Ad oggi, gli Ought sono uno dei pochissimi gruppi del panorama indie contemporaneo a cui l’ormai logorato aggettivo politically conscious si addice pienamente.
Nati nel 2012 al culmine delle proteste studentesche esplose in Quebec, gli Ought hanno saputo imporsi nel panorama musicale alternativo con uno di quegli esordi discografici che difficilmente passano inosservati: More Than Any Other Day, uscito l’anno scorso per la Constellation, la seminale etichetta canadese, seguito di pochi mesi dall’ottimo ep Once More With Feeling…
Visti i precedenti, Sun Coming Down è stato per molti uno dei dischi più attesi dell’anno.
Uscito qualche giorno fa per la Constellation, l’ultimo disco degli Ought riesce a colpire nuovamente il pubblico, in maniera anche più spiazzante del suo predecessore, per un’evoluzione sonora decisamente più granitica. Se è vero che molti gruppi evitano di far coincidere l’evoluzione del proprio sound con un’aggressivo aumento delle distorsioni, per gli Ought è vero il contrario: Sun Coming Down si presenta come un disco incredibilmente più teso e nervoso di More Than Any Other Day.
I suoni si ispessicono, coniugando i suoni rozzi dei Velvet Underground di White Light/White Heat al cantato di Tim Darcy che, prendendo di mira gli insensati automatismi che influenzano la nostra vita quotidiana, non può che ricordare il David Byrne dei primi dischi con i Talking Heads.
E’ un disco dai suoni decisamamente urbani dove, fatta eccezione per un paio di episodi (The Combo e Celebration), le canzoni si dilatano, perdendo i confini, suonando esattamente come suonano gli Ought dal vivo.