Patti Smith performs Horses @ Flowers Festival Final Day, Torino

Il Flowers Festival arriva all’ultima serata con un ospite d’eccezione: Patti Smith. La poetessa del rock si trova di fronte un pubblico estremamente eterogeneo e pittoresco, fatto di settantenni che hanno rispolverato i vestiti di 40 anni fa, sessantenni che hanno finalmente slegato i capelli lasciati crescere nonostante le evidenti stempiature e probabilmente mettendo a rischio il loro matrimonio, ma anche di ragazzi di ogni genere ed età. Qualcuno sostiene persino di aver visto delle ragazze con i tacchi a spillo  che, probabilmente, avevano sbagliato concerto.

Quando la cantante sale sul palco per festeggiare il 40° anniversario dell’uscita del suo disco d’esordio, Horses, già dal primo accordo ci si accorge che il suo aspetto canuto nasconde qualcosa di più. La potenza che trasmette è quella di sempre. Le canzoni sono un misto di poesia e rock’n’roll, con molto spazio lasciato all’improvvisazione. Come i grandi artisti, Patti Smith, diventa un tutt’uno con il suo pubblico, guidandolo e lasciandosi guidare a sua volta per vie inaspettate. Come una sacerdotessa del rock, indica il cielo con un pugno chiuso e trasmette messaggi di pace e di ribellione, dai quali traspare ancora una grande passione per la politica e per l’umanità. I messaggi sono forti, molto chiari, e diventano dei mantra che vengono urlati, esasperati, sputati sul pubblico, obbligando gli spettatori a riscoprire il rock come un mezzo per veicolare un messaggio.

Tra un salto e un urlo finisce il side A di Horses e appena Patti Smith gira il disco e rimette la puntina sul vinile, l’atmosfera si accende ancora di più. Incomincia con Gloria, la canzone portata al successo dai Doors, e dopo una lunga improvvisazione di basso, la cantante chiude gli occhi con fare estatico e inizia a intonare un testo sul Festival dei Fiori, evidentemente dedicato al festival che l’ha ospitata per una sera. Subito dopo, fa cenno alla band di rallentare, e inizia a recitare una lista di nomi. Si tratta di vecchi amici, conoscenti e amori scomparsi. Gloria è dedicata a loro. L’ultimo nome, pronunciato dopo una pausa ad effetto, è quello di Lou Reed, che viene accolto dal pubblico, ormai commosso, con un lunghissimo applauso. Finito un medley di alcuni successi dei Velvet Underground, è il momento delle due canzoni più famose della cantante: Because the Night e People Have the Power. Ma proprio quando il concerto sembra per finire, Patti Smith torna sul palco per il bis e la band attacca a suonare My Generation degli Who.


A questo punto succede di tutto. Non ci sono più freni, né sul palco, né tra il pubblico. Un ragazzo con i capelli raccolti da una bandana rossa, scavalca le transenne e sale sul palco. Mentre il ragazzo cerca di scappare dagli addetti alla sicurezza, Patti Smith impugna per la prima volta nella serata la chitarra elettrica e inizia un assolo. Non ci sono note ma soltanto energia allo stato puro. Il concerto finisce così, in modo brusco, con una chitarra abbandonata a fischiare sopra un amplificatore e con la consapevolezza che abbiamo assistito a una lezione di rock, una lezione che tutte le band più giovani dovrebbero apprendere. Perché la musica rock può sopravvivere solo se ritorna a essere potente, non solo nelle distorsioni, ma anche nel messaggio che trasmette. Al di là delle etichette e delle divise. E questa lezione non poteva che darla una poetessa di quasi 70 anni, con i capelli bianchi e la dentiera, che del look si cura poco, ma con le sue parole può ancora farci sognare e far nascere rivoluzioni.

Foto di Giorgia Piazza

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