L’infanzia al tempo del fascismo raccontata in un graphic memoir | Intervista a Bruna Martini

Per gli adulti vivere durante un conflitto bellico significa affrontare continue minacce e torture fisiche e psicologiche, ma cosa vuol dire essere bambini e crescere in tempo di guerra?
A questa domanda ha cercato di rispondere Bruna Martini, autrice e illustratrice di Patria. Crescere in tempo di guerra, un graphic memoir pubblicato da BeccoGiallo. Attraverso foto in bianco e nero, pagine di quaderno e disegni dalle tinte pastello, il libro ripercorre l’infanzia di Graziella Mapelli, la zia di Bruna che, durante lo scoppio della Seconda guerra mondiale in Italia era solo una bambina. Un’importante testimonianza del passato riletta in chiave contemporanea che aiuta piccoli e adulti a ripercorrere e a ricordare la storia del ventennio fascista.
Per comprendere la genesi e la realizzazione del progetto ho avuto il piacere di parlare con l’autrice che ora vive e lavora a Londra.

La protagonista di Patria è Graziella, una bambina cresciuta durante il periodo fascista a Trezzo sull’Adda, una cittadina tra Milano e Bergamo, la primogenita della sua famiglia. Chi è questa bambina e perché proprio lei è la protagonista di questo graphic memoir?

La vicenda si basa sulla storia vera di mia zia Graziella. È stata lei e non altri dei suoi fratelli o sorelle a raccontarmi in maniera vivida suoi ricordi legati all’epoca fascista. La sua memoria è stata più prodigiosa rispetto a quella di altri membri della famiglia e probabilmente anche l’impatto che questi eventi hanno avuto sulla sua formazione durante gli anni di scuola. Essendo la più grande, è stata in grado di riflettere maggiormente su quello che stava succedendo. Magari era a lei che spettava il compito di proteggere i più piccoli, cercando di distrarli quando c’erano i bombardamenti o i rastrellamenti. In sintesi ha avuto un ruolo più attivo rispetto ai fratelli più piccoli.

Questa graphic novel è particolare perché mescola disegni, foto e documenti autentici del ventennio fascista. Come è nata l’idea di raccontare la storia di tua zia e quanto è stato complesso raccogliere i materiali?

L’idea è nata molti anni fa, quando avevo circa dieci anni. Un giorno mia zia mi ha mostrato le sue fotografie di famiglia che in parte già conoscevo perché sono esposte in casa. A un certo punto, però, ha aperto una scatola che conservava all’interno di un armadio e ha tirato fuori alcune pagelle. Osservandole mi sono resa subito conto che erano molto diverse da quelle che ricevevo io alla fine dell’anno scolastico. Non si trattava solo di documenti, erano delle piccole opere d’arte o comunque di grafica: trasmettevano un messaggio fortissimo, di propaganda diretta ed esplicita. Ho iniziato a farle delle domande sulle materie che studiavano come “Lavori donneschi e manuali” o “Cultura e storia del fascismo” che solo a sentirle pronunciare al giorno d’oggi pare ridicolo. Questo episodio ha acceso in me una certa curiosità e negli ultimi anni ho iniziato a fare ricerca di oggetti appartenenti all’epoca fascista. Mi sono resa conto che ci sono tantissimi oggetti di quel periodo nelle case degli italiani. Molti dei nostri nonni li hanno conservati in cantina o in soffitta, ma nessuno di questi è mostrato in maniera museale. Quando sono andata a Berlino a vedere il Museo della cultura ebraica tutti gli oggetti della vita quotidiana erano classificati ed esposti con una spiegazione a fianco, un filmato o un’intervista. Gli oggetti del fascismo sono, invece, nascosti, come se ce ne vergognassimo. Ovviamente non è un periodo di cui essere fieri, ma se non ne parliamo e non riflettiamo, dimenticheremo il passato. E se un giorno – si spera di no – la scuola dovesse tornare di parte come in quel periodo faremo fatica a rendercene conto. L’abitudine di mia zia di tenere tutti gli oggetti della sua infanzia all’interno di scatole e buste etichettate mi ha spronato a raccontare una storia che non fosse solo scritta, ma anche piena degli oggetti che mi aveva mostrato.

