Di ferro e d’acciaio inaugura la serie CroceVia di NN editore: una collana di sette romanzi che si prefigge di indagare in modo personale il senso di determinate parole. Si tratta di parole importanti, storiche, in qualche modo anche pesanti, intrise di un significato che il linguaggio moderno spesso dimentica. La parola che apre CroceVia è Passione, affidata a Laura Pariani che la eredita e la traduce in un romanzo che ritorna al più ancestrale dei sentimenti: l’amore materno.
In uno spazio temporale non precisato ma vicino, la realtà è piegata da un potere dittatoriale e la vita di ogni individuo è assoggettata al pensiero di regime. I nomi sono stati cancellati e i sentimenti, visti esclusivamente come forme limitanti e atrofizzate di “attaccamento”, banditi. Il controllo arriva alla mente e anche al corpo, le cui fasi di fertilità e riposo seguono dei ritmi già regolati. L’amore resta qualcosa da accantonare, la passione il ricordo sbiadito di un passato da affidare a dei nastri. In questo clima cupo e di libertà limitata, l’operatrice H478 ha il compito di sorvegliare una donna vestita di nero, che brancola testarda da una struttura all’altra alla ricerca del figlio.
La donna vestita a lutto si chiama Maria N., il figlio Jesus. Basta poco per creare i collegamenti e accorgersi che Di ferro e d’acciaio è un romanzo che rivisita uno degli episodi cruciali della tradizione cristiana: la Passione di Cristo. La Pariani infatti fa rivivere la via crucis cristiana collocandola in un futuro non auspicabile ma purtroppo possibile; in una realtà che è solo la proiezione tirata all’eccesso di dinamiche che già oggi tastiamo. L’universo distopico costruito dalla Pariani attinge ampiamente ai classici del genere, 1984 fra tutti. I grandi edifici in cui vive il Potere e si articola la vita; corporazioni come quella degli Ingegneri Sociali vantate di minaccia; l’impoverimento del linguaggio e il conseguente annichilimento del pensiero soggettivo. Il richiamo viene anche palesato nei comandamenti base del regime: Chi è riflessivo è debole. La sensibilità è disprezzabile. Chiunque non si uniformi alla norma è deviante. Di ferro e d’acciaio vive del passato, ma sa bene che il passato non va dimenticato e di esso si fa forza.
D’altro canto, l’intento della Pariani non era di certo quello di apportare innovazione al genere, ma darne la sua espressione, utilizzarlo per mostrare ciò che muove alla base questo romanzo. L’attenzione della scrittrice lombarda si focalizza sul panorama umano che popola la sua opera, sull’effetto che la storia di Jesus e la tenacia delle donne riunite alla ricerca dei propri figli suscita in coloro che ne entrano in contatto, direttamente o meno. Seguiamo la voce di Lusine, l’operatrice, che dal drone-telecamera non perde mai di vista Maria, finendo per restarne coinvolta. Lei è la figura con cui familiarizziamo, ma non è l’unica che ci accompagna nelle vicende. La Pariani frammenta la sua opera in tanti brevi capitoli, alternando persone, posizioni sociale, luoghi. E sa da un lato ciò è utile ad aggiungere tasselli alla società raffigurata, dall’altra è un espediente narrativo che permette di conoscere e scandagliare ciò che il regime tenta di depennare per sempre: le emozioni.
In Di ferro e d’acciaio la parola Passione attinge alla tradizione, ma viene nutrita di nuova linfa e si avvicina ad altre parole importanti, come Resistenza. Resistenza e quindi Lotta. La protesta delle numerosi madri unite per difendere i propri figli dall’ingiustizia richiama le madri di Plaza de Mayo. Il dolore di Maria N. è lo stesso dolore di quelle donne che scesero in piazza contro il regime argentino, ed è lo stesso dolore della prima Maria che perse il figlio sulla croce. È un dolore atemporale, senza fine, che rieccheggia nella storia e che nella tragicità trova forza.
La stessa forza cieca che Jesus mostra nella sua di lotta, che è diversa. Una lotta giovane, contro il sistema, che ammette il sacrificio pur di non piegarsi alle logiche medievali di un sistema che vuole lasciare senza futuro.
Aggiunge che sa che lo uccideranno e che ha paura di morire, ma se tornasse indietro rifarebbe le stesse cose, perché nella lotta non si deve badare alla propria carne che soffre né alla lotta così nera.
E sono dolori che non lasciano indifferenti, che non devono farlo. Anche la scrittura si fa appassionata, trascinante. Lo stile è incisivo, ogni parola pensata, e la Pariani ci mette del suo formulando un linguaggio nuovo, impoverito e al contempo reso ricco dalla permanenza di alcuni termini del suo dialetto.
Di ferro e d’acciaio è un romanzo intenso, che scuote. La stessa scossa che a un certo punto afferra Lusine, la risveglia e la rende partecipe di un sentimento che credeva dimenticato.
In un mondo in cui l’indifferenza è un germe in diffusione, quello della Pariani è un invito all’empatia e alla memoria storica. Perché solo dalla conoscenza del passato si può proteggere il futuro e solo nella condivisione si può sperare nella resurrezione.