Tutte le foto di Pamela Moore sono usate con il permesso del sito chocolatesforbreakfast.info, che ringraziamo. Immagini che raccontano il viaggio di Pamela in Europa nel 1957/58, e la pubblicità per The Horsey Set intorno al 1962
Nel 1960 Alberto Mondadori e l’omonima casa editrice finirono in tribunale per una presunta violazione dell’articolo 528 del codice penale, oltraggio al comune senso del pudore. Gli imputati erano tre romanzi: I sotterranei di Jack Kerouac, L’amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence e Cioccolata a colazione di Pamela Moore. Quando, nel 1964, la causa fu vinta perché dimostrato il valore artistico delle opere, anche grazie all’intervento della scrittrice e critica Anna Banti e di altri intellettuali del tempo, Pamela Moore era morta suicida da qualche mese. Nel suo necrologio il New York Times dell’8 giugno 1964 scriveva: «La signorina Moore, 26 anni, era l’autrice di “Cioccolata a colazione”, romanzo su una adolescente confusa ambientato a Hollywood e New York». La carriera letteraria di Pamela Moore si basa su questo equivoco, ovvero la mancata legittimazione di un talento e della sua opera più grande, Cioccolata a colazione per l’appunto. Un romanzo spietato ed eterno sull’adolescenza di una giovane donna, liquidato per decenni come mera cronaca di una adolescente confusa e della sua vita pruriginosa. Pamela Moore ha lottato contro le interpretazioni superficiali del suo lavoro, la prevaricazione di uomini che credeva di amare e la ricerca ossessiva, da parte dei critici, di tracce del suo privato nel romanzo. Ma la verità è che Pamela Moore era una autrice brillante con una spiccata capacità di narrare adolescenza e ingresso nel mondo adulto mescolando sessualità, malattie mentali e crisi esistenziali di una donna in divenire che voleva di più. Pamela Moore non ha avuto la legittimazione letteraria che meritava, ma leggerla adesso, anche alla luce delle autrici che hanno seguito il solco da lei tracciato, può ancora renderle giustizia. A curarne l’eredità il figlio che l’ha persa quando aveva sei mesi, Kevin Kanarek, che ha lavorato per anni al sito Chocolates for breakfast con foto, ritratti e le testimonianze di chi Pamela l’aveva conosciuta.
Cioccolata a colazione è stato il romanzo d’esordio dell’autrice che, diciottenne al momento della pubblicazione, spiegava l’adolescenza nella società Wasp dei primi anni ’50, un’epoca in cui le bottiglie di CocaCola, i rossetti e le pellicce erano vietate alle ragazze per bene. Siamo a Scaisbrooke Hall in Connecticut, una scuola privata in cui studiano Courtney, la protagonista, e la compagna di stanza Janet, costrette a crescere in questo rigido ambiente scolastico che vorrebbe strapparle alla vita dissoluta a cui sono destinate da famiglie fallimentari. La madre di Courtney è una attrice di Hollywood in declino, il padre un editore che poco si interessa della figlia. «La mia vita sarebbe molto più semplice se non dovessi preoccuparmi di te», le dice la madre durante una discussione, e Courtney cresce in un clima di incomunicabilità dolorosa, ignorata nei suoi bisogni e impreparata a comprendere i meccanismi del mondo. Ma Courtney cresce in fretta e si crogiola nelle sue abitudini adulte a base di cocktail e champagne con una ferocia sottile. Si affida, inizialmente, a Miss Rosen, una giovane insegnante per la quale subisce una fascinazione morbosa, unico faro di una teenager abbandonata a sé stessa che non lega coi coetanei. «Quando sono qui sento di avere qualcosa a cui aggrapparmi» confessa Courtney, ma non sarà sufficiente a tenere legata a sé l’insegnante. Privata di questo contatto, Courtney perde ancora più aderenza con la sua età: beve e fuma con Janet, l’amica tentatrice che si rivelerà sorprendentemente la più fragile delle due. Eppure insieme parlano di sesso, di piacere femminile, di uomini e prime esperienze, chiuse nella loro stanza al riparo dal perbenismo della società americana. A Janet, Courtney dichiara il suo “manifesto”: «Voglio essere sofisticata e avere una vita sofisticata e amare in modo sublime». La verginità non è un valore assoluto, la libertà sessuale che Pamela Moore le cuce addosso è più importante. «Ne so abbastanza sul sesso, sul corpo e su cosa si fa. E anche sugli omosessuali, tanto che spesso riconosco quali attori lo sono e so pure come fanno l’amore» dice Courtney a Janet, è l’ambiente hollywoodiano ad averla istruita. Per la prima volta il racconto dell’adolescenza parla di omosessualità, libertà sessuali, ma anche di depressione, dipendenze da fumo e alcool, vita dissoluta e conseguente fallimento. E l’unico riscatto raggiunto in extremis non è un lieto fine, ma privilegio di poche.
