Out from 2015: #3 Women in Rock

Per molti il 2015 sarà soltanto un altro anno da salutare e imballare in una scatola piena di ricordi, ma per qualcuno lasciarsi alle spalle il passato, prendere quello che c’è stato di buono e dimenticare le amarezze e i dispiaceri senza rimpianti, non si tratta di un gesto semplice e meccanico. Eppure entrando di soppiatto nello spogliatoio femminile della musica troviamo chi si sta preparando a congedarsi dagli ultimi giorni dell’anno con uno smagliante sorriso stampato sul volto. Ci sono regine di record, classifiche e incassi come l’onnipresente Adele, ma anche fuoriclasse che vivono in sordina progetti ambiziosi alle spalle e che di dischi probabilmente non ne venderanno mai così tanti nell’intero arco della propria vita.

Non possiamo, però, immaginare di ripercorrere a ritroso il 2015 senza di loro che ci hanno accompagnato ovunque, nei viaggi, nelle soste e in tutti quei momenti a cui ci teniamo nostalgicamente ancorati. Quest’anno c’è stato spazio per ogni corrente e sperimentazione sonora, partendo dal gradito ritorno di Björk che ci ha fatto attendere quattro anni Vulnicura, il suo nono album in cui ha deciso di raccontarsi spogliandosi di tutto e dando maggior peso alle parole e all’essenzialità dei suoni.

Molte sono anche le nuove voci soliste in circolazione che hanno riempito Spotify, le radio e i lettori mp3 come quella di Natalie Prass che scalda l’inverno con delicatezza e languore o quella dell’australiana Courtney Barnett, una delle vere rivelazioni dell’anno che ha stupito con l’ironia dei suoi testi legati alla quotidianità, ma anche con la potenza di alcuni riff particolarmente orecchiabili che traggono spunto da riverberi punk e grunge.

Non sono sorprese, ma nostre vecchie conoscenze le cantautrici statunitensi Torres, Chelsea Wolfe e Waxahatchee. Se Mackenzie Scott, in arte Torres ci parla direttamente al cuore con il suo laconico blues contemporaneo e Chelsea Wolfe ci fa venire la pelle d’oca mescolando guizzi gotici, elettronici e folk, allora Waxahatchee alias Katie Crutchfield ci fa tornare indietro di almeno vent’anni con il suo Ivy Tripp catapultandoci nella colonna sonora di qualche serie cult degli anni Novanta.

Si aggiudicano, invece, quest’anno il titolo di regine dell’elettronica Holly Herndon e Kelela, così diverse da essere l’una l’alter ego dell’altra. Le abbiamo conosciute entrambe a Torino in edizioni diverse del Club to Club che con la sua fucina di talenti ogni anno propone diverse produzioni femminili di spicco. Impossibile dimenticare gli occhi azzurrissimi di Holly, la sua pelle lattea e i capelli fulvi che parlano per lei, mentre le interferenze magnetiche di Platform si trasformano nella musica di una realtà che se potesse sarebbe quadrimensionale. Lo stesso accade per Kelela, erede di una mitica Regina di Saba e dalla bellezza d’ebano, che con Hallucinogen riesce a combinare pensieri ed emozioni con un r’n’b che ruota tutto intorno all’elettronica degli 80’s.

Kelela @ Spring Attitude 2015, Seppino Di Trana

Da tenere sott’occhio è anche un trio tutto norvegese formato da Jenny Hval e dalla sua apocalisse sintetica, Anna of the North che ci ha conquistato con The Dreamer e promette speranze catchy e ultima, ma non ultima Siri Nilsen che al di là dell’incomprensibile norvegese non può che incuriosire per le atmosfere boreale e le gradevoli chitarrine.

Non è finita qui: all’appello mancano ancora le cinque artiste che hanno maggiormente influenzato l’anno. Vi starete certamente chiedendo di chi si tratta e non vogliamo creare ulteriore suspense! Iniziamo l’elenco con Joanna Newsom che una ne pensa e cento ne fa. Divers arriva dopo cinque anni da Have One On Me, e ci piace sia per la sua scompostezza infantile che per l’eterea voce di Joanna. Di ben altro impasto sono, invece, le Sleater-Kinney, tre riot grrrl che abbiamo dovute aspettare dieci anni per ritrovarle unite e incandescenti sul palco, ruvide come le avevamo lasciate con quel sound sporco che le ha viste nascere nel lontano 1994.

Sul podio troviamo invece i Florence + The Machine guidati dall’inconfondibile timbro di Florence Welch, che in How Big How Blue How Beautiful sembra più pensierosa rispetto ai precedenti album, forse meno immediata, ma presente più che mai con la testa e con il cuore in ogni brano. A pochi passi dall’elegante diva britannica non potevamo non segnalare Julia Holter che, come un faro nella nebbia, vi condurrà fuori dall’inverno e dalla bassa pianura. Ogni accordo, nota e sillaba di Have You In My Wilderness ha un propria personalissima chiave di lettura, testi e suoni risultano così familiari da sembrare di averli sempre uditi risuonare nell’aria. Ci siamo affezionati e non possiamo ormai farne a meno.

È un peperino, ci ha lasciato spesso senza parole e ci ha fatto scuotere la testa, si tratta di Grimes che perdoniamo ugualmente per averci teso tranelli fino a pochi mesi fa. Claire Boucher è matta come un cavallo, ma il suo Art Angels ce lo ascoltiamo sotto la doccia, in auto e sul tram e per un po’ non ce ne stancheremo. Hype o non hype, ci ha portato qualcosa di nuovo confezionandolo con bravura e freschezza. Grimes piace o la si odia e probabilmente se PJ Harvey non ci avesse tirato ancora pacco all’ultimo non avremmo avuto dubbi su chi incoronare. Dite che il 2016 sarà l’anno buono? Nel frattempo non si accettano giustificazioni: non potete dire di non avere una compilation al femminile per Capodanno!

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