Facciamo un breve viaggio per esplorare le bellissime connessioni tra musica e parole, libere energie che scorrono sotterranee tra mondi. Si parte con la sacerdotessa del rock Patti Smith, e il suo poeta prediletto Arthur Rimbaud.
Qualche anno fa Patti Smith ha comprato la casa dove Arthur Rimbaud ha scritto Una stagione all’inferno. Se da una parte lo ha fatto per salvarla dalle pessime condizioni a cui la casa era stata abbandonata, d’altro canto a Patti Smith piace autenticamente circondarsi dai fantasmi di quelli che considera suoi spiriti fratelli, persone che anche se non ha potuto conoscere sono riuscite ad attraversare i decenni o lo spazio fisico per penetrare e influenzare l’esperienza da essere umano di Patti Smith. Lo racconta lei stessa in occasione di un incontro a Blanes, in Spagna, con i parenti e gli amici dello scrittore Roberto Bolaño. Visibilmente emozionata, Patti Smith parla di questa sua urgenza interiore, qualcosa che la spinge a mettersi alla ricerca irrequieta di certe energie. È per questo che ha comprato la casa di Rimbaud, che ha camminato sulla sua tomba, che si è immortalata davanti a quella di Shelley, che ha fatto suonare il figlio di Bolaño sul palco insieme a lei, e che se ne va in giro con la sua polaroid alla ricerca di sedie e cucchiaini che ormai appartengono a fantasmi appannati.
Questa energia invisibile e sotterranea, questa forza quasi occulta e infettiva, è probabilmente all’origine dell’influenza che alcuni versi di Rimbaud possono avere dirottato nell’anima e nel corpo di Patti Smith. La cosa inedita e bella è come lei segua questa forza da anni in modo autentico e appassionato, tanto da essere diventata la proprietaria di una casa che è solo la riproduzione di quella di Rimbaud distrutta durante la Prima Guerra Mondiale; ma è probabile che per Patti Smith le bombe non siano state capaci di scalfire nemmeno un po’ di quell’energia creatrice che ha portato Rimbaud alla sua stagione all’inferno. Parliamo di forze quasi inspiegabili che nel corso del tempo hanno animato scambi felicissimi tra musica, scrittura, poesia, e arte in generale, o scavato lontane affinità tra esperienze di esseri umani; energie sotterranee che possono sorpassare le cortine dello spazio/tempo e della contemporaneità.
Tutto sommato è una vecchia storia. Lo stesso Arthur Rimbaud in una giornata d’estate dei suoi 16 anni si mette su un treno e arriva a Parigi lasciandosi trascinare dalla lettura oceanica di Victor Hugo, quasi avvertendo un richiamo o un grido lontano. Alla stazione viene arrestato per vagabondaggio, trascorre un breve periodo in carcere prima di tornarsene a casa, e da qui cominciano i giorni errabondi di Rimbaud tra Charleville, la dimora del suo vecchio professore, e una Parigi dove stava per nascere quella Comune da cui Arthur si sentiva così attratto e che sarà fonte di ispirazione e visioni. Nelle lettere a Georges Izambard e Paul Demeny, il giovanissimo poeta scrive di una rabbia folle che lo spinge verso la battaglia di Parigi, non smette di parlare di poesia e di “disordine dei sensi”, del poeta come ladro di fuoco. Il grande viaggio circolare di Arthur è un’eterna fuga da Charleville, che pure diventerà il posto dove alla fine di quei mesi girovaghi finirà per farsi veggente, finché non vedrà le vocali colorarsi come un atto di magia. Una fuga assoluta quella di Rimbaud, che per certi versi ricorda i vagabondaggi giovanili della sacerdotessa rock a New York.
“Oh arthur arthur. we are in Abyssinia Aden. making love
smoking cigarettes. we kiss. but it’s much more. azure.”
Patti Smith parla di Arthur Rimbaud come di un vecchio fidanzato, al punto che negli anni gli ha dedicato dischi e versi, come se avesse trovato nelle parole di Arthur un furore abbagliante che l’ha ispirata anche nella musica, come se avesse tradotto nel linguaggio rock e punk un’agitazione che sussultava già nei versi e nelle illuminazioni di Rimbaud. Anche Bob Dylan e Jim Morrison avevano trovato ispirazione tra le parole del poeta francese, che con la sua giovinezza esplosiva e la sua violenta consumazione arrivò a scuotere persino i cuori degli eroi del punk. Ma Patti Smith è probabilmente l’unica che avrebbe potuto salvare la casa di Rimbaud, assecondando quelle vibrazioni sotterranee che le scorrevano in vena in un esagitato dialogo tra tempi e mondi e terre, e che già nel 1976 l’avevano portata a dedicare un disco al suo idolo lontano. Come ha raccontato lei stessa, la fascinazione che ha provato per Rimbaud derivava molto dal linguaggio del poeta, qualcosa di mistico e non immediato da decifrare, una speciale lingua iniziatica alla poesia. E così un album come Radio Ethiopia, con la sua energia e i suoi richiami africani e la sua libertà e le sue evocazioni brâncușiane, suona ancora come un omaggio tossico e visionario dello spirito punk di metà anni Settanta alla poesia decadente. Etiopia come la terra dell’ultima fuga di Arthur Rimbaud e del parabolico silenzio abissino. Radio come un mezzo per il messaggio che Patti Smith avrebbe voluto inviare a Rimbaud.