In questo volume ci sono sia i documenti degli anni quaranta conservati da zia Graziella che le tue illustrazioni create oggi appositamente per accompagnare pagelle, quaderni e fotografie. Come sei riuscita a far comunicare e a unire questi oggetti con l’arte contemporanea, con i tuoi disegni?

È stato un processo abbastanza lungo e complesso perché come dicevi tu i di due registri sono molto diversi. Da un lato il contenuto serioso, autorevole e per certi aspetti anche drammatico dato l’evento storico raccontato attraverso documenti roboanti, solenni, magniloquenti e pieni di parole, dall’altro emerge una tecnica molto più semplice e intimista, quella pittorica. Quindi per cercare di metterli insieme sono partita dalla realizzazione delle tavole a mano con pastello e acquerello, successivamente ho scannerizzato gli oggetti e li ho mischiati ai miei disegni, cambiando di frequente colore e livelli. Volevo tenerli insieme, anziché distaccati proprio perché il contesto è quello di una graphic novel in cui di solito gli oggetti e i documenti non sono separati, ma dialogano tra di loro in maniera armonica. Lavorando su questo volume mi sono resa conto che c’era un forte contrasto per esempio tra la presenza di armi, fucili e baionette sulla copertina di un quaderno e il disegno a pastello per ricalcare lo stile infantile. Ho cercato di ammorbidire la drammaticità del contenuto per renderlo più leggero, ma anche più coinvolgente.

Questo libro può essere visto come il racconto personale della protagonista Graziella?

Sì, è da leggere come il diario che una bambina di quegli anni avrebbe potuto scrivere giorno per giorno. Le rime e l’utilizzo di parole semplici appartengono a un’alunna delle elementari e aiutano a recuperare l’aspetto fiabesco, ma si legano comunque allo stile fascista di cui tutte le lezioni scolastiche erano pregne.

Quando tua zia ha visto e sfogliato per la prima volta il libro che racchiude la sua storia che cosa ha detto?

Era molto contenta, quasi non riusciva a esprimere quello che sentiva perché lei mi aveva sempre detto: “Guarda, se vuoi ti racconto i miei ricordi, fanne quello che vuoi, però non credo che la mia sia una storia particolarmente speciale. Ero una bambina che andava a scuola così come tutte le mie amiche e non ho fatto nulla di eccezionale. Non mi sono opposta al regime fascista, non sono diventata una partigiana, non sono stata un’eroina, quindi non vedo cosa ci trovi di interessante”.


Quando, però, ha visto che il libro era stato completato ed emergeva un messaggio antifascista abbastanza chiaro, si è resa conto che la sua storia individuale poteva diventare una storia universale o comunque di una nazione, simbolica per tutti gli italiani che hanno vissuto quel periodo. Inoltre era particolarmente felice di poter comprare il volume in libreria. Non ha voluto ricorrere a Internet, perché ci teneva ad andare di persona nella libreria della sua città e trovare il libro ad aspettarla tra gli scaffali.

Perché una bambina del 2021 dovrebbe leggere la storia di una bambina cresciuta durante ventennio fascista? E perché non solo le bambine, ma anche i bambini, gli adolescenti e gli adulti possono essere i potenziali lettori di questa graphic novel?

Mi vengono in mente alcuni messaggi che ho ricevuto in questi giorni da amici che hanno figli all’incirca dell’età di Graziella, quindi sui dieci o undici anni. In genere i genitori hanno letto il libro insieme ai propri figli, iniziando a fare una prima lettura per capire la storia e poi l’hanno riletto guardando e analizzando i documenti nel dettaglio. Quello che diverse persone mi hanno detto è stato che i bambini hanno portato la graphic novel a scuola e i maestri erano molto affascinati dal contenuto e da come era stato presentato. Per questo motivo hanno deciso di fare delle lezioni a tutta la classe. In effetti questi casi mi hanno fatto pensare che la lettura di classe potrebbe essere proprio un buon modo per approcciarsi al volume. Sono tante le domande che possono venire in mente durante la lettura e non è detto che il libro riesca a esaurirle completamente. Per potere rispondere bisogna avere una conoscenza più approfondita del periodo storico, della propaganda, di come funzionava la comunicazione e del totalitarismo.
Mio nipote ha undici anni e anche lui ha letto la storia. Quello che mi ha detto è stato che non si sarebbe mai immaginato che le lezioni della scuola potessero essere manipolate dal governo. Lui ha sempre pensato di ricevere un insegnamento oggettivo da parte dei suoi maestri, che utilizzano informazioni di storici e scienziati, comunicate in forma semplificata. Non si era mai interrogato sulla possibilità che i contenuti che riceviamo possano essere modificati. Mi vengono in mente le foto che ogni tanto si vedono sui social…

