Roma, 17/05/2013
C(h)orde – Suoni tra Cielo e Terra – è una rassegna ideata e realizzata da Lanificio 159 e Snob Production all’interno del suggestivo scenario della Chiesa Evangelica Metodista di Roma, una chiesa di fine ottocento, che sorge in pieno centro, a un passo da via Nazionale. Nel 2012 è stato lo scenario per emozionanti esibizioni, come quella di The Tallest Man on Heart e Tim Hecker, che hanno raccolto un notevole e meritato riscontro di pubblico. Stasera non sembra essere da meno, in quanto già diverse ore prima del concerto del piccolo genio islandese Ólafur Arnalds, gli organizzatori hanno comunicato il tutto esaurito.
Non capita tutti i giorni di assistere ad un concerto all’interno di un edificio di questo tipo, a meno che non siate appassionati di musica sacra (…), perciò l’impatto scenografico è certamente affascinante, tra alte lesene in stile corinzio e finestre bifore a tutto sesto, circondati da vetrate iconografiche.
Arnalds sale puntuale sul piccolo palco insieme alla sua band che si compone di: due violini, una viola, un violoncello e un adepto alle sfumature elettroniche che si diletta tra synth e affini. Le luci diventano fioche e illuminano a stento i componenti, l’atmosfera si fa intima, raccolta, soffusa e non appena attaccano le prime note, la magia ha inizio.
Ólafur Arnalds rappresenta ormai da qualche anno uno dei più prolifici esponenti della scena modern classical, la sua musica è caratterizzata da atmosfere glaciali e intimistiche, fortemente evocative. Le sue melodie rifuggono dalla banalità e dai generi e nella ricchezza delle tessiture sonore e compositive trovano un accesso diretto all’emotività e alla sensibilità dell’ascoltatore.
Nel corso dell’esibizione, la piccola ma meravigliosa orchestra di Arnalds esegue brani tratti un po’ da tutta la sua discografia recente. Tra i più coinvolgenti e sorprendenti ci sono sicuramente quelli provenienti dall’ultimo album, intitolato For Now I am Winter, nel quale è presente, più che negli altri lavori, l’utilizzo di loop e synth. Questi inserimenti elettronici, tuttavia, non snaturano affatto le atmosfere classiche e minimali della sua musica, si inseriscono piuttosto come ulteriore componente della piccola orchestra sinfonica diretta dal giovane ispiratissimo maestro.
Dal vivo ciò è ancor più evidente, è come se le partiture elettroniche facessero da impianto percussivo orchestrale con tanto di timpani, rullante e grancasse. Tali soluzioni “sintetiche”, producono ovviamente frequenze più fredde e metalliche rispetto ai corrispettivi orchestrali e ciò contribuisce fortemente nella composizione dei gelidi venti melodici che per un’ora e mezzo scuotono ogni angolo della cute e accarezzano le più nascoste corde emotive.
E mentre fuori la movida romana del venerdì sera prende velocemente e rumorosamente vita, all’interno della Chiesa Metodista assistiamo ad una performance indimenticabile, oltre che emozionare Ólafur entra in intimità col pubblico con piccoli dialoghi, tra brevi racconti on the road e la dichiarazione d’amore per pizza&patatine, rendendo l’atmosfera ancor più raccolta e adatta alle sue note.
Il pubblico apprezza e a fine concerto i sei sul palco sono visibilmente commossi e soddisfatti, il bis solo-piano è il finale perfetto, con gli archi che concludono il pezzo in lontananza, fuori dal palco, alle porte del backstage.
Un grande artista e una splendida performance, esaltata dal contesto offerto da una delle più interessanti iniziative musicali romane.