Se l’Italia ha avuto una sua stagione accesa di lotta per i diritti civili (i diritti degli altri, dice PPP) lo deve soprattutto a Marco Pannella. Divorzio, aborto, tutto ciò che magari non riguarda direttamente e strettamente il vostro affare quotidiano ma che potrebbe riguardarvi domattina, o riguardare la persona accanto a voi, il vicino, il familiare, l’amico. La domanda e il faro che mi ha sempre guidato è una sola, perché dovremmo vietare agli altri la libertà di scelta? E questa domanda la applico sempre a tutto – quasi in maniera ossessiva – tanto che non posso neanche immaginare l’idea di vietare a qualcuno di scegliere se tenere o meno un bambino in grembo, e quindi crescerlo con tutte le conseguenze di spese, gioie e dolori dell’avere un figlio; e non posso decidere di tutto ciò che riguarda la morte, l’amore, e in fondo la vita: sono sfere troppo personali e private. Pannella era un visionario che voleva esattamente si arrivasse a questo punto: che nel vostro letto non entrasse nessuno, che poteste passare del tempo con chi vi pare per quanto vi pare, che del vostro corpo ne faceste quel che vi aggrada, in poche parole difendere con i denti il privato spazio personale. Come diceva De André, “quello che io penso sia utile è di avere il governo il più vicino possibile a me, e lo stato – se proprio non se ne può fare a meno – il più lontano possibile dai coglioni”.
Pier Paolo Pasolini era contrario all’aborto, in qualche modo per lui significava de-responsabilizzarsi dall’atto sessuale. A PPP lo concediamo, il suo era un mondo nostalgico, contrario al consumismo sfrenato del capitalismo, e che vedeva nell’atto di abortire il gesto di una donna emancipata e consumista che getta un bimbo (o la sua possibilità) da una rupe. Ma quello di Pasolini era un discorso coerente con il suo mondo e la sua visione, più reazionaria di quel che pensiamo. Quando sento oggi agghiaccianti dichiarazioni sull’utero in affitto e lo sfruttamento che potrebbe venirne fuori dell’Occidente nei confronti dei paesi in via di sviluppo, e sento fare quei discorsi da persone che non sono minimante sensibili al tema delle disuguaglianze sociali se non quando si parla di “traffico di neonati”, non riesco a bermela. Il loro discorso non è coerente, non hanno mai avuto un autentico interesse per le storture del capitalismo liberista, gli fa comodo comprare prodotti cinesi sottoprezzo, e sfruttare le stesse donne che dicono di voler difendere.
La domanda importante da farsi dopo la morte di Marco Pannella è: quali sono le nuove sfide che abbiamo davanti, viviamo ancora la stagione dei diritti civili? Ora i miei occhi sono puntati verso le diseguaglianze, le guerre, il terrorismo, il mondo intero. Non riesco più a pensare al mio paese come a qualcosa di separato dal mondo. Non riesco a pensare che le lotte più minoritarie e lontane da me non mi riguardino, che il diritto di una bambina siriana di vivere la sua vita nella sua terra, senza abbandonarla e piangere per mille mari, non sia quello di cui dovrei preoccuparmi. Lo strazio e il senso di colpa per l’impotenza di fronte a queste grandi battaglie umane è terribile oggi. Marco ha sempre provato a difendere i diritti civili nel nostro paese, ma oggi siamo immersi in una battaglia che si pone a uno strato inferiore: i diritti umani, i diritti di base, i diritti di sopravvivenza. Anche in questo caso parliamo dei diritti degli altri.
Sull’eredità che ci è stata lasciata dalle battaglie dei radicali si è già detto e scritto tantissimo in questi giorni, e neanche sempre positivamente. Qualcuno ha accolto queste battaglie e i loro risultati solo con un mezzo sorriso di sufficienza, ma a me sembra che il progetto dei radicali italiani sia sempre stato l’unico votato al pensiero che il mondo sia qualcosa di un pochetto più grande di un piccolo paese, che la questione del Tibet ci riguardi per esempio – anche se lontanissima. Eppure i radicali sono sempre stati un partito piccolo piccolo, minoritario, forse perché somigliavano più a un’attitudine e a un way of life che a un vero e proprio sistema organizzato. C’era un po’ di improvvisazione e pazzia nel loro metodo.
Un leader che afferma, “io alle tre di notte esco per la città perché ho voglia di piangere e amare” è un po’ poeta. Quella certa vocazione vitalista alla bestemmia e alla dissacrazione è riuscita a svecchiare per un poco il paese in cui viviamo, mettendoci a pensare che in fondo la vita è una questione di scelte personali, e che la famiglia, le chiese e ogni genere di organizzazione possono soltanto indicare una strada ma non dovrebbero mai prendersi la briga di scegliere al posto nostro. Quando Piergiorgio Welby scelse di lasciarsi morire parte del paese insorse, ma il cuore della faccenda era la libertà di poter pensare a queste parole: “Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche“.
Per questo non si può che ringraziare uno come Pannella, sperando che quest’eredità venga difesa, e che ci ispiri a vincere le nuove battaglie di domani.