Ma che cosa avrà avuto da scrivere Paul Auster sulla vita e le opere di Stephen Crane, arrivando al punto da sfiorare le mille pagine di scrittura? Già dalla prime righe Ragazzo in fiamme (Einaudi) cattura lo stomaco del lettore, eppure la domanda resta in sospeso, aleggia alle spalle: come avrà fatto Paul Auster a scrivere quasi mille pagine su Stephen Crane. Solamente avanzando con la lettura del libro troviamo una risposta, o qualcosa che somiglia a una risposta. Stephen Crane è un mezzo dimenticato, quasi un eroe smarrito e sbiadito della vecchia America, e Paul Auster ha bisogno di tutto lo spazio possibile per omaggiare uno scrittore che ha cambiato la sua visione. Nel ripercorrere le vicende e le opere di Crane, Auster ci racconta anche un pezzo di America, il paesaggio americano di fine Ottocento dove si muoveva questo giovane irrequieto travolto dal chiarore abbagliante e dalle fiamme della scrittura. Auster lo ripete per fissarlo bene nella memoria del lettore: è come se Stephen Crane sapesse già di dover morire giovane, si muoveva e scriveva in fretta, romanzi, articoli di giornale, racconti, poesie, bozzetti.
Nato nel novembre del 1871, Stephen Crane non ha potuto vedere che pochi mesi del XX secolo, ma la sua visione, le sue storie, il suo occhio, hanno avuto un impatto sulla scrittura americana del secolo successivo; tra i suoi estimatori Ernest Hemingway, e lo stesso Auster – che se ha deciso di scrivere di Crane lo ha fatto soprattutto per non lasciarlo affogare in un mezzo dimenticatoio tra le nuove generazioni di statunitensi, per una sorta di affinità con certi luoghi, parole, mondi, e per liberarsi di un’ossessione.
Ragazzo in fiamme non è un’apologia, ma un affascinante viaggio dentro l’ossessione letteraria: Paul Auster si immerge negli anni della breve vita di Crane, per parlare di cose vive come scrittura e letteratura. Sembra quasi di sorvolare il paesaggio americano, l’epoca che si porta incisa i marchi a fuoco di Melville, Whitman, Dickinson, per andare a scovare questo inquieto ragazzo nel New Jersey, che finirà per scrivere uno dei romanzi più impattanti della letteratura nordamericana, Il segno rosso del coraggio, la vicenda umana e psicologica del giovane soldato Henry Fleming durante la Guerra di secessione.
Le parti in cui Paul Auster si diverte (e si diverte davvero) a ripercorrere i romanzi e i racconti di Crane, i malintesi della critica, le sue opere minori, sono tra le più piacevoli. Là dove Crane è stato riconosciuto come uno scrittore naturalista e realista – influenzato dall’impressionismo, da cui poteva astrarre certe tecniche per la visionarietà e i colori dei paesaggi –, Paul Auster lo guarda quasi come a un precursore del modernismo, uno scrittore che ha cambiato la letteratura americana allo stesso modo in cui il norvegese Knut Hamsun ha agito su quella europea con il visionario Fame. Sono le voci, i collassi interiori di personaggi, che si fanno strada come primi timidi vagiti dello stream of consciousness portato poi alle estreme conseguenze da James Joyce e Virginia Woolf. Non vi appiattite quando leggete Crane, azzardate con la fantasia, costruite un ponte sospeso tra il Nord America, la Norvegia e l’Irlanda – in fondo Paul Auster ci sta dicendo questo.
Il titanico ritratto di Stephen Crane come giovane artista non è mai piano e unidimensionale; Crane è malaticcio, non ride, sorride, ha un’attrazione feroce per i bassifondi americani, ha maturato una vena satirica di contro al religioso metodismo di famiglia, preferisce osservare l’umanità che andare a scuola, è l’uomo invisibile che scompare dietro le sue storie, è un intagliatore di bozzetti per i giornali, i suoi occhi sono grigi, ha il profilo appassionato di Napoleone, le sue poesie sono appena giochi, è un uomo imperfetto, sofferto, ammalato di sinestesia, “giallognolo”, un uomo che aveva impresso il marchio sul volto di quelli che sono condannati a morire troppo presto (come ne ha scritto amorevolmente Cora Taylor).
Crane è attratto dalla esperienze forti, e si butta nelle esperienze con tutto il corpo; è uno scrittore epidermico, per scrivere vuole provare sulla pelle. È il caso di certi reportage scritti al gelo, o del primo romanzo, Maggie, che nasce da una ricerca naturalista tra i bassifondi metropolitani. Per certi versi Maggie potrebbe ricordare certe atmosfere dell’Assommoir di Zola; Auster ci tiene però a chiarire che la scrittura di Crane non possiede alcun intento sociale: Stephen Crane è più simile a un pittore di strada. Forse una delle ragioni per cui la critica sarà così respingente con Maggie: troppo orrore a guardare a occhi aperti che cosa succede per quelle strade.
Stephen Crane non lascia spazio alla salvezza, alla redenzione, alla speranza; la vicenda di Maggie (ragazza di strada) è una caduta violenta, e il breve romanzo diventa presto il grande fallimento di Crane, ma anche la spinta propulsiva per scrivere Il segno rosso del coraggio, che gli porterà il successo e lo consacrerà. È così che dal basso Crane può guardare la crepa da cui entra luce.
Paul Auster va avanti compulsivamente alternando tutte le fonti che riesce a scovare, passando in rassegna le opere e i fatti della vita del suo ragazzo in fiamme; si sofferma sui colori, su parole, immagini, aneddoti; e con la mano del grande scrittore tira fuori un ritratto di Stephen Crane come eterno giovane e scrittore senza sosta: il ragazzo si fa uomo, gira e scopre il mondo, si imbarca sui piroscafi e naufraga, si innamora, incontra Cora Taylor, è un cronista di guerra, un poeta che scrive le poesie di Black Riders, e sente che non sono niente in confronto alle foglie d’erba; ha fame di vita, va a processo, inciampa, si rialza, soffre di irrequietezza, si sbatte, e scrive.
Crane ha vissuto così in fretta che non ha fatto in tempo a pubblicare tutto. Alcune sue opere sono arrivate postume, come A Dark-Brown Dog – “uno dei racconti americani più perfetti mai concepiti” (John Berryman) – racconto che Auster descrive al dettaglio per rievocarne la potenza narrativa. Anche in questo caso non c’è salvezza. Auster lo ripete fino allo sfinimento: Crane non vuole salvarvi, non potrebbe. Stephen Crane vuole raccontare. Allo stesso modo, Paul Auster vuole raccontare Stephen Crane, come uno scrittore che racconta uno scrittore. Ragazzo in fiamme è un libro insano, un viaggio di sola andata negli abissi di un’ossessione e dentro una storia americana – una storia come un’altra di uno scrittore che ha vissuto, ha scritto, è morto, e ci ha dato da leggere tutte le sue parole salvate dalle fiamme.