Se tuo nipote ha fatto una riflessione di questo tipo evidentemente non utilizza ancora i social network.

Probabilmente sa cosa sono, ma per fortuna non ha ancora un account personale. Comunque anche oggi si possono trovare delle informazioni parziali in un sussidiario, che potrebbero dare largo spazio all’interpretazione. Vedere questo concetto all’interno di Patria, comunicato in maniera così esplicita, anzi quasi ridicola, ha fatto pensare molto mio nipote.


Credo che i bambini dai nove anni in su possano comprendere bene la storia. Non è un racconto angosciante, fa riflettere su temi importanti senza terrorizzare e si presta particolarmente alle letture di classe che permettono ai bambini di fare domande dirette agli adulti o agli insegnanti. Non si tratta solo di un libro per bambine, ma anche per bambini. Il punto di vista di mia zia nella sua storia è fortemente femminile perché alcune materie che si studiavano a scuola erano molto antifemministe, però anche ai maschi veniva inculcata la necessità di essere sempre forti e vigorosi. Dovevano comportarsi come guerrieri che non si lamentavano mai e che andavano in guerra senza pensare a fidanzate, mogli e figli perché era necessario fare prima il proprio dovere per la patria e poi dedicarsi solo in un secondo momento alla famiglia. Per un bambino quindi è importante sapere che questa non è l’unica versione dei fatti.

Cosa possono imparare da Patria, invece, gli adulti e i ragazzi?

Penso che per gli adulti l’aspetto più interessante di questo volume sia quello storiografico, perché è ricco di documenti che sono stati raccolti e analizzati nel tempo. Il contenuto totalitarista, razzista e fascista è molto chiaro per cui leggere il volume aiuta a eliminare qualunque dubbio. Questo graphic memoir rende più chiaro questo periodo storico, senza la pesantezza di un libro di scuola e perciò è attraente anche per il lettore adulto.

Oggi qual è il ruolo degli illustratori e come si può comunicare in maniera efficace attraverso il disegno?

Io lavoro come illustratrice e animatrice da circa dieci anni nel Regno Unito, ma spesso anche in altre zone in base alla destinazione del progetto. Spesso mi sono trovata a realizzare dei progetti nei paesi in via di sviluppo, per esempio Bangladesh, Tanzania o India. È molto più semplice comunicare con persone che hanno una cultura, un linguaggio o una mentalità un po’ diversa dalla nostra con le immagini piuttosto che con le parole. Ognuno ha vissuto diversi spaccati ed è abituato a contenuti differenti: cercare di parlare a tutti con un libro non è mai facile. Grazie al mio lavoro ho notato che le immagini sono in grado di veicolare messaggi un po’ a tutti in maniera immediata ed efficace. Non sono esaustive di per sé, c’è sempre la necessità di andare a informarsi ulteriormente, ma permettono di creare un ponte, di rompere il ghiaccio, insomma di attrarre il lettore che poi una volta attratto se ne andrà difficilmente perché ha accettato di farsi coinvolgere. Quindi per me è fondamentale tenere conto delle capacità di comunicazione molto versatili e flessibili delle illustrazioni. Nel caso specifico di Patria il mio intento era quello di passare la memoria, la conoscenza e i ricordi di una generazione alla successiva. I ricordi di mia zia che è nata nel 1932 se ne andranno con lei e con i suoi coetanei e non sarà molto semplice mantenerli vivi e interessanti per gli adolescenti o per i giovani adulti di oggi. Potranno andare a vedere i musei, leggere i testi a scuola o in biblioteca, però è difficile appassionarsi a temi che a volte sono un po’ aridi, pesanti, difficili o macabri per certi aspetti. Quindi l’immagine può risvegliare quell’interesse e può far passare certi messaggi in maniera più diretta.

