Who’s Patti Smith?, mi chiede un ragazzo molto giovane indicando un poster della cantante fuori dalla Central Hall di Westminster. Siamo nel cuore di Londra, a pochi passi dal Big Ben e i turisti guardano con curiosità la folla formatasi fuori dalla venue – l’occasione è la presentazione del nuovo libro di Patti Smith, Year of the Monkey, uscito lo scorso settembre. Mi trovo in difficoltà nel trovare una risposta a una domanda tanto semplice, quanto complessa: avevo già provato su queste pagine a delineare un profilo di Patti Smith, ma persino quelle parole non sembravano sufficienti. Come riassumere oltre 40 anni di carriera in un solo termine?
“Patti Smith è un’artista” ho finito per spiegare al ragazzo “scrive canzoni, poesie, libri e fa foto. Ha iniziato come rockstar, ma ora è molto di più”. È la stessa Patti ad approfondire questo argomento durante il talk: “Ammiro Joni Mitchell quando afferma di essere semplicemente una pittrice. Penso che sia molto cool e anche io vorrei poter dire con sicurezza, sono una scrittrice; ma sfortunatamente o fortunatamente, seguo molte discipline e quando scrivo, mi esibisco o scatto fotografie, cerco sempre di farlo al meglio. È tutto quello che posso fare.”
Ho avuto la possibilità di assistere a due live di Patti Smith e in entrambe le performance ho percepito la forte coesistenza tra rock e poesia che domina il suo immaginario. Nel vederla mentre si esibisce, si è testimoni di un continuo scambio tra Patti la poetessa e la rockstar, che culmina in una magnifica alchimia di suoni e parole. Il connubio tra musica e poesia che caratterizza la vita della cantante è riscontrabile anche nei suoi libri e nell’ultimo Year of the Monkey. È un lavoro immensamente lirico e a tratti surreale in cui l’artista racconta alcuni viaggi attraverso l’America. Dopo aver realizzato opere di una certa complessità emotiva come Just Kids e M Train, la Smith aveva inizialmente concepito Year of The Monkey con un tono più leggero; ma la morte, nello stesso anno, di Sam Shepard e Sandy Pearlman l’ha portata su un’altra strada: “Se Robert (Mapplethorpe) non mi avesse chiesto di raccontare la nostra storia prima di lasciarci, probabilmente non avrei scritto Just Kids perché non ero sicura di averne le capacità. M Train doveva essere sotto forma di stream of consciousness, ma per qualche ragione, ho finito per parlare di mio marito (il chitarrista degli MC5, Fred Sonic Smith). In M Train ho quindi sentito una responsabilità nei confronti di Fred. Volevo dare a Year of the Monkey un tono più leggero, ma la scomparsa di Sandy e Sam mi ha portata a cercare un modo per ritrarre i miei amici con dignità”.
Patti Smith incontrò Sam Shepard all’inizio degli anni ’70 in un locale newyorkese; Shepard era già un noto drammaturgo del circuito Off-Broadway e batterista degli Holy Modal Rounders. La Smith viveva nel leggendario Chelsea Hotel con Mapplethorpe: “Ho incontrato Sam Shepard negli anni ’70 ed è stato un mio grande amico. Avevamo già scritto un’opera teatrale insieme (Cowboy Mouth), quindi sapevo come lavorare con lui; amava scrivere in solitudine e tra noi c’era grande fiducia. Durante gli ultimi momenti della sua vita, Sam non poteva scrivere a causa della malattia e per lui è stato molto difficile. È stato un privilegio poterlo aiutare con i suoi manoscritti. Sam finì il libro (uscito con il titolo Spy of the First Person) 10 giorni prima di morire, dando tutto quello che aveva”.