In una conversazione con la scrittrice Emma Staub, Kevin Kanarek definisce il romanzo «la prospettiva di una teenager che trova il mondo adulto falso e grottesco». Il suo racconto dell’adolescenza ha, però, uno splendore letterario tale da rendere le tipiche adolescenti americane degli anni ’50 figure ancora moderne prima ancora che lo diventassero quelle delle pagine di Sylvia Plath (La campana di vetro, per esempio, che ricalca le stesse ambientazioni di Cioccolata a colazione, esce ben sei anni dopo, nel 1963). D’altra parte, soprattutto in Francia, per molto Pamela è stata paragonata a Françoise Sagan, autrice di Bonjour Tristesse uscito in patria nel 1954, precursore inconsapevole della prima pubblicazione europea di Cioccolata a colazione. Come Plath e Sagan, Pamela Moore scrive di depressione con uno spessore eccezionale per i suoi 16 anni. Questo il dialogo tra il medico del college e Courtney:
«Dimmi Courtney, ti senti mai depressa?»
Courtney pensò a quando guardava fuori dalla finestra, due piani più in basso, e si domandava come sarebbe stato cadere. Il pensiero la spaventava, eppure le piaceva. […] Ecco come si sentiva quando era molto depressa. Era come stare in alto e guardare giù domandandosi che effetto avrebbe fatto cadere.
«Sì» rispose, «a volte mi sento depressa.»
«Mmm, capisco. E dura a lungo o solo qualche ora?»
«Va a periodi» rispose, concentrandosi. «E poi ci sono delle volte […] in cui mi sento da dio, come se potessi fare un sacco di cose e tutte molto meglio degli altri.»
Conoscenti e critici hanno supposto che Pamela soffrisse di disturbo bipolare, lo stesso che aleggia su Courtney per tutto il romanzo. Per la prima volta, però, nella letteratura americana l’adolescenza non era più una capricciosa età di transizione, ma una fase di crescita essenziale per una donna, anche se, come in questo caso, autrodistruttiva. Quando Courtney lascia Scaisbrooke e si trasferisce a Los Angeles dalla madre, le feste sono «uno dei suoi punti saldi», così come l’alcool e la relazione con Barry Cabot, un attore bisessuale che la fa sentire adulta. Lei nel tempo libero legge I fiori del male di Baudelaire, nasconde accuratamente la relazione con Barry e beve cocktail con quello che rimane di sua madre. Ma anche a LA torna la stanchezza cronica sperimentata a Scaisbrooke, metafora della persistente condizione di insoddisfazione e depressione di Courtney. Gli adulti, dal canto loro, giudicano continuamente la protagonista nei comportamenti e nella morale, ma non intervengono quasi mai, presi come sono dalle loro vite a pezzi. E Moore, bruscamente, quando il lettore è oramai assuefatto al suo stile di vita e all’indifferenza dei genitori, riporta tutto in prospettiva. Courtney ha solo 16 anni quando va in clinica psichiatrica e, appena uscita, dice al padre: «Sono figlia di mia madre e a soli sedici anni sono decadente, alcolizzata, disincantata…».