 

Il linguaggio usato all’interno di un volume illustrato è universale.

Esatto. Studiando il fascismo mi sono accorta che era un periodo multimediale. Avevano capito l’importanza della comunicazione, della radio, dei filmati, delle fotografie, ma anche dei dipinti, delle poesie e dell’architettura. Il fascismo era presente in tutti gli aspetti della vita culturale e pubblica del paese. Questo aspetto multimediale mi ha spronato a utilizzare il sistema della graphic novel, cioè illustrazioni e testo insieme per comunicare.

Hai lavorato su ogni aspetto di Patria, sia come illustratrice che da autrice. È stato più difficile realizzare i disegni o metterti alla prova sul testo, trovando il tone of voice adatto?

Per me l’aspetto più complesso è stato quello della scrittura e della ricerca del tone of voice adeguato. I ricordi di mia zia sono stati comunicati come brevi aneddoti e quando lei raccontava io già avevo in testa i disegni perché si prestavano a questa natura pittorica. Mentre per quanto riguarda il testo è stato più complicato e a un certo punto durante la realizzazione della graphic novel mi è venuta l’idea di scrivere in rima. Da qui la complicazione di scrivere parole che fossero adatte a una bambina di dieci anni, ma che potessero riassumere concetti un po’ ostici come quelli dell’economia totalitarista o della mentalità che c’era dietro al fascismo. Comporre le rime è stato difficile e ho dovuto riflettere un po’ prima di arrivare alla forma compiuta.

È stata la prima volta che ti sei cimentata come autrice?

Come autrice pubblicata da una casa editrice sì. Avevo fatto altri lavori simili a Patria in termini di lunghezza, ma si trattava di autopubblicazioni. Quindi sono molto contenta!

 

Il 27 gennaio è stato il Giorno della Memoria, ma la memoria per le atrocità compiute durante la Seconda guerra mondiale dovrebbe essere viva ogni giorno dell’anno. Patria è una graphic novel che ricorda una pagina personale, ma al tempo stesso è capace di rievocare l’esperienza di tante altre persone come tua zia. Raccontavi di essere stata al Museo della cultura ebraica a Berlino, ma anche in altri paesi esteri il ricordo di questo periodo storico è tenuto in vita per non dimenticare di compiere gli stessi errori. In Italia c’è la tendenza, invece, a scordare e a nascondere certe atrocità compiute in passato, cosa possono fare le graphic novel, ma in generale le illustrazioni per aiutare a non cancellare la memoria?

Se potessi suggerire qualcosa cercherei di adottare un approccio multimediale. Per esempio nelle scuole si potrebbero realizzare progetti in cui ogni alunno sceglie lo strumento che preferisce per raccontare una storia. Prendiamo l’esempio di un’intervista ai nonni su quello che ricordano del fascismo. Si possono registrare, filmare o fare dei disegni, insomma utilizzare qualsiasi strumento o mezzo di espressione. Anche recuperare gli oggetti del fascismo tenuti in cantina o in soffitta può essere un modo per non dimenticare. Mi è capitato qualche anno fa di andare in vacanza in Messico e, a Città del Messico, nel museo principale della storia della nazione ho visto tantissime pagelle, quaderni, sussidiari, esercizi dell’epoca comunista che non era poi così diversa da quella fascista perché anche loro avevano un regime totalitario. Utilizzavano anche loro questi oggetti scolastici e non per la macchina della propaganda. La differenza è che si trovavano dietro una teca, a fianco una lente di ingrandimento e dei quiz per incoraggiare i bambini alla scoperta. Questo sistema potrebbe essere un buon punto di partenza per coinvolgere i bambini, ma non solo loro.

Ogni nazione ha pagine della storia deplorevoli, ma non per questo meritano l’oblio.

Può anche essere che dopo il periodo fascista molte persone che erano in auge in quegli anni abbiano mantenuto più o meno i propri ruoli. Non sono stati cacciati via tutti gli esponenti della vecchia guardia, hanno un po’ rimescolato le carte e forse anche questo fatto ha impedito si facesse subito una riflessione critica sulla situazione appena vissuta. Ma ora è tempo per coltivare la memoria.

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