Pieles, tradotto in italiano Pelle, è la disturbante opera prima del regista spagnolo Eduardo Casanova, presentata fuori concorso alla 67° edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino e disponibile su Netflix. Consigliato soprattutto a un pubblico di non impressionabili, il lungometraggio gira attorno al tema della malformazione corporea e mette sotto i riflettori una serie di personaggi “diversi”, le cui vicende parallele si intrecciano dando vita a risvolti sempre inattesi e originali: Samantha è una ragazza appassionata di social network che quotidianamente vive il disagio di avere l’orifizio anale e la bocca invertiti; Laura è una giovane cieca costretta a svolgere il lavoro di prostituta con due diamanti rosa al posto degli occhi; il diciasettenne Christian soffre per una situazione familiare infausta ed è affetto da un disordine di identità corporea che lo porta a sognare l’amputazione delle gambe da sostituire con una coda di sirena; la nana Vanessa sbarca il lunario come mascotte televisiva mentre affronta una gravidanza in vitro; Ana, dal volto deturpato, medita di lasciare il fidanzato “normale” perché convinta che la relazione sia stata costruita solo sul feticismo.
Il primo film a cui viene spontaneo pensare guardando Pelle è il famigerato Freaks del 1933. In effetti l’esordio di Casanova potrebbe venir tranquillamente considerato una variazione sul tema del capolavoro di Tod Browning diretta, però, con lo stile e l’umorismo piccante di Wes Anderson. Il regista ci rende partecipe delle vite dei suoi personaggi utilizzando simmetrie e primi piani potentissimi che rimandano davvero ai migliori momenti dell’autore di Grand Budapest Hotel, con il quale l’accostamento viene rimarcato anche da un impiego comunicativo della colonna sonora di repertorio e dalla presenza dominante del rosa, colore della pelle così come di tutto ciò che viene “normalmente” considerato “bello”. Pelle ha l’estetica di uno spot per le bambole Mattel, ma la lente ibrida a metà tra l’horror e la commedia sentimentale ne distrugge la ruffianeria che accentua i divari sociali costruiti attorno a un canonico apparire.
Casanova mette a nudo le brutture dell’era social media quali emarginazione, solitudine e desiderio di accettazione con la giusta dose di sarcasmo (emblematica la scena in cui Samantha si vede rimuovere un selfie da Instagram per “contenuti pornografici”), e narra la ricerca di amore e serenità dei protagonisti senza imbottirla di inutile melassa. Il messaggio di fondo del film è che la libertà di essere artefici della nostra felicità è fondamentale per realizzare qualcosa di vero che ci avvicini anche alle altre persone, ri-affermando l’umanità celata dietro la deformazione. Ovviamente non si trascura i pesi psicologici che le menomazioni hanno sui personaggi e i loro affetti, e saggiamente si evita di cucire addosso alle stesse un’aura di “magia”. Il disabile non è un “essere speciale”, ma un umano con problemi concreti da fronteggiare proprio come le persone “sane”, mentre dall’altra parte della barricata troviamo una ricerca morbosa delle imperfezioni capace di bloccare la nostra apertura mentale e di condizionare irrimediabilmente le nostre relazioni sociali.
Tuttavia Pelle è un racconto politico dall’animo weird molto vicino al concetto romantico di sublime: l’opera diventa contemplazione di fenomeni grotteschi che mettono a disagio e pongono di fronte alla presa di coscienza emozionale dell’esistenza dell’“alieno”, dal quale malgrado la repulsione ci sentiamo in qualche modo attratti per capirne la natura. Molte nostre consuetudini estetiche ed etiche vengono messe duramente alla prova, ma si tratta di un’esperienza emotiva necessaria all’interiorizzazione dell’idea della carne umana come semplice involucro materiale di emozioni, paure e sentimenti forti che ci accomunano. Certamente un’opera per chi ha stomaco, ma bello e importante come non se ne vedono spesso.
E se il film non vi basta, qui c’è il cortometraggio (sempre diretto da Casanova) da cui è partito tutto.