La diagnosi definitiva del medico che la segue in clinica è devastante: «[…] eri stata caricata di troppe responsabilità.» Pamela Moore anticipa i tempi scrivendo di insoddisfazione, incomunicabilità e indifferenza, di vite bruciate allora come adesso. Courtney torna a New York e vive una ennesima relazione con Anthony Neville per sembrare ancora più adulta ed esperta.
Nella morale superficiale che sembrava pervadere gli amici di Janet aveva trovato complicità. Ma in Anthony percepiva amoralità, libertà dalle critiche della società e del cattolicesimo, principi con i quali era stata educata e che aveva poi tradito. Invidiava la sua disinvoltura, la sua capacità di vivere tranquillamente anche al di fuori della società, in un mondo estraneo tutto suo, al riparo dalla paura del rifiuto, che lei aveva sperimentato ogni volta che aveva tentato di inserirsi.
Ecco i temi dell’adolescenza secondo Pamela Moore: la voglia di essere accettata come donna emancipata anche se di fatto Courtney non è altro che una ragazza cresciuta nel lusso, nella noia e nell’assenza d’affetto. E le dinamiche familiari di Courtney, nelle loro mancanze e tragicità, non sono altro che metafora del frantumarsi dei valori personali e della famiglia americana del tempo. In un breve saggio del 1958, inserito nell’edizione italiana del romanzo del 2014, Anna Banti scrive:
[Moore] è convinta di recitare una tragedia che i padri e le madri americani le hanno preparato, e neppure li odia sul serio, questi artefici di errori, ma quasi li compatisce e li assolve.
La giornalista Koa Beck scrive, in un articolo pubblicato dall’edizione americana di MarieClaire, che Pamela Moore fa parte a pieno titolo della letteratura americana femminista per la capacità di esplorazione della sessualità di adolescenti attive e consapevoli, pur nella loro “disfunzionalità”, e del difficile ruolo di figlia in un ambiente familiare incrinato. Non erano ancora pronti per la modernità di Cioccolata a colazione al momento della sua pubblicazione, ma è stato proprio questo il motore del suo successo per intere generazioni di donne e adolescenti, un romanzo universale sulla decadenza dei valori. Non è chick-lit, letteratura per ragazze, quella di Pamela Moore, ma un romanzo femminista in cui la sua protagonista lottava contro le convezioni sociali del suo tempo e il ruolo che era stato attribuito alle adolescenti: le brave ragazze non esistono, ci sono solo essere umani complessi. In un articolo del 1964 sulla rivista Jaguar, Milburn Smith scrive:
In Europa era considerata l’intellettuale di riferimento della gioventù americana […] mentre in America era trattata come la ragazza dello scandalo, uno scherzo letterario.
Nonostante il talento, Pamela Moore si toglierà la vita schiacciata dalle sue stesse aspettative tradite, dopo alcuni romanzi che non avranno successo e nel pieno della scrittura di un ulteriore lavoro che, però, non vedrà mai la luce. Per tutta la sua vita Pamela ha lottato con genitori anaffettivi, un amante francese che si scoprirà un impostore, Edouard de Laurot, e che pretenderà di mettere mano sull’opera di Pamela, che di Cioccolata a colazione scriverà molte versioni, più o meno censurate. Ed infine un marito che Pamela aveva scelto come difensore e salvatore, che però non potrà salvarla da sé stessa e dalla terribile convinzione che non fosse abbastanza come donna, come moglie, madre e soprattutto scrittrice. In uno dei suoi articoli, tuttora leggibili nel sito a lei dedicato, Pamela Moore scrive: «Ho perso la mia identità di scrittrice quando sono diventata una celebrità». Non poteva sapere che la sua identità sarebbe arrivata fino ad oggi, intatta e splendente, nel suo romanzo più di successo e la sua protagonista adolescente imperfetta, complessa e eternamente moderna.