In Just Kids, la Smith descrive l’amico Sandy Pearlman come un grande ammiratore di Jim Morrison, tanto da modellare il suo aspetto su quello del Lizard King. Pearlman fu una figura fondamentale nell’iniziazione al rock’n’roll della cantante; in seguito al reading di poesia tenuto dalla Smith al St. Mark’s Poetry Project, il produttore vide in Patti la futura leader di una rock’n’roll band. E aveva ragione: “Ho incontrato Sandy Pearlman poco dopo Sam, era la mente dietro ai Blue Öyster Cult, aveva scritto molte delle loro canzoni e prodotto i Clash. Avevamo in comune la passione per l’opera e Shakespeare. Nel 2016, Sam e Sandy hanno affrontato la più grande battaglia della loro vita ed entrambi hanno perso. Desideravo quindi focalizzarmi su loro”.
Oltre a essere profondamente influenzata dagli amici scomparsi, la scrittura di Year of The Monkey è segnata dall’evento politico che ha determinato il 2016, l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti: “L’anno prima delle elezioni è stato molto caotico, Trump ha portato una forte sensibilità nei confronti dei social media ed è sembrato che l’unico modo per controbattere fosse usare il suo stesso linguaggio. Così siamo stati letteralmente bombardati da pubblicità che non facevano altro che evidenziare quanto l’uno o l’altro candidato fosse corrotto e malefico. Per questo motivo il senso di missione è andato perso. Quelle del 2016 sono state le elezioni più brutte”.
Year of the Monkey è un’opera costruita su numerosi strati e in cui si presenta spesso una dimensione onirica: “Questo è un libro sui sogni. Fanno parte di me, la mia mente si muove costantemente, sviluppando una sorta di realtà parallela per combattere la noia della quotidianità”. I sogni sono dipinti con una tale potenza da suscitare nel lettore una serie di immagini; nel leggere il libro mi sono trovata a pensare costantemente al cinema di David Lynch e ai disegni di William Blake. Patti Smith ha però affermato di non aver avuto un modello preciso mentre scriveva: “Quello che è importante per me è creare un’atmosfera. E da questa i lettori possono immaginare quello che vogliono. Non analizzo e non penso troppo prima di iniziare un libro. Year of the Monkey è stato scritto mentre gli eventi di cui parlo stavano accadendo”. Nonostante le difficoltà del 2016, Patti Smith continua però ad essere ottimista: “Sono per natura una persona ottimista, anche mia madre lo era e ho sempre pensato, attraverso le difficoltà, che alla fine tutto si sarebbe risolto. Dobbiamo essere ottimisti, qual’ è l’alternativa?”.
È arrivato il momento che la poesia lasci il posto alla musica, o meglio, che le due arti si incontrino ancora una volta. Patti si posiziona al centro del palco e introduce ogni brano con un estratto da Year of the Monkey. Accompagnata alla chitarra da Tony Shanahan, la cantante regala versioni acustiche di Wing, Beneath the Southern Cross e My Blakean Year. Dopo aver letto un visionario passaggio in cui fa riferimento all’inaugurazione di Trump, Patti intona After the Gold Rush e qualcosa si accende nei nostri animi – il connubio tra le parole, la voce della Smith e la musica di Neil Young, si traduce in una sensazione che Kerouac avrebbe definito “BEAT”.
“Il 4 di Novembre è una data molto speciale per me; è il compleanno di Robert Mapplethorpe e il giorno in cui ci ha lasciato Fred “Sonic” Smith. Sono passati 25 anni dalla sua scomparsa e vorrei cantare una canzone che ho scritto per lui”. Il pubblico ha già capito a quale brano si riferisce Patti; le note di Because The Night, eseguite al piano da Shanahan, irrompono nell’auditorium e nel coro, ci uniamo in unisono: la notte ci appartiene. Ma non è finita, c’è ancora spazio per un ultimo, grande momento: l’immensa carica del rock ‘n’ roll e il grido ribelle di Pissing in A River investono i presenti, chiudendo questa serata di parole e musica.
“Quando si passano anni ad ascoltare un musicista, ci sembra quasi di conoscerlo” ha dichiarato recentemente il critico musicale Ian Penman. Ed è proprio questo il pensiero che ci avvolge quando Patti, salutandoci, lascia il palco.
Tutte le foto sono di Martina Ciani