifica mai l’espressività nella ricerca di una linea semplice e chiara, in cui pochi tratti decisi di matita lasciano spazio all’esplosione di colori brillantissimi. D’altra parte, è una storia di vacanze al mare, ce ne convince dalla prima all’ultima pagina, scrosciando frizzante onda dopo onda, magari mentre noi stessi siamo seduti a leggere sulla riva.